Orbene, la banca è qualificabile come soggetto addetto professionalmente all’esercizio dell’attività bancaria, definita ex art. 10 TUB come quella attività di raccolta e gestione del risparmio. Pertanto, nei rapporti con i propri clienti è tenuta ad adempiere alle proprie obbligazioni con una diligenza superiore a quella media del buon padre di famiglia e, pertanto, qualificata e definibile come “diligenza dell’accorto o del buon banchiere”. Ne consegue che la banca nell’eseguire gli ordini inoltrati dai propri clienti non deve verificare la genuinità della firma con la diligenza dell’uomo medio ma piuttosto con quella di un “osservatore attento e previdente, per il maggior grado di attenzione e di prudenza che la professionalità del servizio consente di attendersi”. Posto ciò, tuttavia, la diligenza richiesta, seppur elevata rispetto alla media, deve essere comunque calibrata sul soggetto che viene in rilievo che nel caso di specie, appunto, è quella del banchiere avveduto. Pertanto, è vero che si deve pretendere un’attenzione maggiore da parte dell’Istituto nel vagliare la genuinità delle firme dei propri clienti ma non tale da imporre l’impiego di mezzi e risorse straordinari totalmente esulanti dall’attività bancaria.

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Corte d’Appello|Firenze|Sezione 2|Civile|Sentenza|5 luglio 2022| n. 1433

Data udienza 14 giugno 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La CORTE DI APPELLO DI FIRENZE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Così composta:

dott. Edoardo Monti – Presidente

dott.ssa Dania Mori – Consigliere

dott.ssa Annamaria Loprete – Consigliere rel.

Ha pronunciato la presente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta in grado di appello al n. 808 del ruolo generale della Corte dell’anno 2018 promossa

Da

(…) rappresentata e difesa avv.(…) del foro di Ancona come da procura a margine dell’atto di citazione in appello

Appellante

Contro

(…) s.p.a., in qualità di incorporante (…) s.p.a. (a sua volta incorporante (…) p.a.), in persona del procuratore dott.(…) rappresentata e difesa dall’avv.(…) del foro di Arezzo come da mandato allegato all’atto di comparsa di costituzione ex art. 100 c.p.c.

Convenuta in appello

Oggetto: contratto bancario

FATTO E DIRITTO

Il Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 1121 del 10.10.2017, ha rigettato la domanda avanzata da (…) volta ad ottenere la condanna di s.p.a, in qualità dicessionaria del ramo di azienda di (…) soc. coop., alla restituzione della complessiva somma di Euro 141.569,48 pari al valore di una serie di operazioni (quali, il versamento di denaro a favore di(…) s.p.a., e comunque la vendita di svariati titoli in deposito presso la banca) non autorizzate ed eseguite sul proprio conto corrente e sul dossier titoli accesi presso la predetta banca.

Il Tribunale non ha ravvisato alcun comportamento contrario al dovere di diligenza da parte della banca in ordine alla mancata verifica della falsità delle firme apposte sulle singole operazioni tenuto conto che, alla luce delle risultanze peritali, nonostante il CTU avesse accertato la non riconducibilità delle sottoscrizioni alla mano della (…) non poteva pretendersi dall’istituto bancario – e per essa dal dipendente preposto all’operazione contabile – una capillare verifica per far emergere la falsità della scrittura, occorrendo all’uopo elevate competenze grafologiche in virtù dell’abile imitazione delle firme.

Quanto alla firma X7, l’unica che secondo il perito era palesemente contraffatta, il Giudice di prime cure ha comunque ritenuto che non sussistesse alcuna responsabilità in capo alla banca atteso che il documento in cui era apposta consisteva in una mera attestazione contabile dell’istituto di credito contenente il riepilogo dei movimenti rispetto al quale la (…) non aveva dato prova del danno subito.

Quanto alla domanda di manie va avanzata dalla banca nei confronti di (…), il Giudice, respinta del difetto di titolarità del contratto di assicurazione in capo a (…) s.p.a., ha compensato le spese in quanto la domanda di manleva era rimasta assorbita a seguito della reiezione della domanda risarcitoria dell’attrice

Ha posto le spese di lite a carico della (…) in favore della banca convenuta.

