alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell’art. l della L. n.164n. 164 del 1982, nonché dei successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell’art.31, comma 4, del D.Lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale. In sostanza, l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari non è necessario per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile.

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Tribunale|Siena|Civile|Sentenza|20 settembre 2022| n. 776

Data udienza 15 settembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI SIENA

SEZIONE UNICA

Il Tribunale di Siena nella seguente composizione:

Dott.ssa Marianna Serrao Presidente rel.

Dott. ssa Clara Ciofetti Giudice

Dott.ssa Chiara Fiamingo Giudice

Nell’odierna camera di consiglio ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella controversia iscritta al n. 1763/2021 R. G.

tra

(…) (C.F.: (…)) nata (…) e residente a Rapolano Terme in Podere (…), elettivamente domiciliata in Roma alla via (…) presso lo studio dell’Avv. Gi.Gu. (C.F.: (…)) che la rappresenta e difende, con patrocinio a spese dello Stato, delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena, giusta delega in calce all’atto di citazione

PARTE ATTRICE

nei confronti di

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SIENA

PARTE CONVENUTA

OGGETTO: Mutamento di sesso

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

(…) ha adito il Tribunale di Siena per sentir accogliere le conclusioni in epigrafe indicate assumendo:

– di aver manifestato fin all’infanzia una sua natura psicologica e comportamentale tipicamente maschile pur essendo un individuo di sesso biologico femminile;

– di avere, al fine di adeguare l’aspetto fisico alla sua psiche, sempre assunto l’aspetto e gli atteggiamenti di un uomo;

– di vivere quindi con sofferenza la propria condizione con notevoli problemi nell’integrazione sociale;

di avere da tempo preso contatti con l’Ospedale Careggi di Firenze, Dipartimento Incongruenza di Genere, nonché con gli psicologi e psichiatri del suddetto nosocomio, in particolare con la Dott.ssa Ristori e con la Dott.ssa Fisher che avevano redatto apposita relazione.

Parte attrice è comparsa personalmente all’udienza del 8 settembre 2022 in cui interrogata liberamente ha confermato di aver già intrapreso terapia ormonale e di voler insistere nella domanda e il difensore ha precisato le conclusioni come in epigrafe con rinuncia ai termini di cui all’art. 190 c.p.c..

Gli atti sono stati trasmessi al Pubblico Ministero. Entrambe le domande sono fondate e devono essere accolte.

Per quanto concerne l’istanza di autorizzare all’intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, è stata versata in atti la perizia del team multidisciplinare nella quale si legge (…) a seguiti di valutazione psicodiagnostica compiuta mediante vari colloqui clinici ha ricevuto una valutazione specialistica endocrinologica che ha permesso di escludere controindicazioni all’assunzione di terapia ormonale. Sulla base degli elementi raccolti nel corso delle valutazioni diagnostiche il team Multidisciplinare ha effettuato la diagnosi di Disforia di genere. La persona presente infatti un evidente e persistente identificazione con il genere maschile associata a disagio clinicamente significativo; non si riscontrano concomitanti disturbi psichiatrici tali da inficiare la diagnosi di DG. E ancora “(…) presenta un quadro di DG di cui è perfettamente consapevole e che provoca un elevato livello di sofferenza psichica…l’autorizzazione agli interventi chirurgici di riaffermazione di genere appare del tutto motivata e coerente .Inoltre la possibilità di sottoporsi agli interventi chirurgici avrebbe un impatto positivo sulla vita quotidiana, permettendo di promuovere un maggior equilibrio per il benessere psicologico anche alla luce della stabile identificazione maschile di (…). Al contrario il mancato riconoscimento della propria identità maschile potrebbe risultare dannoso e compromettere il funzionamento psicologico”.

Alla luce delle valutazioni del team multidisciplinare, esaustivamente motivate, deve concludersi che l’intervento di rettificazione di attribuzione di sesso può essere autorizzato.

Merita, altresì, accoglimento la domanda di autorizzazione immediata dell’attrice al cambiamento di sesso anagrafico da femminile in maschile.

La Prima Sezione della Suprema Corte con una condivisibile pronuncia ha ritenuto che “alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell’art. l della L. n.164n. 164 del 1982, nonché dei successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell’art.31, comma 4, del D.Lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale” (sentenza n. 15138 del 20 luglio 2015).

In sostanza, dunque, la Suprema Corte ha stabilito che l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari non è più necessario per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile.

Nella decisione in esame la Cassazione ha esaminato il complesso delle nonne interessate.

