Il grave pregiudizio al patrimonio del donante dolosamente arrecato dal donatario, richiesto, ex articolo 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilita’ di una donazione per ingratitudine, deve essere causato con il deliberato proposito di danneggiare il donante e tenendo altresi’ conto della situazione economica di quest’ultimo.
Occorre comunque che si tratti di comportamenti frutto esclusivamente dell’animosita’ e dell’avversione nutrite dal donatario avverso il donante, sicche’ non puo’ ravvisarsi il deliberato proposito di danneggiare il donante stesso in presenza di legittime iniziative costituenti esercizio del diritto di proprieta’ del donatario sul bene donato o mezzi di tutela del suo patrimonio.
L’esercizio di un diritto del donatario non puo’, invero, essere causa di grave pregiudizio al patrimonio del donante dolosamente arrecato se non quando il donatario se ne serva per conseguire non gia’ il risultato ottenibile con l’esercizio del diritto, ma vantaggi ingiusti, ossia abnormi o diversi da detto risultato, o obiettivamente iniqui ed esorbitanti rispetto al dovuto, ispirati soltanto dall’animosita’ e dall’avversione maturate avverso il donante.

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 26 settembre 2018, n. 23077

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11339-2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso SRL (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 930/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 12/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 930/2013 della Corte d’Appello di Lecce, depositata il 12 dicembre 2013, che aveva respinto l’impugnazione avanzata dalla medesima (OMISSIS) contro la pronuncia resa in primo grado il 15 giugno 2010 dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie.

Resiste con controricorso (OMISSIS), il quale ha anche presentato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c.

Con citazione del 16 maggio 2003, (OMISSIS) convenne il nipote (OMISSIS) al fine di ottenere la revocazione per ingratitudine della donazione del 22 luglio 1993 relativa ad una zona di terreno edificabile in (OMISSIS), con condanna alla riduzione in pristino ed al rilascio dell’immobile. (OMISSIS) dedusse che, a partire dal giugno del 2002, il nipote aveva avuto nei suoi confronti comportamenti di ostilita’ e di inimicizia, consistenti: nell’aver creato dissapori tra la stessa attrice e la sorella convivente Leda, in maniera da indurre quest’ultima a designare quale suo erede testamentario il medesimo convenuto (OMISSIS); nei rapporti avuti con l’architetto (OMISSIS), amministratore del patrimonio delle sorelle Corinna e Leda; nell’impedire in ogni modo all’attrice di utilizzare il pozzo esistente sulla porzione di terreno donata; nell’aver tentato di spossessare la zia (OMISSIS) della fascia di terreno in cui e’ allocato il pollaio; nell’aver fatto redigere, quale erede, l’inventario dei beni della zia (OMISSIS) rinvenuti nella casa di (OMISSIS), ove la defunta era ospitata; nel costituirsi quale erede di (OMISSIS) in un giudizio in cui quest’ultima aveva svolto domanda riconvenzionale per usucapione della casa di (OMISSIS) di proprieta’ di (OMISSIS), e nell’aver avanzato pretese su buoni postali di proprieta’ della medesima attrice; nell’aver coltivato una causa penale nata da una querela di (OMISSIS) rivolta a Corinna, testimoniando contro quest’ultima; nell’essersi impossessato di alcuni libri antichi e di un tavolo di legno d’ulivo di proprieta’ di (OMISSIS), consegnati al nipote (OMISSIS) senza alcuna autorizzazione da (OMISSIS).

La Corte d’Appello di Lecce confermo’ il rigetto delle domande proposte da (OMISSIS), osservando: come il Tribunale avesse dato risposta ad esse sotto il profilo dell’ingiuria grave e del grave pregiudizio al patrimonio del donante (e non invece ai fatti previsti dall’articolo 463 c.c., nn. 1, 2 e 3); come la prova testimoniale dedotta dall’attrice fosse stata condivisibilmente non ammessa dal primo giudice, in quanto vertente su circostanze gia’ emergenti dai documenti prodotti o non contestate, ovvero su fatti negativi o su questioni inconferenti; come in ogni caso ne’ il mancato utilizzo del pozzo, ne’ la costituzione in prosecuzione nel giudizio per usucapione, ne’ la redazione dell’inventario potessero considerarsi fatti dolosamente miranti a pregiudicare il patrimonio della donante Corinna; come non si ravvisassero fatti suscettibili di arrecare pregiudizio alla sfera morale della zia Corinna nell’accusa portata ad (OMISSIS) di averle contrapposto la sorella (OMISSIS), fomentando i dissapori tra le due, essendo rimasta indimostrata, anche per la genericita’ dei capitoli di prova formulati in argomento, l’allegazione di una diffamazione ai danni dell’attrice.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Va disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso avanzata dal controricorrente. Pur essendo infatti il ricorso compilato mediante trascrizione integrale di atti relativi al giudizio di merito (in particolare, dell’atto di appello, che viene riprodotto da pagina 11 a pagina 34 di ricorso), la stessa trascrizione viene accompagnata da una sufficiente sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione delle questioni dedotte, sicche’ appare rispettato il requisito di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. Sez. U, 24/02/2014, n. 4324).