Avverso questa decisione ha interposto appello(…) facendo valere il seguente motivo di impugnazione:

1) Erroneità della decisione per non aver accertato la responsabilità della banca e per aver ritenuto non provato il danno. L’appellante evidenzia che, così come emerso dalla perizia grafologica, nessuna firma di quelle contestate è stata ricondotta alla mano dell'(…) Afferma poi che, gravando sull’operatore bancario un elevato grado di diligenza, il dipendente dell’Istituto avrebbe dovuto accertare la genuinità delle sottoscrizioni. Inoltre, l’appellante rileva che, alla luce del riparto dell’onere della prova in caso di inadempimento contrattuale, spettava alla banca dar prova di aver agito con la diligenza professionale richiesta, prova che però non è stata resa. Infine, sostiene la sussistenza del danno in re ipsa tenuto conto che dall’esecuzione degli atti, la cui firma è risultata contraffatta, ne è derivato una diminuzione ingente del patrimonio per l’importo di Euro 141.569,48.

Si è costituita (…) s.p.a. in qualità di incorporante (…) s.p.a. che ha l’esistito all’appello chiedendone l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. e, nel merito, il rigetto attesa l’infondatezza dell’impugnazione tenuto conto del fatto che la cliente non ha mai contestato le operazioni che erano comunque state indicate nei singoli estratti conto.

L’appellata ha poi dedotto che il comportamento della (…) integrava comunque un concorso colposo ai sensi dell’art. 1227 c.1 c.c, e, in caso di accoglimento dell’appello, ha domandato che fosse proporzionalmente ridotto il quantum risarcitorio. Infine, ha eccepito l’inammissibilità delle domande formulate in via subordinata proposte da parte appellante in quanto nuove.

In data 25.08.2021 si è costituita ex art. 110 c.p.c. (…) s.p.a. in qualità di incorporante (…) s.p.a. e quindi in veste di successore a titolo universale, riportandosi integralmente alle difese e alle domande da quest’ultima svolte. Ha eccepito come l’appello non sia stato proposto nei confronti di tutte le parti del giudizio di primo grado, essendo stato avanzato nei confronti soltanto di UBI banca senza citare né la vecchia (…) successivamente posta in l.c.a., né (…) s.p.a., in qualità di (…) citata in manie va da (…) rappresentando perciò un difetto nella instaurazione del contraddittorio in violazione dell’art. 332 c.p.c..

La causa è stata trattenuta in decisione a seguito di trattazione scritta con ordinanza collegiale del 12.10.2021 con concessione dei termini per il deposito delle conclusionali e delle repliche.

Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti del primo giudizio sollevata da (…) con l’atto di costituzione ex art. 110 c.p.c..

L’eccezione è priva di fondamento.

Con riferimento alla posizione di (…) l’appellante ha correttamente citato in giudizio (…) quale successore a titolo universale di (…) a cui per legge, per effetto del Decreto di Risoluzione del 22.11.2015 era stato conferito il Ramo di Azienda funzionale all’esercizio dell’impresa bancaria e che contemplava perciò tutti i rapporti bancari in essere al momento della Risoluzione, tra cui era incluso quello intrattenuto con l’attrice.

Quanto all’omesso contradditorio nei confronti di (…) s.p.a. quale Compagnia assicurativa che era stata citata in manie va, rileva la Corte che, pur avendo palesemente pretermesso l’attrice di citare tale parte, a cui andava notificato l’appello ex art. 332 c.p.c. trattandosi di un litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, e in assenza di citazione da parte della (…) l’integrazione del contraddittorio avrebbe dovuto disporsi su ordine del Giudice ai sensi dell’art. 332, comma 2, c.p.c. ai fini della concentrazione di tutti gli appelli in un unico giudizio, nessuna delle parti tuttavia ha chiesto l’integrazione del contraddittorio fino al momento della costituzione di (…) Tale omissione allo stato non produce effetti invalidanti del contraddittorio perché è ormai decorso il termine per (…) per proporre gravame avverso l’unica statuizione a sé sfavorevole, relativa al mancato riconoscimento delle spese di giudizio con conseguente preclusione a proporre l’appello nei termini di cui agli art. 325 e 327 primo comma c.p.c..

La richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti di (…) da parte di è da considerarsi poi inammissibile anche sotto l’ulteriore e decisivo aspetto che (…) (a cui (…) è succeduta ex art. 110 c.p.c.) nella propria costituzione non aveva riproposto la domanda di manie va ai sensi dell’art. 346 c.p.c.: quindi la integrazione del contraddittorio non sarebbe neppure sorretta dall’interesse di Intesa di vedere accolta la domanda di manie va, perché appunto non tempestivamente proposta da parte della sua incorporata. Ed anche a voler forzare la generica affermazione contenuta nell’atto di costituzione di (…) che dichiarava di riproporre ex art. 346 tutte “le difese e le eccezioni” proposte in primo grado, non solo non è contenuta in tale affermazione alcun richiamo espresso alla domanda di manie va, ma al tempo stesso neppure (…) ha richiesto alla Corte di integrare il contraddittorio nei confronti di (…) per poter dare concretezza e consistenza alla riproposta domanda.

Tanto premesso, l’appello è infondato e deve essere disatteso.

Parte appellante si duole del mancato riconoscimento da parte del Giudice di primo grado della responsabilità della banca per aver dato esecuzione ad una serie di operazioni non autorizzate e registrate sul proprio conto corrente e sul dossier titoli.

Preliminarmente si osserva che dalla perizia grafologica espletata in primo grado emerge che le firme contestate e contrassegnate dal perito come X1, X5a, X5b, X5d, X5e, X5f, X6, X7, X8a, X8b, X8c, X8d, X9 sono risultate “con certezza” non appartenenti alla (…) le firme X2, X3, X4, X5c soltanto “con altissima probabilità” non riferibili alla medesima; mentre la X7 era “palesemente attribuibile ad altra mano” (pagg. 36-37 della CTU).

Pertanto, ritenuto assodato che le firme delle operazioni impugnate dalla appellante sono, quantomeno con altissima probabilità, false, occorre valutare se si possa attribuire alla banca ima responsabilità a fronte del presunto danno subito dalla (…) per aver dato esecuzione ai predetti ordini non sorretti da firma conforme allo specimen depositato.

Orbene, la banca è qualificabile come soggetto addetto professionalmente all’esercizio dell’attività bancaria, definita ex art. 10 TUB come quella attività di raccolta e gestione del risparmio.

Pertanto, nei rapporti con i propri clienti è tenuta ad adempiere alle proprie obbligazioni con una diligenza superiore a quella media del buon padre di famiglia e, pertanto, qualificata e definibile come “diligenza dell’accorto o del buon banchiere” (ex plurimis Cass. 6513/2014; Cass. 3780/2005; Cass. 7761/2004).

Ne consegue che la banca nell’eseguire gli ordini inoltrati dai propri clienti non deve verificare la genuinità della firma con la diligenza dell’uomo medio ma piuttosto con quella di un “osservatore attento e previdente, per il maggior grado di attenzione e di prudenza che la professionalità del servizio consente di attendersi” (cfr. Cass. 5267/1982; Cass. 4642/1989).

Posto ciò, tuttavia, la diligenza richiesta, seppur elevata rispetto alla media, deve essere comunque calibrata sul soggetto che viene in rilievo che nel caso di specie, appunto, è quella del banchiere avveduto.

Pertanto, è vero che si deve pretendere un’attenzione maggiore da parte dell’Istituto nel vagliare la genuinità delle firme dei propri clienti ma non tale da imporre l’impiego di mezzi e risorse straordinari totalmente esulanti dall’attività bancaria.

Quanto sin qui esposto trova conforto nel principio di diritto elaborato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 6513 del 2014, in un caso di falsificazione dell’assegno, secondo cui “spetta al giudice del merito valutare la rispondenza al predetto paradigma di cui al secondo comma dell’art. 1176 c.c. della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando così un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto e caso per caso, il grado di esigibilità della diligenza stessa; verifica che, di regola, verrà a svolgersi in base ad un apprezzamento rivolto a verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche”.

