in tema di ricostruzione del rapporto di conto corrente bancario a fronte della documentazione di un rapporto di conto corrente bancario incompleta, in mancanza dei contratti di conto corrente e degli estratti conto completi, non prodotti dalla correntista e dalla banca, convenuta in un’azione di ripetizione di indebito promossa dalla correntista, malgrado ordine di esibizione documentale, il giudice, qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto, valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti), può integrare la prova carente sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti.

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Corte d’Appello|Firenze|Sezione 2|Civile|Sentenza|21 giugno 2022| n. 1303

Data udienza 15 giugno 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI FIRENZE

SECONDA SEZIONE CIVILE

La Corte, composta dai magistrati:

– Edoardo Enrico Alessandro Monti Presidente

– Dania Mori Consigliere rel.

– Ludovico delle Vergini Consigliere

Nella causa civile n. 1752/2019 RG, promossa da:

(…) S.P.A., rappresentata e difesa dall’avv. An.Fi.

APPELLANTE

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (…) SNC, rappresentata e difesa dall’avv. Ar.Ro.

APPELLATA

Avverso la sentenza n. 139/19 R.G. 2827/16 emessa in data 5.2.19 dal Tribunale di Livorno

ha emesso la seguente

SENTENZA

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo grado di giudizio l’attrice (…) Snc aveva promosso azione di ripetizione di indebito avverso la (…). La domanda concerneva un contratto di conto corrente intestato all’impresa (c.c.n. 3849/1104) acceso presso (…) nel 2001, di cui l’attrice domandava la nullità per difetto di forma scritta. L’attrice inoltre deduceva che la banca le aveva addebitato “interessi anatocistici e commissioni di massimo scoperto in difetto di valida pattuizione contrattuale e comunque illegittimi”.

2. In data 5.7.16 (…) Snc notificava quindi presso il Tribunale di Livorno atto di citazione, chiedendo che il giudice, dichiarata la nullità del contratto di conto corrente e in ogni caso delle clausole di CMS e capitalizzazione trimestrale, condannasse (…) a rettificare in favore di parte attrice le risultanze del conto oggetto di causa, epurandolo degli effetti delle clausole viziate e mettendo a disposizione il saldo positivo alla data della citazione; in subordine, per il caso di chiusura del rapporto bancario in questione, chiedeva che la banca fosse condannata alla restituzione dell’indebito pari alla somma Euro 70.150,66, o quella maggiore o minore da accertarsi con CTU contabile.

Parte attrice depositava altresì con la citazione una perizia contabile al fine di quantificare l’importo degli addebiti illegittimi operati da (…). In via istruttoria, l’attrice richiedeva CTU contabile, per ricalcolare il rapporto dare-avere del conto corrente oggetto di causa, epurandolo dalle clausole anatocistiche e dalle CMS illegittimamente applicate dalla banca.

Si costituiva in giudizio la (…), eccependo l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, l’inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito trattandosi di conto corrente aperto, la tardività della domanda essendo intercorse prescrizioni e decadenze, nonché sostenendo che l’onere della prova spettava al titolare di conto corrente, il quale avrebbe dovuto produrre il regolamento contrattuale per provare l’esistenza di clausole illegittime.

La domanda per la banca convenuta era quindi sprovvista di prove, del tutto generica, e la richiesta istruttoria della CTU del tutto esplorativa. Oltre a ribadire quindi la radicale infondatezza della domanda attorea, la convenuta sottolineava la correttezza delle poste attribuite a titolo di anatocismo e di commissione di massimo scoperto. Concludeva chiedendo il rigetto in fatto e in diritto della domanda attorea.

