In particolare l’usura non può essere fatta derivare da una valutazione complessiva dell’interesse corrispettivo con le altre voci di spesa, non avendo gli attori specificamente indicato, né tanto meno documentato le singole voci di spesa e il relativo ammontare, sicché, allo stato, non vi sono elementi per ritenere che detti oneri abbiano determinato un innalzamento del TEG tale da superare la soglia usuraria. Sul punto è bene evidenziare che la rilevabilità d’ufficio delle clausole che prevedono un tasso di interesse usurario presuppone pur sempre la tempestiva allegazione degli elementi di fatto da cui la nullità deriverebbe, dovendo la pronuncia di nullità basarsi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, e non su fatti nuovi implicanti un diverso tema di indagine e di decisione. Tale allegazione deve essere tempestiva, ovvero deve avvenire al massimo entro il termine ultimo entro il quale nel processo di primo grado si determina il thema decidendum e deve essere corredata dalla specifica deduzione del fatto che è riservata alla parte, non potendo il giudice procedere autonomamente alla ricerca, sia pure nell’ambito dei documenti prodotti in atti, delle ragioni che potrebbero fondare la domanda o l’eccezione, pur rilevabile d’ufficio.

 

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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 26 settembre 2018, n. 18103

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI ROMA

DICIASETTESIMA (già IX) SEZIONE CIVILE

in persona del giudice unico dott. Giuseppe Russo ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 11894 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2015, vertente

tra

(…) e (…), elettivamente domiciliati in Roma alla Piazza (…), presso lo studio degli Avv.ti An.Ci., Ca.Ma. e Lu.Ma. che li rappresentano e difendono in forza di procura in atti

attori

e

(…) plc, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla via (…), presso lo studio dell’Avv. St.Ba., che la rappresenta e difende unitamente agli Avv.ti Ma.Ri. e Fr.Ca. in forza di procura in atti

convenuta

oggetto: mutuo

FATTO E DIRITTO

I signori (…) e (…) hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Roma la (…) plc chiedendo che, previa dichiarazione di nullità delle clausole relative alla determinazione degli interessi, fosse accertata la gratuità del contratto di mutuo ipotecario da loro stipulato in data 2/02/2009 con la banca convenuta e che quest’ultima fosse condannata a restituire tutte le somme indebitamente percepite da compensare, eventualmente, con il debito residuo, oltre al risarcimento dei conseguenti danni dovuti anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c.; gli attori hanno chiesto altresì di accertare e dichiarare la loro liberazione ex art. 1956 c.c. dalla garanzia ipotecaria.

Costituitasi in giudizio la convenuta (…) plc ha contestato tutte le domande avversarie chiedendone il rigetto con condanna degli attori al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.

La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti e, all’udienza dell’8/03/2018, è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione del termine di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e di ulteriori giorni venti per le repliche.

Le domande proposte dagli attori sono infondate.

E’ pacifico tra le parti e risulta documentalmente provato che in data 2/02/2009 i sigg.ri (…) e (…) hanno stipulato con la (…) plc un contratto di mutuo fondiario a tasso fisso per l’importo di Euro 230.000,00 (doc. 3 del fascicolo di parte attrice).

Gli attori hanno inteso affermare il carattere usurario degli interessi pattuiti nel contratto di mutuo sulla base della tesi della sommatoria fra tasso di interesse corrispettivo e tasso moratorio. A sostegno della sua tesi poi parte attrice deduce che il contratto, all’art. 5, prevede espressamente, nell’ipotesi di ritardato pagamento, l’applicazione del tasso moratorio sull’intero importo delle rate scadute, quindi sia sulla quota capitale, sia sulla quota interessi.

La tesi della sommatoria, che trae fondamento nel totale travisamento del dictum di alcune sentenze della Corte di Cassazione ed in particolare della pronuncia n. 350/2013, tuttavia, non può essere condivisa.

Ed invero la Corte di Cassazione, nella citata sentenza n. 350/2013, non ha mai affermato la necessità di sommare il valore del tasso corrispettivo e del tasso moratorio ai fini del raffronto alle soglie di usura. Viene, infatti, in rilievo la differente funzione assolta dagli interessi corrispettivi e da quelli moratori, gli uni costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli altri rappresentando la liquidazione anticipata e forfetaria del danno causato al mutuante dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario. Le due categorie di interessi si differenziano poi anche in punto di disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori, dissimilmente da quelli corrispettivi, sono dovuti dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, così come previsto dall’art. 1224, c. 1 c.c.. Siffatte differenze si appalesano nel momento in cui il debitore divenga moroso: in simile circostanza il tasso di interesse di mora non si aggiunge a quello corrispettivo, ma si sostituisce a quest’ultimo. L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporta, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito ed alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi siano imputati a capitale.

La clausola contenuta nell’art. 5 del contratto di mutuo che prevede, nell’ipotesi di ritardato pagamento, l’applicazione del tasso moratorio sull’intero importo delle rate scadute non comporta affatto una sommatoria di tassi, in quanto la base di calcolo, alla quale si applica il solo interesse moratorio, rimane cristallizzata nell’importo della singola rata.

Tale previsione peraltro è legittimata dall’art. 120 T.U.B., come modificato dal D.Lgs. n. 349 del 1999, e dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000, la quale all’art. 3 stabilisce: “Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”.

