La condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, e’ volta a salvaguardare finalita’ pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonche’ interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealta’ e probita’ sanciti dall’articolo 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per se’ legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso e’ preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede ne’ la domanda di parte ne’ la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosita’ dell’iniziativa giudiziaria per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Corte di Cassazione, Sezione 6 3 civile Ordinanza 6 marzo 2019, n. 6440

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25391-2017 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 232/2017 del TRIBUNALE di VIBO VALENTIA, depositata il 22/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

La Corte.

RILEVATO

che:

(OMISSIS) conveniva davanti al Giudice di Pace di Vibo Valentia (OMISSIS) e (OMISSIS) S.p.A. per ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni subiti da sinistro stradale del (OMISSIS); si costituiva resistendo (OMISSIS).

Con sentenza del 3 gennaio 2013 il Giudice di Pace dichiarava una responsabilita’ paritaria dei conducenti, ai sensi dell’articolo 2054 c.c., comma 2, nella causazione del sinistro e condannava in conseguente misura i convenuti a risarcire l’attore.

Il (OMISSIS) proponeva appello, cui la compagnia resisteva; con sentenza del 22 marzo 2017 il Tribunale di Vibo Valentia lo rigettava.

Il (OMISSIS) ha presentato ricorso basato su due motivi, dal quale nessuno degli intimati si e’ difeso.

RITENUTO

che:

1. Il primo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 2054 c.c., comma 2, in riferimento agli articoli 148 e/o 149 C.d.S., per avere i giudici di merito ritenuto la pari responsabilita’ dei conducenti, nonostante fosse stato dimostrato che il sinistro venne causato dal veicolo di proprieta’ dell’ (OMISSIS), che ne era anche il conducente, il quale aveva tamponato l’auto del ricorrente nel tentativo di sorpassarla.

Si tratta, ictu oculi, nonostante la prospettazione in rubrica di una denuncia di error in iudicando, di una doglianza di natura fattuale, che persegue un terzo grado di merito chiedendo una revisione degli esiti del compendio probatorio, e che quindi incorre nella inammissibilita’.

2. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, per essere stato l’attuale ricorrente condannato d’ufficio ai sensi di detta norma, senza accertamento specifico sulla sua condotta e sul danno subito dalla parte vittoriosa. Si rileva che presupposto dell’applicazione di tale norma sarebbe la sussistenza di malafede o colpa grave, e quindi si argomenta per dimostrare che nessuno di tali profili soggettivi sarebbero stati riscontrabili nella condotta processuale dell’attuale ricorrente.

In realta’, il Tribunale ha ritenuto i motivi d’appello di manifesta infondatezza e quindi sussistente colpa grave, e ha motivato sul punto, valutando in naturale contestualita’ le sue argomentazioni, nelle pagine 3-5 della sentenza.

Invero, l’ormai consolidato insegnamento di questa Suprema Corte ha chiarito che nella fattispecie di cui all’articolo 96 c.p.c., comma 3, occorre l’elemento soggettivo, il quale per altro, nella specie della colpa grave, puo’ ben essere manifestato dalla manifesta infondatezza della prospettazione giuridica della parte soccombente (cfr. per tutte S.U. 20 aprile 2018 n. 9912 – per cui

“La responsabilita’ aggravata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui alla medesima norma, ai commi 1 e 2, non richiede la domanda di parte ne’ la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilita’ della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicche’ possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in se’, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosita’ dell’azione per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.”

– e S.U. 13 settembre 2018 n. 22405 – per cui

“La condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, e’ volta a salvaguardare finalita’ pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonche’ interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealta’ e probita’ sanciti dall’articolo 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per se’ legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso e’ preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede ne’ la domanda di parte ne’ la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosita’ dell’iniziativa giudiziaria per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.” -).

Il motivo, pertanto, non merita accoglimento.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, non essendovi luogo a pronuncia sulle spese in quanto non si sono difesi gli intimati; sussistono invece Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, ex articolo 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara non luogo a provvedere sulle spese processuali.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

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