Il Tribunale di Livorno decideva la causa in data 5.2.19 e per comodità di esposizione si riporta la parte essenziale della sentenza:

“Quanto all’onere della prova, se è vero che in base ai principi generali in ordine alla ripartizione grava sull’attore l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, è anche vero che, nel momento in cui viene allegata l’inesistenza del contratto, non può che gravare sulla banca l’onere di dimostrare la sua esistenza, e conseguentemente la validità delle pattuizioni che hanno giustificato l’addebito delle commissioni e degli interessi ai sensi dell’art. 117 TUB. Non può infatti imporsi al correntista di provare un fatto negativo, quale l’inesistenza del contratto, mentre, in base al principio generale di vicinanza della prova, dovrà essere colui che ne sostiene l’esistenza a doverlo dimostrare. Nel presente caso, infatti, l’attore non potrebbe fornire la prova del fatto negativo mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo, come richiede la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14854 del 13/06/2013).

L’inesistenza di un documento scritto, infatti, non è suscettibile di prova mediante l’allegazione di fatti positivi. Nel presente procedimento, a fronte della contestazione della valida pattuizione della capitalizzazione degli interessi e delle commissioni di massimo scoperto, non è stato prodotto in giudizio alcun contratto scritto che contenga la loro stipula. In assenza di una pattuizione, le commissioni di massimo scoperto e la capitalizzazione degli interessi non possono ritenersi dovute. È stata pertanto disposta una consulenza tecnica volta a ricalcolare il saldo del conto corrente senza tenere conto di tali voci. Il consulente, con una motivazione esente da contraddizioni e basata su validi principi giuridici, ha concluso affermando che “l’effetto del ricalcolo operato eliminando la capitalizzazione degli interessi e gli addebitati a titolo di commissione di massimo scoperto ha comportato al 31 marzo 2017 una variazione del rapporto dare/avere tra i contraenti a vantaggio del correntista di Euro 55.251,98 (Allegato D). Il saldo finale del conto corrente tenendo conto di tale variazione ammonterebbe ad Euro 27.340,27 a credito per il correntista”.

Il Tribunale pertanto, ritenuto non comportare l’inammissibilità della domanda il fatto che il conto corrente fosse ancora aperto, in quanto ciò preclude al correntista di chiedere la ripetizione dell’indebito ma non anche di avanzare domande di accertamento, concludeva dichiarando “che il saldo del conto corrente n. (…) acceso dalla (…)s.n.c. presso la filiale di Livorno della (…) Gruppo (…) alla data del 31.3.2017 era pari ad Euro 27.340,27 a credito per il correntista” e condannando controparte (…) al pagamento delle spese di lite.

3. Con appello notificato in data 4.9.19, la (…) chiede la riforma della sentenza n. 139/19 del Tribunale di Livorno.

3.1 Con il primo motivo di appello parte appellante sostiene che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente applicato il criterio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. L’appellante condivide il principio di diritto sancito dal Tribunale secondo cui, se il correntista attore lamenta l’inesistenza di un contratto bancario scritto, non può che gravare sulla banca l’onere di produrre il documento contrattuale, se esistente, non potendo essere fornita la prova di un fatto negativo; tuttavia secondo l’appellante questo principio non poteva essere applicato al caso concreto in cui invece un contratto scritto esisteva davvero ed il Tribunale se ne sarebbe reso conto se avesse scrutinato le produzioni e deduzioni dell’attore.

Infatti nella perizia di parte (cfr. doc. 1 allegata alla citazione della (…)) il consulente ha evidenziato la mancanza di una serie di documenti, tra i quali però non figura il contratto di conto corrente: da ciò si doveva dedurre che il consulente di parte avesse esaminato tale contratto, perché se esso non fosse stato nella disponibilità della parte il consulente non solo avrebbe evidenziato tale carenza (come per gli estratti conto non reperiti), ma la parte stessa avrebbe richiesto alla Banca la copia del contratto per consentire al consulente di procedere con le dovute verifiche.

Sostiene inoltre l’appellante che il Tribunale avrebbe male interpretato la domanda, in quanto l’attrice non aveva sostenuto in modo chiaro l’inesistenza del contratto scritto di conto corrente, dal momento che la nullità del contratto per difetto di forma scritta si evinceva dagli scritti di parte attrice solo in un’unica frase della citazione.

