La problematica del nesso di causalita’ assume specifico rilievo quanto alle condotte omissive – giusto il principio di equivalenza eziologica tra la condotta commissiva determinativa dell’evento e quello omissiva non impeditiva dell’evento, stabilito dall’articolo 40 c.p., comma 2 – dovendo in tal caso rinvenirsi il criterio logico di verifica del nesso di causalita’ materiale, nell’accertamento della probabilita’ positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno che viene riconosciuta alla condotta omessa, tale essendo la modalita’ in cui opera il criterio inferenziale che – in mancanza di copertura di una legge scientifica o generale – il Giudice deve utilizzare per pervenire all’enunciato “controfattuale”, ponendo al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe assicurato apprezzabili probabilita’ di evitare (o, comunque, di ridurre significativamente) il danno.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23197

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24615/2016 proposto da:

MINISTERO DIFESA CASERMA (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROIMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVPCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), AZIENDA UNITA’ SANITARIA VITERBO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3424/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 4699/2007 accoglieva la domanda di risarcimento danni proposta da (OMISSIS) – aviere in servizio militare di leva – nei confronti del Ministero della Difesa e della Az. Usl Viterbo, e con l’intervento del medico militare (OMISSIS), rilevando la colpa medica per omessa tempestiva diagnosi di “appendicite acuta” alle visite mediche eseguite tra il (OMISSIS) prima presso la infermeria della Caserma e poi presso il Pronto soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), cui era conseguito, dopo il rientro nella propria abitazione, l’immediato ricovero d’urgenza del militare presso l’Ospedale di (OMISSIS) con diagnosi di “peritonite da appendicite acuta gangrenosa” e la sottoposizione ad immediato intervento chirurgico in data (OMISSIS), con successivo ricovero in rianimazione per le condizioni critiche riscontrate ed il trasferimento in elicottero il (OMISSIS) presso l’Ospedale (OMISSIS) ove permaneva in pericolo di vita, registrando un miglioramento soltanto nell'(OMISSIS). Il Tribunale rigettava invece la domanda di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali proposta nei confronti dei medesimi enti dai genitori del militare, (OMISSIS) e (OMISSIS).

La sentenza n. 1371/2012 della Corte d’appello di Roma, che confermava la decisione di prime cure sull’an e condannava le parti convenute anche al risarcimento del danno morale in favore dei genitori, veniva impugnata con ricorso per cassazione dall’Amministrazione statale (del quale venivano accolti i primi quattro motivi) e con ricorso incidentale dal medico militare (OMISSIS), e quindi cassata, con sentenza 10.6.2014 n. 13055 di questa Corte, in relazione al vizio di inadeguata motivazione sul nesso di causalita’ tra omessa diagnosi ed il danno derivato: a) non essendo stata verificata la incidenza causale del comportamento del militare che, sebbene richiesto dai medici, non si era presentato a successive visite di controllo, ne’ aveva fruito del giorno di riposo concessogli; b) non risultando corretta ad escludere la efficienza causale interferente esclusiva dell’errore commesso dall’anestesista durante l’intervento chirurgico (mancato posizionamento del sondino naso-gastrico di svuotamento dei liquidi dallo stomaco), la mera circostanza del contesto di urgenza atteso che l’intervento era stato praticato in ambito ospedaliero.

Definendo il giudizio di rinvio la Corte d’appello di Roma, con sentenza 28.5.2016 n. 3424:

– dava atto della intervenuta transazione stragiudiziale della vertenza tra i danneggiati e la coobbligata solidale Azienda USL di Viterbo, dichiarando cessata la materia del contendere in relazione al predetto rapporto processuale, con conseguente venire meno del vincolo di solidarieta’ con il Ministero rimasto debitore per la sola quota spettante (pari al 50% ex articolo 1298 c.c., comma 2).

Riconosceva un concorso causale del danneggiato ex articolo 1227 c.c., comma 1, quantificato nella misura del 20%, non essendosi sottoposto a successive visite e non avendo ottemperato alla prescrizione di riposo.