Nel caso di specie, il Giudice ha disposto una perizia grafologica incaricando il perito di verificare la paternità delle firme e di indicare il tipo di diligenza che sarebbe servita per apprenderne l’eventuale falsità.

Il perito, al fine di dare risposta al quesito, è ricorso all’impiego di “metodi grafoscopico, grafonomico e psicografrologico” così da “superare la staticità del prodotto grafico e di studiarlo nella sua dinamica del processo all’interno del contesto di appartenenza” (pag. 4 della CTU). In particolare, ha utilizzato un microscopio digitale Dino-Lite Pro AM-413ZT; un Microscopio Multispettrale (MSM) fabbricato in America di elevata risoluzione e sensibilità, dotato di sensore da 2 Megapixel e di tre fonti, luminose; torce ad infrarosso e ultravioletto e una tavoletta luminosa per esami in trasparenza.

Il perito ha poi concluso, come già precedentemente riportato, ritenendo che, ad eccezione della firma X7 (palesemente falsa), le altre “peritalmente non sono attribuibili alla mano di (…) con certezza per alcune e con altissima probabilità per altre.

Senonché, nel rispondere al secondo quesito, ha affermato che, trattandosi di firme “imitate molto bene nella forma”, un cassiere, seppur particolarmente attento, sarebbe comunque caduto in errore non avendo quelle competenze grafologiche necessarie per verificarne l’attendibilità, dovendosi limitare ad uno studio della sola forma della sottoscrizione.

Sicché, tenuto conto degli strumenti impiegati dal perito, del complesso esame svolto e delle tecniche impiegate, è evidente come il riconoscimento della falsità delle firme in esame, esclusa la X7, richiedesse una diligenza ben al di sopra di quella esigibile dal cassiere e dal banchiere accorto.

Quanto invece alla firma X7, il perito riferisce invece che qualsiasi soggetto con l’impiego di una ordinaria diligenza si sarebbe potuto accorgere della sua falsità.

Tuttavia, si osserva che agli atti non risulta esser stato prodotto il relativo documento e che nella relazione peritale di primo grado ne è stata omessa l’allegazione.

Nonostante ciò, tenuto conto della evidente discrasia rilevata dal CTU, questa Corte ritiene comunque condivisibile il ragionamento del Giudice di primo grado, il quale ha rigettato la domanda risarcitoria anche con riferimento alla firma X7 in quanto, trattandosi il documento ad essa riferibile di una “distinta di cambio assegni” e, pertanto, di una mera attestazione contabile di banca, la (…) non ha fornito la prova del danno subito in relazione a quello specifico documento.

Perciò, ancorché sia riscontrabile una responsabilità della banca con riferimento al solo documento relativo alla firma X7 in quanto evidentemente contraffatta, tuttavia era onere della (…) in primo luogo, produrre il documento e, in secondo luogo, provare il danno subìto che non può ritenersi integrato in re ipsa non trattandosi di un atto dispositivo.

Quanto alla domanda di condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. avanzata dalla banca convenuta soltanto nella comparsa conclusionale, per quanto sin qui esposto, essa deve essere rigettata, in quanto sebbene l’appello sia infondato e sia stato disatteso, l’impugnazione non rappresenta il frutto di mala fede o colpa grave, in quanto rientrava nel diritto della parte rimasta soccombente ottenere una revisione del giudizio di prima istanza.

Resta assorbita ogni altra questione.

Alla luce del definitivo esito della causa, le spese di lite devono essere poste a carico di parte appellante da rifondersi in favore (…) s.p.a. così come liquidate nel dispositivo.

La Corte dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da (…) avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo n. 1121 del 10.10.2017, nei confronti di (…) s.p.a. (già (…) s.p.a.), ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

– Rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

– Condanna (…) alla rifusione delle spese di lite in favore s.p.a. spese che liquida in Euro 6.000,00 a titolo di compenso oltre rimborso forfettario e accessori di legge.

– Si dà atto che ricorrono le condizioni per porre a carico dell’appellante il raddoppio del contributo ex art. ex art. 13 c. 1 quater D.M. n. 115 del 2002.

Così deciso in Firenze il 14 giugno 2022.

Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2022.

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Avv. Umberto Davide

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