Infine, per parte appellante l’esistenza del contratto bancario in forma scritta doveva desumersi dal fatto che parte attrice lamentava l’illegittimità di specifiche clausole di quel contratto, clausole di cui, in difetto di contratto scritto, non avrebbe dedotto l’esistenza.

3.2. Con il secondo motivo di appello parte appellante lamenta l’erronea valutazione della CTU contabile.

Sostiene l’appellante che il CTU, non avendo potuto esaminare il contratto di conto corrente, sarebbe stato posto nell’impossibilità di vagliare il regolamento contrattuale censurato. Inoltre la consulenza sarebbe carente in quanto “non sono stati prodotti tutti gli estratti conto integrali, motivo per cui la perizia non solo è risultata carente e inattendibile ma, ab origine, non avrebbe dovuto essere disposta” (p. 17 appello), mancando gli estratti conto di alcuni trimestri: “l’analisi ed il conseguente ricalcolo è stata condotta a partire dal 1 luglio 2001, data del primo estratto conto depositato in atti, sino al 31 marzo 2017, data dell’ultimo documento depositato. L’analisi non è stata resa possibile per tutto il 2003 e per il periodo compreso tra il 1 aprile 2014 ed il 30 giugno 2016, a causa del mancato deposito degli estratti conto del periodo” (p. 5-6 CTU di primo grado). Per parte appellante, l’incompletezza del materiale esaminato renderebbe dunque inattendibili le risultanze della consulenza peritale.

Oltre a ciò, parte appellante lamenta che il CTU ha ritenuto l’esistenza di un affidamento desumendolo solo dagli estratti conto, in totale carenza di documentazione contrattuale.

3.3. Con il terzo motivo di appello, parte appellante contesta la condanna alle spese del giudizio di primo grado in conseguenza della soccombenza, condanna che ritiene illegittimamente disposta alla luce dell’infondatezza della domanda di controparte.

4. Si costituisce in giudizio la Curatela del Fallimento (…) Snc quale parte appellata.

Circa il primo motivo di appello, l’appellata deduce che il giudice ha correttamente applicato il principio dell’onere della prova attribuendolo alla banca, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, in citazione era stata chiaramente eccepita l’inesistenza di un contratto scritto di conto corrente, in violazione dell’art. 117 TUB che impone la torma scritta dei contratti che impone bancari ad substantiam.

Circa il secondo motivo di appello, l’appellata deduce che la mancanza del regolamento contrattuale non osterebbe alla verifica effettuata dal CTU. Gli estratti conto prodotti, che riguardavano un arco di tempo di 17 anni (dal 2001 al 2017), a fronte di solo tre anni mancanti (il 2003 e dal 1.4.2014 al 30.6.2016) sarebbero stati comunque sufficienti per ricalcolare il saldo, anche perché degli anni mancanti non si sarebbe tenuto conto ai fini della definizione del credito spettante. Oltretutto la banca non aveva formulato queste contestazioni in sede di operazioni peritali, né nel primo atto difensivo utile successivo al deposito della consulenza. Anzi, il CTP della Banca ha dichiarato di nulla osservare in merito al ricalcolo effettuato, né alcuna osservazione è pervenuta circa la metodologia usata o gli estratti conto mancanti. Quanto poi alla circostanza che il CTU avrebbe ritenuto erroneamente esistente un affidamento, parte appellante chiede il rigetto di tale rilievo perché riguardante il merito della CTU e pertanto tardivo.

Circa il terzo motivo di appello, parte appellata deduce che il giudice di prime cure ha correttamente applicato, riguardo all’attribuzione delle spese, il criterio della soccombenza.