– Rideterminava quindi l’ammontare del danno risarcibile, con riferimento alla quota spettante al Ministero, diminuita della percentuale del concorso causale riconosciuto alla condotta della vittima, rilevando come non sussisteva alcuna ultrapetizione nella liquidazione del danno biologico da inabilita’ temporanea parziale (in relazione a 90 gg. accertati nella c.t.u. in luogo dei 60 gg. indicati in citazione), tenuto conto che nelle conclusioni rassegnate con l’atto introduttivo il danneggiato aveva chiesto il risarcimento del danno nell’importo comunque quantificato all’esito della istruttoria;

– Rilevato il passaggio in giudicato della statuizione della sentenza di appello n. 1371/2012 di condanna al risarcimento del danno morale liquidato ai genitori nel complessivo importo di Euro 20.000,00 dava atto della parziale estinzione del credito, per la quota (50%) corrispondente al debito imputabile alla coobbligata Azienda USL Viterbo oggetto di transazione.

La sentenza di appello, non notificata, e’ stata impugnata per cassazione dal Ministero della Difesa con atti ritualmente notificati a (OMISSIS) e (OMISSIS) ed a (OMISSIS) presso il difensore non domiciliatario che ha ricevuto gli atti in data 28.10.2016 come da cartoline AR depositate in atti.

Gli intimati non hanno svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre rilevare che il ricorso per cassazione non e’ stato notificato presso Io studio in (OMISSIS) (come da intestazione della sentenza impugnata:) dell’avvocato (OMISSIS), indicato come domiciliatario (nel ricorso per cassazione lo studio risulta ubicato in (OMISSIS)), ma e’ stato notificato presso il procuratore ad litem avv. (OMISSIS) del Foro di Salerno, in (OMISSIS) ex articolo 149 c.p.c., con deposito degli atti, non potuti consegnare per temporanea assenza del destinatario, presso l’ufficio postale e spedizione CAD, e successivo ritiro in data 28.10.2016 come risulta dalle cartoline AR depositate in atti.

La notifica del ricorso deve ritenersi validamente perfezionata alla stregua del principio di diritto, che deve essere confermato, secondo cui, qualora la parte si sia costituita in giudizio a mezzo di due procuratori, e’ valida la notifica dell’impugnazione presso uno dei due procuratori, ancorche’ la parte abbia eletto domicilio presso l’altro (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4600 del 11/04/2000; id. Sez. 3, Sentenza n. 5961 del 10/05/2000; id. Sez. 2, Sentenza n. 12963 del 31/05/2006; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 11744 del 27/05/2011, con riferimento alla notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 11744 del 27/05/2011, con riferimento alla ipotesi – che ricorre anche nella specie in esame – della notifica dell’atto in caso di elezione di domicilio del difensore extra districtum).

Con l’unico motivo di ricorso il Ministero deduce la violazione dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, per avere il Giudice del rinvio omesso di conformarsi alla pronuncia vincolante scaturente dalla sentenza di questa Corte n. 13055/2014 che cassava la decisione d’appello impugnata n. 1371/2012, avendo esaminato soltanto una delle questioni per cui era stato disposto il rinvio prosecutorio avanti la Corte d’appello di Roma.

La doglianza e’ fondata.

Nella pronuncia di cassazione erano state evidenziate due lacune della motivazione della sentenza di appello, investite dalle censure per vizio di motivazione dedotte con il ricorso principale del Ministero e con il ricorso incidentale del medico militare (OMISSIS), ed esattamente: a) la omessa verifica della incidenza causale sul danno, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1, determinata dalla condotta trascurata ed imprudente dello stesso danneggiato che si era astenuto dal prescritto giorno di riposo in branda, e non si era presentato il giorno successivo a nuova visita medica: in tal senso veniva richiesto al Giudice del rinvio di valutare “adeguatamente la possibile sequenza di eventi nel caso in cui il (OMISSIS) si fosse rigorosamente attenuto alle prescrizioni e raccomandazioni dei sanitari”; b) la inadeguatezza logica della motivazione con la quale era stata esclusa qualsiasi incidenza causale – esclusiva o concorrente – alla sopravvenuta inesatta esecuzione della prestazione medica da parte del medico anestesista, durante la operazione chirurgica presso l’Ospedale di (OMISSIS), per omesso posizionamento del sondino naso-gastrico e svuotamento dei liquidi nello stomaco del paziente prima della somministrazione del prodotto anestetico, errore che non poteva assurgere, per il solo contesto di urgenza in cui venne praticato l’intervento operatorio, a fatto prevedibile e collocabile tra gli effetti-conseguenza “normalmente” riconducibili alla causa anteriore della omessa corretta diagnosi della malattia, tenuto conto che in un ambito organizzativo altamente controllo come quello di tipo ospedaliero, non poteva escludersi a priori che tale condotta imperita rivestisse invece “quei caratteri di atipicita’, eccezionalita’ ed imprevedibilita’ richiesti ad un evento per interrompere la sequenza causale tra fatto originario (o omissione) e danno subito”.