I.1. Il primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e l’insufficiente e contraddittoria motivazione della Corte di Lecce sul fatto decisivo attinente al primo motivo d’appello, consistente nell’avere il Tribunale escluso la sussistenza dei fatti di cui all’articolo 463 c.c., nn. 1, 2 e 3 non costituenti motivo della proposta revocazione, e nell’aver invece omesso di considerare i fatti sui quali si fondava la causa petendi della domanda proposta, consistenti nell’ingiuria grave e nel grave pregiudizio al patrimonio della donante dolosamente arrecato. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione ai due presupposti ex articolo 801 c.c. dell’ingiuria grave e del grave pregiudizio al patrimonio della donante dolosamente arrecato; nonche’ l’illogica, contradditoria, generica ed insufficiente motivazione circa i fatti costituenti i capitoli di prova orale non ammessa e la loro rilevanza per l’integrazione degli estremi dell’ingiuria grave e del grave pregiudizio al patrimonio della donante dolosamente arrecato; ed ancora deduce la violazione dei principi regolatori del giusto processo.

Il terzo motivo di ricorso allega l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti attinenti al grave pregiudizio al patrimonio della donante, nonche’ la violazione degli articoli 112 e 113 c.p.c. in relazione all’articolo 801 c.c. La contraddittorieta’ della motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Lecce attiene al danno implicito alle piante per la mancata erogazione di acqua della cisterna comune, alla presunta e mai intervenuta transazione tra zia e nipote riguardo alla domanda di usucapione della casa di abitazione di (OMISSIS) proseguita da (OMISSIS) quale nipote di (OMISSIS), ed all’inventario fatto in casa di (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) sempre quale erede di (OMISSIS). Si aggiunge la censura di omessa motivazione e di violazione dei principi regolatori del giusto processo.

Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 801 c.c. e degli articoli 113, 115 e 116 c.p.c., nonche’ l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi, tutti costituenti altrettante ingiurie gravi presupposto della revocazione. Si aggiunge la “violazione dei principi di diritto consolidati contenuti nella giurisprudenza di legittimita’ e di merito sulla revocazione della donazione per ingratitudine”.

Il quinto motivo allega la violazione e falsa applicazione dell’articolo 801 c.c. e l’insufficiente e contraddittoria motivazione sui fatti addebitati ad (OMISSIS), documentati ed oggetto della richiesta prova testimoniale, idonei a costituire ingiuria grave e grave pregiudizio al patrimonio della donante. Viene aggiunta la violazione dei principi regolatori del giusto processo.

1.2. I primi cinque motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi e rivelano tutti profili di inammissibilita’, oltre a risultare comunque infondati.

Le prime cinque censure denunciano vizi di “insufficienza”, “illogicita’” o di “contraddittorieta’” della motivazione, oppure di “omessa motivazione”, senza conformarsi al parametro di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv. in L. n. 134 del 2012, il quale ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Il ricorrente, invero, espone censure di assunta illogica, generica, contraddittoria ed insufficiente motivazione, che sono estranee al nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e che neppure sopravvivono come ipotesi di nullita’ della sentenza ai sensi del medesimo articolo 360 c.p.c., n. 4); tali censure deducono, in realta’, l’omesso esame di elementi istruttori, il che nemmeno integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Ancor piu’ chiaramente, i primi cinque motivi richiedono a questa Corte di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, di individuare fonti di convincimento diverse da quelle prescelte dai giudici di secondo grado, di rivalutare le prove e ricontrollarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute dalla ricorrente maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, compiti tutti esulanti dal proprium del giudizio di legittimita’.

Quanto poi alle dedotte violazioni degli articoli 115 c.p.c. e 116 c.p.c. (secondo e quarto motivo), esse sono prive di consistenza, atteso che la violazione dell’articolo 115 c.p.c.puo’ essere ipotizzata come vizio di legittimita’ solo denunciando che il giudice abbia deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; mentre la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).