5. La causa è passata in decisione all’udienza del 28 gennaio 2022, svoltasi a trattazione scritta in applicazione della normativa emergenziale per la pandemia da Covid 19, con concessione alle parti dei termini di legge per comparse e repliche.

6. L’appello proposto da (…) è totalmente da rigettare, confermando pertanto la sentenza di primo grado.

6.1. Il primo motivo di appello, relativo all’erronea applicazione del principio dell’onere della prova, deve essere respinto.

Preliminarmente, è in generale corretto affermare che, in ambito di contratti bancari, è il cliente che agisce per la ripetizione dell’indebito a dover produrre in giudizio il contratto: “Nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione” (cfr. Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 33009 del 13/12/2019, Rv.656511 – 01).

Purtuttavia, il precetto di cui sopra si applica se il correntista richiede in giudizio la nullità di singole clausole del contratto di conto corrente, e quindi la nullità parziale di esso. Se si afferma la nullità parziale di un conto corrente, implicitamente si afferma anche che esso esiste in forma scritta, perché diversamente il contratto sarebbe viziato da nullità totale ex. art. 117 TUB, e non da nullità parziale. Coerentemente, si richiede in quel caso all’attore di produrre il contratto per dimostrare la nullità parziale applicando il principio generale dell’art. 2697 c.c. Se invece il correntista, come nel presente caso, lamenta la nullità totale del contratto per mancanza di forma scritta, vale piuttosto il principio contrario, ossia quello correttamente applicato dal giudice di Livorno: “Nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, salvo che alleghi la conclusione del contratto “verbis tantum”, la quale, se pacifica, impone al giudice di rilevare la nullità del negozio e quindi la mancata valida pattuizione di interessi ultralegali e commissione di massimo scoperto, mentre, ove contestata, esime il correntista dall’onere di fornire la prova negativa dell’accordo, che spetta semmai alla banca documentare” (cfr. Cass. sez. VI, 09/03/2021, n. 6480).

Ora non vi è dubbio che fosse proprio questa l’impostazione difensiva di parte attrice, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante.

Nella citazione introduttiva del processo di primo grado, l’attrice ha infatti dedicato alla allegazione di nullità del contratto di conto corrente per mancanza della forma scritta non una sola frase, come erroneamente scrive la banca, bensì n. 4 frasi, vale a dire le seguenti:

“Per ciò che concerne il conto corrente in esame, n. 3848/1104, aperto nel 2001, se ne evidenzia la nullità per mancanza della forma scritta del contratto.

Tale aspetto assume rilevanza in considerazione della disciplina di cui all’articolo 117 TUB che dispone la redazione del contratto per iscritto e la consegna di una copia al futuro correntista. Peraltro l’assenza di forma scritta rileva anche ai fini di quanto previsto dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000 la quale dispone l’obbligo di pattuizione scritta con riguardo alla disciplina di periodicità di capitalizzazione degli interessi e dello stesso tasso di interesse applicato. Per tale motivi, l’addebito di interessi anatocistici con riguardo al conto corrente n. (…) effettuato dalla (…), all’epoca solo (…), deve considerarsi illegittimo in virtù delle ragioni sopra esposte”.

Non solo la nullità del contratto è stata allegata chiaramente più volte nella citazione, ma soprattutto tale domanda è la principale e la prima indicata nelle conclusioni di parte attrice: “1. Dichiarare l’invalidità e/o la nullità del rapporto bancario sul conto corrente contraddistinto con il n. 3849/1104 intercorrente tra la società attrice e (…) Gruppo (…) per mancanza della forma scritta” (vedi citazione di primo grado, pag. 8). All’opposto di quanto rileva parte appellante (pag. 9 dell’appello) la mancanza di forma scritta è stata proprio l’eccezione primaria di (…) in primo grado.

A fronte di questa chiara difesa spettava dunque alla banca produrre il contratto di conto corrente, se esistente, come giustamente osservato dal Tribunale. Viceversa la banca, ritenendo erroneamente di non essere onerata in tal senso, ha prodotto tale contratto soltanto in appello, dunque tardivamente.