In primo luogo, i Giudici di legittimità hanno ricordato che il diritto al cambiamento di sesso rientra nell’area dei diritti inviolabili della persona, come sancito dalla sentenza n. 161 del 1985 della Corte costituzionale, secondo la quale “la legge n. 169 del 1982 si colloca nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale”.

Ne discende che l’interpretazione della L. n. 164/82 deve tener conto dell’iscrizione del diritto al riconoscimento dell’identità di genere in una civiltà giuridica in continua evoluzione, in quanto soggetta alle modificazioni dell’approccio scientifico, culturale ed etico rispetto alle questioni inerenti il mutamento di sesso ed il fenomeno del transessualismo e, più in generale, le scelte relative a genere e alla sfera dell’identità personale.

Tornando al dato normativo, l’art. 1 L. 164/82 stabilisce che la rettificazione di sesso si fonda su un accertamento giudiziale, passato in giudicato, che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita “a seguito d’intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.

L’art. 3-L’art.3 – abrogato nella sua formulazione originaria per effetto dell’art. 34, comma 39, D.Lgs. 150/11, trasfuso, senza variazioni testuali, nel quarto comma dell’art. 31 D.Lgs. 150/11 – stabilisce che “quando risulta necessario” un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medicochirurgico il Tribunale lo autorizza. Il procedimento, come ne risulta delineato, non è più bifasico, in quanto, non richiede, dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 150/11, due pronunce: una volta all’autorizzazione sopra indicata e l’altra finalizzata alla modificazione dell’attribuzione di sesso.

A fronte di un simile dato normativo rappresentato dalla nuova disciplina, di carattere fortemente innovativo rispetto alla precedente, la sentenza evidenzia come, fin dall’entrata in vigore della L. 164/82 la dottrina, sottolineando unanimemente quell’elemento di novità, si è interrogata sull’effettivo contenuto delle due norme, dal momento che, sul piano testuale, non contenevano l’obbligo di procedere alla mutazione dei caratteri sessuali anatomici primari mediante trattamento chirurgico come, invece, poteva riscontrarsi nelle normative di altri paesi europei.

I Giudici della Suprema Corte hanno proceduto, allora, ad una analitica verifica circa la possibilità di prospettare soluzioni interpretative diverse ed alternative, in ordine alla necessità della modifica preventiva per via chirurgica dei caratteri sessuali primari, oppure, se – nonostante l’espresso richiamo a clausole “in bianco” (quali “quando risulti necessario”) e onnicomprensive (quali “caratteri sessuali”) – le norme abbiano comunque un contenuto precettivo univoco.

Partendo, allora, dall’esame di legislazioni vigenti in altri Paesi dell’Unione Europea (con particolare riguardo alla Germania ed all’Austria) hanno evidenziato che la Corte EDU nella pronuncia 10 marzo 2015 (Caso XY contro Turchia) ha stabilito che non può porsi come condizione al cambiamento di sesso la preventiva incapacità di procreare da realizzarsi ove necessario mediante intervento chirurgico di sterilizzazione ostandovi il diritto alla vita privata e familiare e alla salute. Hanno altresì puntualizzato come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo fosse giunta a tale decisione dopo un’ampia panoramica delle normative dei paesi aderenti e rilevando come anche grazie ai rapporti delle Nazioni Unite (17 marzo 2011) e dello stesso Consiglio d’Europa (nel 2009 e nel 2011) si fosse data sempre maggiore rilevanza al profilo del diritto alla salute nel riconoscimento del diritto al mutamento di sesso e nell’operazione di bilanciamento di interessi da svolgere. Ora, nel la L. 164/82 non sono previste precondizioni espresse relative allo stato (libero) del richiedente o all’incapacità procreativa. Il mutamento richiesto riguarda i “caratteri sessuali” senza specificazioni, nonostante la conoscenza al momento della sua entrata in vigore, dell’esistenza delle due tipologie dei caratteri sessuali, i primari ed i secondari. el successivo art. 3 (attualmente confluito nel quarto comma dell’art. 31 D.Lgs. 150/11), è stabilito che l’adeguamento di tali caratteri mediante trattamento medico chirurgico deve essere autorizzato “quando risulta necessario”. L’esame congiunto delle due norme consente, quanto meno sul piano testuale, di escludere che (al contrario di quanto riscontrato in atri ordinamenti europei) si possano identificare limitazioni normative preventive al riconoscimento del diritto.

Nel sistema creato con la L 162/84 la correzione chirurgica non è imposta dal testo delle norme, essendo sufficiente procedere ad un’interpretazione di esse che si fondi sull’esatta collocazione del diritto all’identità di genere all’interno dei diritti inviolabili che compongono il profilo personale e relazionale della dignità personale e che contribuiscono allo sviluppo equilibrato della personalità degli individui, mediante un adeguato bilanciamento con l’interesse di natura pubblicistica alla chiarezza nella identificazione dei generi sessuali e delle relazioni giuridiche.