Il primo motivo di ricorso, in particolare, censura come omesso esame di fatto la decisione che, in realta’, la Corte di Lecce ha espressamente reso a pagina 5 della sentenza impugnata, in ordine alla questione di diritto oggetto del primo motivo di appello. Se la ricorrente intendeva lamentare l’omessa pronuncia sul suo motivo di appello, cio’ doveva fare deducendo la sola violazione dell’articolo 112 c.p.c. e non gia’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensi’ la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello (Cass. Sez. 6 – 3, 16/03/2017, n. 6835). Se invece la censura era diretta contro la soluzione interpretativa data al motivo di gravame dalla Corte d’Appello, doveva allora essere denunciato soltanto un vizio di violazione di legge.

In ogni modo, perche’ sia effettivamente configurabile una violazione dell’articolo 112 c.p.c., deve verificarsi che il giudice, alterando taluno degli elementi obbiettivi di identificazione dell’azione (“causa petendi” e “petitum”), o introducendone uno nuovo, abbia negato ad una delle parti il bene richiesto o ne abbia attribuito uno diverso. Le cosiddette affermazioni ad abundantiam, contenute nella motivazione della sentenza di primo grado (come illustrato dalla Corte d’Appello a proposito dei riferimenti all’articolo 463 c.c., n. 1, 2 e 3), giacche’ consistenti in argomentazioni rafforzative di quella costituente la premessa logica della statuizione contenuta nel dispositivo (comunque diretta a rigettare la domanda di revocazione per ingratitudine stante l’insussistenza dell’ingiuria grave e del grave pregiudizio al patrimonio della donante), vanno, piuttosto, considerate superflue e quindi giuridicamente irrilevanti ai fini della censurabilita’ sotto il profilo della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, qualora l’argomentazione rafforzata, come nel caso in esame, sia di per se’ sufficiente a giustificare la decisione adottata.

La Corte d’Appello di Lecce, confermando il rigetto delle domande proposte da (OMISSIS), ha cosi’ congruamente argomentato che il Tribunale aveva pronunciato sugli elementi di fatto e le ragioni di diritto posti a fondamento della pretesa, ovvero sulla insussistenza dell’ingiuria grave e del grave pregiudizio al patrimonio del donante, considerando nulla piu’ che “un breve segmento argomentativo della motivazione, posto quasi ad abundantiam” il richiamo fatto dal primo giudice alle ipotesi previste dall’articolo 463 c.c., nn. 1, 2 e 3.

La mancata ammissione della articolata prova testimoniale dedotta dall’attrice e’ stata quindi giustificata dai giudici d’appello non soltanto sul presupposto che le circostanze indicate nei capitoli risultassero gia’ emergenti dai documenti prodotti o non contestate, ma altresi’ evidenziando come le stesse non apparissero rilevanti ai fini della prova degli estremi dell’ingiuria grave e del grave pregiudizio al patrimonio della donante dolosamente arrecato.

I fatti comunque esaminati dai giudici del merito, e ritenuti non decisivi per l’accoglimento della domanda di revocazione della donazione, consistono, come visto, nell’impedimento opposto da Enrico all’utilizzo del pozzo per l’irrigazione del terreno della zia Corinna, nella prosecuzione da parte di (OMISSIS) del giudizio pendente tra le sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS) in qualita’ di erede della prima zia, nella redazione dell’inventario della defunta (OMISSIS), nell’inimicizia fomentata tra le due sorelle. L’unica circostanza che la Corte di Lecce ha definito indimostrata, per la genericita’ dei capitoli di prova formulati in argomento, e’ quella della diffamazione compiuta dal nipote (OMISSIS) ai danni dell’attrice (circostanza capitolata come “vero che il DR. (OMISSIS) ha indirizzato, in pubblico, verso la Zia (OMISSIS) gesti ingiuriosi”).

La decisione della questione di diritto effettuata dai giudici d’appello e’ conforme all’interpretazione giurisprudenziale costante di questa Corte, cio’ con riguardo alle astratte fattispecie di legge invocate a parametro della correttezza della sentenza impugnata, essendo aspetto estraneo al vizio di violazione di legge quello della ridefinizione dei contorni di fatto della vicenda concreta da giudicare, aspetto su cui puo’ sollecitarsi il controllo di legittimita’ unicamente nei limiti del richiamato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero in caso di mancato esame di dati materiali decisivi, ovvero di episodi fenomenici rilevanti e delle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio.

Il grave pregiudizio al patrimonio del donante dolosamente arrecato dal donatario, richiesto, ex articolo 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilita’ di una donazione per ingratitudine, deve essere causato con il deliberato proposito di danneggiare il donante e tenendo altresi’ conto della situazione economica di quest’ultimo.