Né il Tribunale avrebbe potuto desumere la prova dell’esistenza del contratto scritto sulla base di una suggestiva interpretazione della consulenza di parte, in quanto da nessuna parte nella propria relazione il ctp di (…) scrive che l’elaborato è stato redatto “con specifico riferimento al contratto di conto corrente”; invece egli parla di “estratti conto” e di “rapporto di conto corrente” e tra contratto di conto corrente e rapporto di conto corrente c’è una enorme differenza concettuale.

Quanto, infine, alla questione per cui si dovrebbe dedurre l’esistenza del contratto di conto corrente dal fatto che parte attrice lamentava la nullità di clausole di esso, si tratta di un rilievo radicalmente infondato. Parte appellata non ha mai negato il rapporto con la banca, ha negato però che esistesse un contratto scritto. Delle clausole di cui parte appellata lamentava l’illegittima applicazione essa ha potuto avere contezza dagli estratti e scalari trimestrali, che infatti sono stati prodotti. Non vi è nessuna contraddizione logica.

Spettava quindi sicuramente alla banca di produrre in giudizio il contratto di conto corrente in primo grado; non avendolo fatto, la produzione dello stesso in secondo grado è tardiva e dunque inammissibile.

6.2. Il secondo motivo di appello, relativo alle risultanze della CTU considerate inattendibili, deve essere respinto perché infondato.

Anzitutto, va rilevato che l’incompletezza degli estratti conto esaminati non necessariamente deve portare a concludere per il rigetto della domanda. Più volte la giurisprudenza ha di recente affermato che l’estratto conto non costituisce l’unico di mezzo di prova per definire l’entità dell’indebito, ma che a una produzione incompleta degli estratti conto si può comunque supplire con allegazioni in fatto e altre prove documentali e argomenti di prova.

Chiarissima al riguardo è Cass. Civile sez. 6-1 ordinanza n. 2435 del 04.02.2020, che si riporta per estratto:

“Questa Corte, da ultimo, ha evidenziato e ribadito come, a fronte della documentazione di un rapporto di conto corrente bancario incompleta, in mancanza dei contratti di conto corrente e degli estratti conto completi, non prodotti dalla correntista e dalla banca, convenuta in un’azione di ripetizione di indebito promossa dalla correntista, malgrado ordine di esibizione documentale, il giudice, “qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto”, valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti), può integrare la prova carente “sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti” (Cass. 31187/2018, in motivazione).

Sempre in tema di ricostruzione del rapporto di conto corrente bancario, si è quindi statuito che, nel caso in cui non vengano prodotti tutti gli estratti conto (il che, di regola, deve avvenire, al fine di determinare un’integrale ricostruzione dei rapporti di dare ed avere, Cass. 21597/2013) e conseguentemente non sia possibile procedere ad una ricostruzione integrale del rapporto, tale situazione non causa il respingimento della domanda di restituzione dell’indebito da parte del correntista, ma è possibile procedere alla ricostruzione anche attraverso altre prove documentali o argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta dal correntista o dalla banca. Invero, questa Corte ha affermato che “nei rapporti bancari in conto corrente, una volta esclusa la validità di talune pattuizioni relative agli interessi a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso la produzione in giudizio dei relativi estratti a partire dalla data della sua apertura”, ma che non trattandosi tuttavia “di prova legale esclusiva, all’individuazione del saldo finale possono concorrere anche altre prove documentali, nonché gli argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta del medesimo correntista” (Cass. n. 9526/2019; nella specie, questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello, che aveva respinto integralmente la domanda della banca di condanna del correntista al pagamento del saldo passivo, in mancanza di un solo estratto conto relativo ad un periodo in cui il correntista aveva ammesso l’assenza di movimentazioni nel rapporto).