Questo risultato si può ottenere anche senza ricorrere a trattamenti che verrebbero a dimostrarsi ingiustificati e discriminatori, pur rimanendo ineludibile un rigoroso accertamento della definitività della scelta sulla base dei criteri desumibili dai risultati attuali e condivisi dalla scienza medica e psicologica.

Di conseguenza, per prima cosa, la Cassazione ha escluso, anche in sede d’interpretazione logica, che l’esame integrato degli artt. 1, 3 L. 162/84 conduca a ritenere necessaria la preventiva demolizione (totale o parziale) dei caratteri sessuali anatomici primari.

La diversa conclusione non è stata condivisa per due ragioni: non può ritenersi che la norma, non specificando se i caratteri sessuali da mutare siano primari o secondari, si sia riferita soltanto ai primi perché anche i secondari richiedono interventi modificativi, anche incisivi (trattamenti ormonali di lungo periodo, interventi di chirurgia estetica modificativi di tratti somatici appartenenti al genere originario, interventi additivi o ricostruttivi quali quelli relativi al seno, in caso di mutamento dal genere maschile o femminile); tale lettura risulta peraltro logicamente coerente con la successiva previsione dell’intervento chirurgico demolitivo dei caratteri sessuali anatomici primari “solo quando risulti necessario”. Inoltre, l’interpretazione “storico-sistematica” fatta propria dalla Corte d’Appello non è condivisibile risultando fondata su una lettura esclusivamente storico-originalista, di carattere del tutto statico, del complesso normativo costituito dagli artt. 1 e 3 L. 164/82, in contrasto con l’indicazione contenuta nella citata sentenza n. 161/85 della Corte Costituzionale, secondo la quale i diritti in gioco costituiscono parte integrante di una civiltà giuridica in continua evoluzione.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, i Giudici della S.C. hanno sostenuto che la percezione di una disforia di genere – non a caso il disturbo dell’identità di genere non è più menzionato nel manuale statistico diagnostico delle malattie mentali – determini l’esigenza di un percorso individuale di riconoscimento della propria identità personale né breve né privo d’interventi modificativi delle caratteristiche somatiche ed ormonali originarie. In questa prospettiva, “il profilo diacronico e dinamico ne costituisce una caratteristica ineludibile e la conclusione del processo di ricongiungimento tra “soma e psiche” non può, attualmente, essere stabilito in via predeterminata e generale soltanto mediante il verificarsi della condizione dell’intervento chirurgico”.

Dopo avere ampiamente esaminato il quadro normativo, la Suprema Corte si è soffermata sull’influenza dell’evoluzione nel campo medico e culturale delta società europea.

Nella materia in esame non può ignorarsi l’evoluzione degli ultimi decenni, sia legata al progressivo sviluppo della scienza medica (in cui sono ricomprese anche la psicologia e la psichiatria) e alla crescita culturale, largamente condivisa a livello europeo, secondo cui si tratta di diritti della persona, espressione delle libertà individuali e relazionali che compongono la vita privata e familiare.

Effettivamente, nel momento in cui è entrata in vigore la L. 164/82 il mutamento dei caratteri anatomici era ritenuto un requisito necessario per poter portare a termine il processo di mutamento del sesso. La stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 161/85 ne ha riconosciuto l’importanza, anche se come mezzo rivolto a porre fine ad una situazione di “disperazione od angoscia”, che pertanto, entro tali limitati confini soggettivi, poteva essere ritenuto uno strumento “liberatorio”.

Le evoluzioni in campo medico e culturale intervenute negli ultimi decenni hanno portato significativi cambiamenti.

Intatti, il movimento culturale ha influenzato l’emersione e il riconoscimento dei diritti delle persone transessuali, alle quali è stato possibile, diversamente che in passato, scegliere il percorso medico-psicologico più coerente con il personale processo di mutamento dell’identità di genere. Ne risulta un momento conclusivo di tale percorso prettamente individuale, certamente non standardizzabile, proprio perché attinente alla sfera più esclusiva della personalità.

Nondimeno, il punto d’arrivo (il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche) risulta, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale e si compone di terapie ormonali, di chirurgia estetica, di sostegno psicoterapeutico.

La complessità del menzionato percorso mette ulteriormente in luce l’appartenenza del diritto in questione al nucleo costitutivo dello sviluppo della personalità individuale e sociale, in modo da consentire un adeguato bilanciamento con l’interesse pubblico alla certezza delle relazioni giuridiche, che costituisce il limite indicato dal nostro ordinamento al suo riconoscimento.