Occorre comunque che si tratti di comportamenti frutto esclusivamente dell’animosita’ e dell’avversione nutrite dal donatario avverso il donante, sicche’ non puo’ ravvisarsi il deliberato proposito di danneggiare il donante stesso in presenza di legittime iniziative costituenti esercizio del diritto di proprieta’ del donatario sul bene donato (nella specie, ad esempio, impedendo l’ingresso di (OMISSIS) nel fondo per consentire alla stessa l’utilizzo di un pozzo, come anche di attingere acqua dalla cisterna) o mezzi di tutela del suo patrimonio (nella specie, redigendo inventario e agendo in giudizio in prosecuzione quale erede di (OMISSIS), a salvaguardia del patrimonio della de cuius).

L’esercizio di un diritto del donatario non puo’, invero, essere causa di grave pregiudizio al patrimonio del donante dolosamente arrecato se non quando il donatario se ne serva per conseguire non gia’ il risultato ottenibile con l’esercizio del diritto, ma vantaggi ingiusti, ossia abnormi o diversi da detto risultato, o obiettivamente iniqui ed esorbitanti rispetto al dovuto, ispirati soltanto dall’animosita’ e dall’avversione maturate avverso il donante.

Le ulteriori circostanze allegate nel terzo motivo di ricorso (relative al tavolo di legno, al pollaio o al motorino della cisterna) sono in ogni caso prive di decisivita’ al fine di dar prova di un “grave pregiudizio al patrimonio” della donante, neppure risultando allegato alcunche’ sulla situazione economica della ricorrente.

Quanto all’ingiuria grave, distinto presupposto per la revocazione per ingratitudine ex articolo 801 c.c., essa, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, tuttavia si distacca dalle previsioni degli articoli 594 (ora abrogato e sostituito dalla sanzione pecuniaria civile di cui al Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 4, comma 1, lettera a) e articolo 595 c.p. e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva, il cui apprezzamento e’ peraltro riservato alla valutazione del giudice del merito.

Tale presupposto non puo’ essere desunto da singoli accadimenti che, pur risultando di per se’ censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine (Cass. Sez. 2, 31/10/2016, n. 22013; Cass. Sez. 2, 31/03/2011, n. 7487; Cass. Sez. 2, 24/06/2008, n. 17188; Cass. Sez. 2, 28/05/2008,n. 14093; Cass. Sez. 2, 05/04/2005, n. 7033).

Ancora una volta, deve escludersi che un tale comportamento ingiurioso possa desumersi dalla testimonianza resa da (OMISSIS) nel processo penale nato su querela di (OMISSIS) nei confronti della sorella (OMISSIS), non potendosi intendere la stessa testimonianza quale effetto dell’animosita’ e dell’avversione nutrite dal donatario verso la donante in conseguenza del personale giudizio di inattendibilita’ e di inverosimiglianza che la ricorrente esprime riguardo alla deposizione resa in quell’occasione. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso (quest’ultimo contenente un elenco di quindici episodi inerenti al dipanarsi dei burrascosi rapporti personali intercorsi dapprima tra le sorelle (OMISSIS) e poi fra (OMISSIS) ed il nipote (OMISSIS)) risultano cosi’ inammissibilmente volti a sollecitare il sindacato di legittimita’ nel senso di proporre a questa Corte l’adozione di una diversa regola di logica inferenziale nella delibazione degli elementi dimostrativi fattuali apprezzati dai giudici del merito.

Quanto alla mancata ammissione della prova per testi sui “gesti ingiuriosi” indirizzati da (OMISSIS) in pubblico verso la zia (OMISSIS), l’indagine sulla specificita’ dei capitoli articolati per una prova testimoniale, agli effetti dell’articolo 244 c.p.c., e’ istituzionalmente demandata al giudice di merito ed e’ incensurabile se, come nella specie compiuta dalla Corte di Lecce, risulti condotta anche tenendo conto del contenuto di tali capitoli in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti.

2. Il sesto motivo di ricorso, infine, censura l’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione del tavolo massiccio in legno di cui al punto 4 della citazione di primo grado, dell’atto di appello e delle conclusioni precisate all’udienza del 26 febbraio 2013, con violazione degli articolo 112 e 115 c.p.c. e dei principi regolatori del giusto processo.

2.1. Il motivo e’ fondato. La sentenza impugnata non ha reso alcuna pronuncia sul motivo d’appello riportato sub d) delle conclusioni di cui all’epigrafe dello stesso provvedimento nonche’ al punto 4 dell’atto di gravame, e va percio’ cassata limitatamente a tale mancata statuizione.

3. Va percio’ accolto il sesto motivo di ricorso, vanno rigettati i restanti motivi, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla sola censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce, che decidera’ in ordine alla domanda oggetto di omessa pronuncia e regolera’ anche le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.