Tanto premesso la sentenza di appello emessa in sede di giudizio di rinvio, ha esaminato e deciso esclusivamente su uno dei due punti oggetto della pronuncia di cassazione, e cioe’ quello concernente il concorso causale nella produzione del danno determinato dalla condotta del danneggiato (ravvisando una incidenza causale quantificata nella misura percentuale del 20%: la sentenza d’appello fa, in vero, erroneo richiamo all’articolo 1227 c.c., comma 2, anziche’ al comma 1 della medesima norma, ma tale imprecisione non inficia la statuizione in quanto la motivazione riflette l’indagine compiuta in relazione alla verifica del concorso causale della condotta del danneggiato), mentre ha del tutto trascurato di verificare il secondo punto oggetto di rimessione della causa, relativo alla efficienza causale dell’altra condotta colposa imputata al medico anestesista, in tal modo riproducendo lo stesso vizio motivazionale riscontrato nella sentenza che era stata cassata.

Orbene il sindacato della Corte di Cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia. Nella prima ipotesi, infatti, egli e’ tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilita’ di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda invece la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorieta’, non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facolta’ che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli e’ tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessita’, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7635 del 16/05/2003).

La mancata eliminazione degli elementi di valutazione ritenuti illogici dalla sentenza rescindente inficia la legittimita’ della sentenza di appello pronunciata in sede di rinvio che deve essere, pertanto, cassata in parte qua; non occorrendo tuttavia un nuovo rinvio della causa potendo la Corte esaminare e risolvere direttamente, alla stregua degli elementi istruttori gia’ acquisiti che esimono dal compiere nuovi accertamenti in fatto, la questione di merito pretermessa dal Giudice di appello concernente la questione della rilevanza del fattore causale sopravvenuto, consistito nella condotta imperita tenuta dal medico anestesista – intervenuto nella operazione chirurgica eseguita presso l’ospedale di (OMISSIS) – rispetto alla serie causale originata dalla intempestiva ed errata diagnosi della malattia ed evoluta nelle conseguenze dannose manifestatesi anche successivamente al predetto intervento chirurgico.

Occorre premettere che e’ ormai consolidata l’affermazione per cui il referente normativo della disciplina della causalita’ nell’ambito della responsabilita’ civile va rinvenuto negli articoli 40 e 41 c.p., come interpretati da questa Corte alla stregua della amplissima elaborazione dottrinale cui hanno dato luogo (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 576-584 del 11/01/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010). Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto dall’articolo 41 c.p., comma 1, in base al quale, se la produzione di un evento dannoso e’ riferibile a piu’ azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale (espressione della teoria della “condicio sine qua non”), trova il suo temperamento nel “principio di causalita’ efficiente”, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale gia’ in atto.

Dal che il problema da risolvere viene a trasporsi sul piano della individuazione dello spartiacque nelle serie causale tra fattori concorrenti in quanto tutti necessari ad integrare una sequenza “normalmente” idonea a produrre l’evento e fattori, invece, idonei ex se a produrre l’evento, e dunque antagonisti al “regolare sviluppo” della sequenza normale, venendo ad interferire su questa impedendone il compimento e quindi privando di efficienza causale anche quei fattori concorrenti della sequenza gia’ verificatisi.