(…) Tali pronunce convergono nell’affermazione che l’estratto conto non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto; esso consente, come si è appena detto, di avere un appropriato riscontro dell’identità e consistenza delle singole operazioni poste in atto: ma, in assenza di alcun indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni”.

Ancora più esplicite, al riguardo, le recentissime pronunce:

Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5887 del 04/03/2021 (Rv. 660743 – 01): “In materia di conto corrente bancario, il correntista che agisca per ottenere la declaratoria di nullità di determinate clausole può limitare la domanda di ripetizione alle sole somme percepite dalla banca in dipendenza di quelle clausole, limitando la prova al periodo temporale rispetto al quale è stata formulata la domanda”; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 29190 del 21/12/2020 (Rv. 660146 – 01): “In materia di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca (e dunque da lui pagato) con il saldo finale del rapporto non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di ripetizione soltanto mediante la produzione in giudizio di tutti gli estratti conto mensili, ben potendo la prova dei movimenti del conto desumersi anche “aliunde”, vale a dire attraverso le risultanze dei mezzi di cognizione assunti d’ufficio e idonei a integrare la prova offerta (nella specie mediante consulenza tecnica contabile disposta dal giudice sulle prove documentali prodotte)”.

In ogni caso, pare a questo Collegio che il CTU di primo grado abbia comunque avuto a disposizione una base sufficiente su cui operare le proprie valutazioni: su un periodo di 17 anni mancavano solo gli estratti conto relativi a 3 anni (più precisamente, mancava tutto il 2003 e il periodo dal 01.04.2014 al 30.06.2016, quindi su 68 estratti trimestrali totali il CTU ne ha potuti considerare 55).

Oltretutto, operando il CTU i propri calcoli solo sulla base degli estratti conto che possedeva, la circostanza ha semmai giocato a sfavore di parte attrice, dal momento che il consulente ha potuto operare una espunzione solo parziale di poste indebitamente attribuite a titolo di interessi anatocistici e CMS rispetto a quella che avrebbe potuto operare se la documentazione fosse stata completa.

Riguardo, infine, alla questione degli affidamenti per parte appellante erroneamente accertati dal CTU, tale rilievo deve essere rigettato in quanto tardivo, posto che non è stato fatto da (…) né in sede di svolgimento delle operazioni peritali, né nella prima udienza successiva al deposito della consulenza tecnica nel giudizio di primo grado.

6.3. Il terzo motivo di appello, relativo alla soccombenza delle spese di lite, deve essere respinto. Il Tribunale di Livorno ha infatti correttamente applicato il criterio della soccombenza, e non vi è dubbio alcuno che (…) sia stata soccombente in quel grado di giudizio. Confermando la sentenza di primo grado, questo Collegio rigetta pertanto anche il terzo motivo di appello.

7. Le spese processuali a carico di parte appellante ed in favore dell’appellata si liquidano come da dispositivo, sulla base dei parametri medi del DM 55/14, individuato il valore della causa come indicato nell’art. 5 stessa legge ed esclusa per l’appello la fase istruttoria.

Il rigetto integrale dell’appello comporta a carico dell’appellante il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, così dispone:

a) respinge tutti i motivi di appello e per l’effetto conferma la sentenza n. 139/19 emessa in data 5.2.19 dal Tribunale di Livorno;

b) condanna parte appellante (…) al pagamento delle spese processuali del presente grado in favore dell’appellata, che si liquidano in Euro 6.615,00 oltre 15% per spese generali, IVA e CAP come per legge;

c) dichiara che sussistono a carico dell’appellante i presupposti per il pagamento del contributo sanzionatorio dell’impugnazione di cui all’art. 13, comma 1 quater D.P.R. 115/02, introdotto dall’ara, comma 17 della legge n. 228 del 24.12.12;

d) dispone che in caso di divulgazione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del DLGS n. 196/2003.

Così deciso in Firenze il 15 giugno 2022.

Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2022.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.