La Suprema Corte ha individuato come punto di equilibrio tra le due sfere di diritti in conflitto e utile indicatore ermeneutico nella scelta dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata degli artt. 1 e 3 L. 164/82 il principio di proporzionalità. Tale parametro, elaborato dalla giurisprudenza della CEDU al fine di stabilire il limite dell’ingerenza dello Stato all’esplicazione del diritto alla vita privata e familiare (art. 8 CEDU) si fonda sulla comparazione tra il complesso dei diritti della persona e l’interesse pubblico da preservare mediante la compressione o la limitazione di essi. In particolare, si richiede la valutazione della necessità del sacrificio di tali diritti al fine di realizzare l’obiettivo della certezza della distinzione tra i generi e delle relazioni giuridico-sociali.

Le caratteristiche del percorso individuale rivolto a comporre un carattere distintivo costitutivo dell’identità personale inducono a ritenere, anche alla stregua delle coincidenti indicazioni della scienza medica e psicologica, che il mutamento di sesso sia una scelta personale tendenzialmente immutabile, sia sotto il profilo della percezione soggettiva, sia sotto il profilo delle oggettive mutazioni dei caratteri sessuali secondari (estetico-somatici ed ormonali).

La Corte di legittimità ha poi precisato che, in ogni caso, il riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di sesso deve essere preceduto da un accertamento rigoroso del completamento di tale percorso individuale da compiere attraverso la documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal richiedente, se necessario integrati da indagini tecniche officiose volte ad attestare l’irreversibilità personale della scelta.

Tali caratteristiche – ponderate insieme al dato rappresentato dalla dimensione del tutto limitata del transessualismo – hanno indotto la Cassazione a ritenere coerente con i principi costituzionali e convenzionali un’interpretazione degli artt. 1 e 3 L. 164/82 che non imponga l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, valorizzando in questa lettura la formula normativa “quando risulti necessario”.

In particolare, sul punto la sentenza in esame precisa che “l’interesse pubblico alla definizione certa dei generi … non richiede il sacrificio del diritto alla conservazione della propria integrità psico (sica sotto Io specifico profilo dell’obbligo dell’intervento chirurgico inteso come segmento non eludibile dell’avvicinamento del soma alla psiche. L’acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale sia accertata, ove necessario, mediante rigorosi accertamenti tecnici in sede giudiziale”.

Nel caso in esame, dalla consulenza medica in atti emerge la prova della serietà ed univocità del percorso scelto e della conseguente possibilità di riconoscere a tale percorso – anche prima dell’esecuzione dell’intervento di rettificazione di attribuzione di sesso, peraltro richiesto – il crisma della irreversibilità, nei termini intesi dalla Cassazione.

Invero, la diagnosi di disforia di genere, la terapia ormonale alla quale si è sottoposta pur nella consapevolezza dei rischi a essa connessi, l’esito del percorso di transizione (da un lato assenza di ripensamenti e/o paure e dall’altro lato rafforzamento del desiderio di rendere “reale” l’identità del sesso psicologico), la decisione stessa di sottoporsi a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso dimostrano la già consolidata convinzione della (…) di appartenenza al genere nel quale si chiede giudizialmente la rettificazione.

La sua esperienza di vita, fin dall’infanzia, ha visto l’istante sentirsi di sesso diverso e nell’identificarsi in tale diverso genere ha riscontrato, col tempo, una sua armonia ed il raggiungimento di un equilibrio psichico che si è consolidato negli anni, fino a giungere ad un percorso univoco e diretto al mutamento del sesso.

Considerata la natura istituzionale di contraddittore necessario rivestita dal P.M., a fronte della non contestazione della domanda, si ritiene rispondente a giustizia non assumere provvedimenti sulle spese di giudizio.

Le spese del difensore, attesa l’ammissione al gratuito patrocinio, saranno liquidate, a seguito di apposita istanza, con separato decreto.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa eccezione, domanda ed istanza disattesa,

visti gli artt. 1 e ss. Legge 14 aprile 1982, n. 164,

1) autorizza (…) (C.F.: (…)) nata (…) all’intervento chirurgico di riattribuzione di sesso;

2) attribuisce a (…) (C.F.: (…)) nata (…) il sesso maschile, attribuendogli il nome di (…) così rettificando l’atto di nascita ove è enunciato il sesso femminile e il nome (…) ordinando all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Penne (PE) ove l’atto di nascita è stato trascritto, di procedere alla rettificazione nel relativo registro;

3) nulla sulle spese

Così deciso in Siena il 15 settembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.