Il dilemma viene ad essere risolto mediante la costruzione di serie causali “normali”, in base alla individuazione di quei soli fattori che appaiano “ex ante” idonei a concorrere a determinare l’evento, secondo il “principio della c.d. causalita’ adeguata” o quello similare della “c.d. regolarita’ causale”, per cui una conseguenza e’ normalmente imputabile ad un fattore causale laddove, in base alla regolarita’ statistica o ad una probabilita’ apprezzabile “ex ante” (id quod plerumque accidit) – e cioe’ in applicazione di regole statistiche o scientifiche e quindi per cosi’ dire oggettivizzate in base alla loro preponderanza o comune accettazione-, integri gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento (sia esso una condotta umana oppure no) originario, che ne costituisce l’antecedente necessario, sicche’ possa inferirsi, su un piano strettamente oggettivo (a prescindere da qualsiasi riferimento allo stato soggettivo dell’autore della condotta relativo alla consapevolezza e prevedibilita’ degli effetti della sua condotta; indagine che attiene al diverso ambito della colpa, quale elemento soggettivo della fattispecie dell’illecito) un giudizio di non improbabilita’ dell’evento in base a criteri di ragionevolezza: ed infatti l’accertamento del nesso causale esprime la misura della relazione probabilistica concreta (e svincolata da ogni riferimento soggettivo) tra comportamento e fatto dannoso, da ricostruirsi anche sulla base dello scopo della norma violata, rimanendo confinato nella dimensione soggettiva dell’illecito tutto cio’ che attiene alla sfera dei doveri di avvedutezza comportamentale, contrapponendosi alla “oggettiva” probabilita’, la “soggettiva” prevedibilita’ dell’evento (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11609 del 31/05/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007; id. Sez. U, Sentenza n. 576-584 del 11/01/2008).

La problematica del nesso di causalita’ assume specifico rilievo quanto alle condotte omissive – giusto il principio di equivalenza eziologica tra la condotta commissiva determinativa dell’evento e quello omissiva non impeditiva dell’evento, stabilito dall’articolo 40 c.p., comma 2 – dovendo in tal caso rinvenirsi il criterio logico di verifica del nesso di causalita’ materiale, nell’accertamento della probabilita’ positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno che viene riconosciuta alla condotta omessa, tale essendo la modalita’ in cui opera il criterio inferenziale che – in mancanza di copertura di una legge scientifica o generale – il Giudice deve utilizzare per pervenire all’enunciato “controfattuale”, ponendo al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe assicurato apprezzabili probabilita’ di evitare (o, comunque, di ridurre significativamente) il danno (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21894 del 19/11/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 15709 del 18/07/2011).

Orbene, come e’ stato puntualmente evidenziato, “l’enunciato “controfattuale” che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato”, deve essere formulato sulla scorta del criterio del “piu’ probabile che non”, conformandosi ad un standard “…di “certezza probabilistica” (che) in materia civile non puo’ essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilita’ quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilita’ logica o baconiana).” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008).

Applicando i predetti principi alla fattispecie in esame occorre, quindi, procedere alla valutazione della efficienza – in termini di incidenza probabilistica – da attribuire ai singoli fattori che rilevati nella sequenza “causa-effetto” riferita alla “omessa diagnosi di appendicite acuta risoluzione della patologia infiammatoria mediante intervento chirurgico d’urgenza – stato di coma con pericolo di vita”, verifica eziologica da compiersi con la tecnica giuridica propria dell’accertamento della responsabilita’ del diritto civile (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008) la quale – a differenza dell’accertamento della responsabilita’ penale – non richiede la assoluta certezza (intesa come esclusione di qualsiasi ragionevole dubbio) che dal fatto accertato proceda inevitabilmente una determinata conseguenza, ma ritiene sufficiente a fondare il nesso di derivazione causale la applicazione del criterio logico della cd. “elevata certezza probabilistica”, tale per cui un fatto (la condotta omessa), valutato alla stregua di un complessivo esame di tutte le circostanze concrete, viene ad essere riconosciuto – tra molteplici altri fatti tutti astrattamente idonei ad integrare “possibili fattori causali” di un determinato evento – come il “piu’ probabile” fattore genetico, nel senso che l’evento verificatosi puo’ ritenersi “piu’ probabilmente che non” effetto-conseguenza di quel determinato fatto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10285 del 05/05/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 10741 del 11/05/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 13214 del 26/07/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013).