L’applicazione degli interessi moratori sull’importo delle rate scadute non solo non può essere reputata illegittima (in quanto conforme all’art. 3 della Del.CICR del 9 febbraio 2000), ma nemmeno può influire sulla determinazione del tasso effettivo, essendo anatocismo ed usura fenomeni distinti ed autonomamente disciplinati. Al riguardo pare sufficiente osservare che i tassi medi che sono oggetto di rilevazione non comprendono interessi anatocistici e che sussiste una ovvia esigenza di uniformità fra dato in valutazione e parametro di riferimento. L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Una volta acclarata l’inconsistenza giuridica della tesi della sommatoria tra interessi corrispettivi ed interessi di mora, tornando alla fattispecie in esame, deve escludersi che siano stati pattuiti interessi usurari. Ed infatti nel mutuo oggetto di causa tanto l’interesse corrispettivo quanto l’interesse di mora pari, al momento della stipulazione, rispettivamente al 5,39% e al 6,93%, singolarmente considerati, non superano il tasso soglia anti – usura dell’8,09% rilevato con riferimento all’epoca della stipulazione.

Peraltro si rileva che la clausola di salvaguardia contenuta nel regolamento contrattuale impedisce di considerare usurari gli interessi moratori pattuiti tra le parti, prevedendo in caso di superamento del tasso soglia la loro automatica riconduzione entro detto limite. Ed infatti l’art. 5 ultimo comma del contratto prevede espressamente che “qualora il tasso di interesse di mora configuri una violazione di quanto disposto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 e successive modifiche ed integrazioni, esso si intenderà automaticamente sostituito dal tasso di volta in volta corrispondente al limite massimo consentito dalla legge”.

Non sono suscettibili di esame le ulteriori contestazioni che la parte attrice ha introdotto surrettiziamente nella seconda memoria ex art. 183 comma 6 cpc nell’indicazione dei quesiti proposti per la consulenza tecnica d’ufficio, non essendo stati tempestivamente dedotti in modo specifico ulteriori elementi sulla cui base valutare il dedotto carattere usurario del mutuo.

In particolare l’usura non può essere fatta derivare da una valutazione complessiva dell’interesse corrispettivo con le altre voci di spesa, non avendo gli attori specificamente indicato, né tanto meno documentato le singole voci di spesa e il relativo ammontare, sicché, allo stato, non vi sono elementi per ritenere che detti oneri abbiano determinato un innalzamento del TEG tale da superare la soglia usuraria. Sul punto è bene evidenziare che la rilevabilità d’ufficio delle clausole che prevedono un tasso di interesse usurario presuppone pur sempre la tempestiva allegazione degli elementi di fatto da cui la nullità deriverebbe, dovendo la pronuncia di nullità basarsi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, e non su fatti nuovi implicanti un diverso tema di indagine e di decisione (Cass. 13/6/2007 n. 13846).

Tale allegazione deve essere tempestiva, ovvero deve avvenire al massimo entro il termine ultimo entro il quale nel processo di primo grado si determina il thema decidendum (Cass. 22/6/2007 n. 14581) e deve essere corredata dalla specifica deduzione del fatto che è riservata alla parte, non potendo il giudice procedere autonomamente alla ricerca, sia pure nell’ambito dei documenti prodotti in atti, delle ragioni che potrebbero fondare la domanda o l’eccezione, pur rilevabile d’ufficio (Cass. 24/10/2007 n. 22342).

L’infondatezza e la genericità degli assunti difensivi e la carenza probatoria fin qui evidenziate non possono essere supplite con una consulenza tecnica d’ufficio come sollecitato da parte attrice.

Ed infatti è appena il caso di osservare che la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso stretto, ma rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità ai fini della decisione, nonché l’ambito di estensione. Essa può essere disposta solo per valutare fatti di cui sia già pacifica la dimostrazione e non può essere funzionale a soddisfare finalità esclusivamente esplorative: essa non può valere a eludere l’onere di allegazione e di prova incombente sulle parti processuali per la dimostrazione dei fatti posti a base delle pretese azionate, specie in un sistema processuale, come è il nostro, caratterizzato da preclusioni istruttorie.

Ne consegue l’inammissibilità della consulenza tecnica richiesta dagli attori, perché tesa a supplire l’onere di allegazione e della prova su di loro gravante ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati e neanche tempestivamente dedotti (cfr. Cass. 26/02/2003 n. 2887).

Una volta escluse le nullità contrattuali ipotizzate dai sigg.ri (…) e (…) vanno respinte le conseguenti richieste volte alla rideterminazione del saldo ed alla ripetizione di somme di cui non è stata in alcun modo provata la natura indebita.

Parimenti va disattesa la richiesta risarcitoria avanzata dai due mutuatari, non essendo configurabile alcuna responsabilità della banca convenuta neanche in relazione alla presunta segnalazione del nominativo degli attori alla (…), segnalazione di cui, peraltro, non è stata offerta alcuna prova documentale.

Quanto alla richiesta di liberazione ex art. 1956 c.c. avanzata dai due attori va rilevato che la norma invocata è del tutto inapplicabile all’ipoteca, attesa la natura reale di tale garanzia non assimilabile alla fideiussione.

Non ricorrono i presupposti della lite temeraria (elemento soggettivo e prova del danno) per accogliere le domande di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. reciprocamente proposte dalle parti.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (…) e (…) nei confronti della (…) plc, ogni altra istanza, difesa ed eccezione disattesa, così provvede:

– respinge le domande proposte dagli attori;

– condanna i due attori, in solido tra loro, a rifondere alla banca convenuta le spese di lite liquidate in complessivi Euro 10.343,00 per compensi professionali, oltre agli accessori nella misura di legge.

Così deciso in Roma il 4 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.