Osserva al riguardo il Collegio che, sostituendosi alla condotta omissiva (ovvero all’errore diagnostico) l’elemento “controfattuale” della corretta rilevazione della patologia, permane immutato nella sequenza prospettata il segmento causale successivo, risultando comunque ineliminabile il ricovero ospedaliero del paziente per la necessaria risoluzione chirurgica della patologia, tanto nella sequenza causale effettivamente rilevabile nel suo accadimento storico, quanto nella sequenza causale astrattamente ricostruita mediante prognosi postuma. Tanto e’ sufficiente ad escludere che possa riconoscersi al fatto antecedente – omessa diagnosi – un contributo eziologico non solo determinante, ma anche soltanto concorrente, nella serie descritta: ed infatti l’errore diagnostico al pari della ipotetica corretta diagnosi, appare del tutto indifferente rispetto all’insorgenza del fattore causale successivo, che trova il suo diretto antecedente causale nella malattia – non altrimenti trattabile a livello terapeutico – e non certo nella omessa diagnosi della stessa: il che e’ a dire che l’intervento chirurgico e conseguentemente anche la inesatta esecuzione della prestazione ospedaliera del medico anestesista, non trovano univoco riferimento genetico nell’errore diagnostico.

Alcuna relazione, in termini di incidenza concorsuale causale puo’ essere, peraltro, istituita tra il “ritardo” nella rilevazione della patologia, inquadrata correttamente soltanto al momento del ricovero presso l’Ospedale di (OMISSIS), e la grave (in quanto integrante una violazione del comune protocollo da seguire in caso di intubazione del paziente) condotta imperita dell’anestesista tenuta durante l’intervento chirurgico, atteso che la evoluzione peggiorativa della malattia da “appendicite acuta” in “peritonite” qualifica la condizione di “urgenza” della esecuzione del trattamento, da ritenere in ogni caso “non elettivo”, ma non qualifica anche come “normale” – secondo un giudizio ex ante fondato sul criterio del “piu’ probabile che non” – il rischio di subire in conseguenza di un intervento urgente ma privo di speciale difficolta’ -in quanto eseguito in ambiente ospedaliero e quindi nel massimo livello di protezione assicurabile da una struttura sanitaria – l’esito negativo di uno stato di coma prolungato con pericolo di vita, che appare evento del tutto anomalo ed eccezionale (in assenza di peculiari preesistenti o concomitanti condizioni soggettive del paziente o di particolari condizioni di oggettiva difficolta’ di esecuzione della prestazione medica) rispetto alla regolare serie causale originata dalla omessa diagnosi, e la cui genesi eziologica rimane interamente assorbita nella efficienza deterministica esclusiva della condotta del medico anestesista, improntata ad imperizia per colpa grave, tale essendo stato considerato, nella sentenza n. 13055/2014 della Sez. lav. di questa Corte che ha cassato con rinvio, il mancato “posizionamento del sondino naso gastrico per svuotare lo stomaco prima di indurre l’anestesia”.

Escluso, pertanto, il nesso di causalita’ tra la omessa diagnosi e lo stato di corna del paziente conseguito all’intervento chirurgico di appendicectomia, l’Amministrazione statale va esente da responsabilita’ civile per i danni subiti da (OMISSIS) e dai familiari, dovendo in conseguenza essere rigettata la domanda di condanna al risarcimento danni come proposta dai danneggiati nei confronti del Ministero della Difesa.

In conclusione il ricorso proposta dal Ministero della Difesa trova accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in parte qua.

Non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto la causa va decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda introduttiva proposta da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dell’Amministrazione statale.

L’altalenante esito dei gradi di giudizio legittima la integrale compensazione per giusti motivi delle spese dell’intero giudizio, in applicazione dell’articolo 92 c.p.c. nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte con L. n. 263 del 2005.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda introduttiva proposta da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dell’Amministrazione statale, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.