Il rilievo d’ufficio di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il Giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l’esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito. Dunque, se è vero che l’art. 1421 c.c. prevede che la nullità contrattuale può essere rilevata d’ufficio e che la giurisprudenza l’ha interpretato nel senso che ciò può avvenire in ogni stato e grado, è altrettanto vero che tale previsione deve essere contemperata con quanto previsto, in linea generale, dall’art. 183, comma 4 c.p.c. in forza del quale le questioni rilevabili d’ufficio dal Giudice possono essere solo quelle che emergono dai fatti allegati fino all’udienza di trattazione e ciò per evitare che il Giudice introduca fatti non allegati dalle parti in violazione del principio della tempestiva allegazione. Pertanto, la nullità può essere rilevata dal Giudice solo sulla base dei fatti dedotti dalle parti entro il limite processuale delle preclusioni assertive che delineano il thema decidendum, ma non è comunque precluso al Giudice rilevare la questione in un momento successivo.

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Tribunale|Bari|Sezione 4|Civile|Sentenza|29 dicembre 2022| n. 4850

Data udienza 29 dicembre 2022

TRIBUNALE DI BARI

QUARTA SEZIONE CIVILE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del Tribunale di Bari, Quarta Sezione Civile, dott. Michele De Palma, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in primo grado iscritta al n. 15059/17 R.G. vertente tra:

(…), (…), (…), (…), (…) (Avv. (…))

-OPPONENTI-

E

(…) SPA (Avv. (…))

-OPPOSTA-

NONCHÉ

(…) S.C.P.A. (Avv.ti (…))

-TERZA CHIAMATA IN CAUSA-

CONCLUSIONI DELLE PARTI-

All’udienza di precisazione delle conclusioni del 7.6.22, tenutasi con la modalità della trattazione scritta, i difensori delle parti hanno concluso riportandosi alle conclusioni già rassegnate nei propri

atti difensivi.

– FATTO E DIRITTO –

1. Con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 3078/2017 (R.G. 6904/2017), la (…) S.p.A. (d’ora in avanti anche solo la “banca”), otteneva ingiunzione di pagamento della somma pari ad Euro 2.405.931,72, oltre “interessi di mora dalle rispettive scadenze al soddisfo al tasso di mora tempo per tempo vigente, ed in ogni caso nei limiti di cui alla L. 108/96, nonché le spese e competenze della procedura monitoria”, nei confronti della (…) s.r.l., debitrice principale, e di (…), (…), (…), (…), (…) (d’ora in avanti anche solo i “fideiussori/opponenti”), in solido fra loro ed in qualità di fideiussori della detta società nei rispettivi limiti delle garanzie prestate, di cui Euro 1.454.527,61 per residuo capitale al 30.9.12 del finanziamento chirografario n. 741599414 del 6.4.2011 di originari Euro 1.500.000,00, Euro 674.622,88 per residuo capitale al 10.9.12 del finanziamento chirografario n. 654074142 del 14.5.08 di originari Euro 1.250.000,00 (entrambi i finanziamenti garantiti sia da fideiussioni specifiche che dalla fideiussione omnibus del 6.10.10 rilasciata dai detti fideiussori in favore della (…) s.r.l. fino alla concorrenza di Euro 3.600.000,00 dei detti fideiussori) ed Euro 276.781,23 per residuo capitale al 10.7.2012 del mutuo fondiario n. 554084568/04 del 14.12.05 di originari Euro 450.000,00 (garantito sia da ipoteca rilasciata con atto pubblico da (…) per la somma di Euro 900.000,00 che dalla fideiussione omnibus ut supra).

Con atto di citazione in opposizione avverso il già indicato decreto, (…), (…), (…), (…), (…), nelle qualità espresse sopra, rassegnavano le seguenti conclusioni: “A) Preliminarmente, in via immediata ed urgente, revocare o sospendere la provvisoria esecuzione dell’opposto decreto ingiuntivo, o comunque revocarla o sospenderla nei confronti degli opponenti (…)) Dichiarare inammissibile ed infondata l’avversa domanda, quantomeno nei confronti degli opponenti. C) Per la respinta e non creduta ipotesi di riconoscimento di avverse ragioni creditorie nei confronti degli opponenti… dichiararle comunque estinte per compensazione. D) Conseguentemente ed in ogni caso, accogliere l’opposizione e revocare in ogni sua parte l’opposto decreto ingiuntivo o comunque revocarlo integralmente nei confronti di (…), rigettando ogni avversa domanda nei confronti degli stessi. E) In via di rigoroso subordine, condannare il terzo chiamato (…) S.C.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, nei limiti della garanzia da esso prestata, a rivalere (…), in via di regresso o comunque di surroga, di tutto quanto essi

opponenti fossero condannati a pagare o avranno pagato alla Banca opposta in dipendenza del finanziamento chirografario 741599414 dedotto in giudizio, rimborsando loro ogni somma. F) Spese processuali come per Legge, da distrarsi in favore del sottoscritto difensore che se ne dichiara anticipatalo”.

In particolare, gli opponenti/fideiussori deducevano che il credito de quo della Banca sarebbe “integralmente estinto per compensazione” (artt. 1241 e ss. e 1945 c.c.) poiché derivante dalla illegittima debitoria derivante dai diversi rapporti bancari intercorsi tre le parti (nove da indice del fascicolo di parte) e conseguente dall’indebita applicazione di clausole nulle (usura, anatocismo, interessi ultralegali, spese e commissioni varie, data valuta) nonché dal superamento del tasso soglia usura dei contratti di mutuo (quanto al finanziamento chirografario n. 741599414, “il relativo contratto sarebbe stato stipulato a fini di consolidamento di pregresse esposizioni di c/c (mutuo di scopo), i cui saldi alla data di erogazione sarebbero illegittimi in quanto risultato dell’applicazione di clausole negoziali nulle per anatocismo non reciproco, usura dei tassi applicati, interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, CMS.)”, da cui ne conseguirebbe altresì l’intervenuta estinzione ex art. 1955 c.c. delle fideiussioni rilasciate dagli odierni opponenti.

Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva la (…) S.p.A. contestando quanto eccepito e dedotto dagli odierni opponenti, chiedendo il rigetto di tutte le avverse domande e, per l’effetto, la conferma del decreto ingiuntivo opposto; con vittoria di spese, diritti e compensi di lite.

Disposto ex art. 106 c.p.c. lo spostamento della prima udienza al 13.3.18 finalizzato alla chiamata in causa del terzo (…) s.c.p.a. richiesta dagli opponenti, con ordinanza del 19.3.18 veniva disposta la sospensione parziale dell’esecutività del decreto ingiuntivo opposto per la parte eccedente l’importo di Euro 1.454.527,61 (credito relativo al finanziamento chirografario n. 741599414), unitamente all’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, introdotto ritualmente dai soli odierni opponenti e conclusosi con esito negativo.

Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio la (…) s.c.p.a., già (…) società cooperativa di garanzia collettiva, chiedendo il rigetto delle domande spiegate nei suoi confronti, in quanto improponibili e/o inammissibili e/improcedibili e/o nulle; con vittoria di spese, diritti e compensi di lite.

Concessi i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6 c.p.c., la causa veniva quindi istruita mediante produzione documentale delle parti e CTU contabile sulla base dei quesiti formulati con provvedimento del 12.11.2019.

Espletata la CTU contabile, all’udienza del 7.6.22 le parti precisavano le rispettive conclusioni e venivano assegnati i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e note di replica.

2. L’opposizione va respinta per quanto di ragione.

2.1 Tanto premesso in ordine allo svolgimento del processo, va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità avanzata dalla difesa degli opponenti/fideiussori inerente al mancato assolvimento dell’onere di instaurazione del procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. 28/10, incombente su parte attrice sostanziale ovvero nel caso di specie sulla (…) S.p.A., ricorrente in via monitoria, alla luce della pronuncia del Supremo Consesso (Sez. Un. n. 19596/20), sul presupposto che il detto procedimento obbligatorio veniva instaurato solamente dagli opponenti, i quali comparivano personalmente ed assistiti dal proprio difensore al primo incontro fissato dinanzi al mediatore, mentre nessuno compariva per la banca né per il terzo chiamato in causa ragion per cui il mediatore dichiarava concluso il procedimento di mediazione con esito negativo (v. verbale negativo del 28.03.18 depositato in atti).

In tesi generale e per ciò che interessa in questa sede, la normativa in subiecta materia, introdotta con il D.Lgs. n. 28/10, ed aggiornata con il D.l. n. 69/13, conv. con modificazioni nella L. n. 98/13, prevede all’art. 5, commi 2 e 2 bis che: “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. “; 2-bis. “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.

Sul punto si osserva che, pur nella consapevolezza delle richiamate pronunce giudiziali allegate dalla difesa degli opponenti (invero non riguardanti la medesima fattispecie oggetto del presente giudizio), secondo preferibile e prevalente indirizzo giurisprudenziale: “Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l’utile esperimento, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l’accordo (…) ” (cfr., tra le altre, Cass. civ. n. 40035/21).

Difatti, si rileva che l’art. 8, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 28/10, rubricato “Procedimento”, così dispone: “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del Codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”.

Da ciò ne consegue che la mancata partecipazione senza giustificato motivo di una delle parti al primo incontro di mediazione -come nel caso in esame- non comporta l’improcedibilità della domanda giudiziale quanto, piuttosto, l’applicabilità dell’art. 116 c.p.c. nonché la condanna della parte ingiustificatamente assente “al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”

Pertanto, alla luce del tenore letterale della succitata normativa e della richiamata giurisprudenza formatasi sul punto, si ritiene soddisfatta la condizione di procedibilità prevista dall’ art. 5, commi 2 e 2 bis, e va, pertanto, rigettata la relativa domanda.

2.2. Ciò premesso, la difesa degli opponenti ha esteso l’iniziale thema decidendum della domanda giudiziale introdotta dalla banca in via monitoria – avente ad oggetto il saldo debitorio del finanziamento chirografario n. 741599414 del 6.4.11, del finanziamento chirografario n.654074142 del 14.5.08 e del mutuo fondiario n. 554084568/04 del 14.12.05 e le fideiussioni rilasciate dagli odierni opponenti – asserendo dell’esistenza di diversi rapporti bancari (c/c n. 600508.27, n. 12513X, n. 16577.45 ed i contratti di apertura di credito ad essi tecnicamente collegati; nove rapporti nell’indice dell’atto di citazione in opposizione) intercorsi tra la odierna banca opposta (anche in veste di incorporante la (…) s.p.a.) e la correntista (…) s.r.l. (precedentemente (…) s.r.l.) da cui emergerebbe, in virtù di perizia tecnica di parte depositata in atti, un “ingente saldo a credito della correntista”, alternativamente di Euro 880.431,87 o di Euro 831.736,01, quale “indebito per interessi passivi usurai, interessi ultralegali, capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori (e di commissioni, oneri e spese), commissioni di massimo scoperto, oneri, spese, variazioni di condizioni economiche e giorni di valuta non dovuti”, da ripetere ex art. 2033 c.c. alla correntista o da estinguere per compensazione in virtù del comb. disp. degli artt. 1241 e 1945 c.c. nei confronti degli opponenti/fideiussori (v. pagg.18-28 atto di citazione in opposizione).

L’eccezione non può essere accolta per quanto di ragione.

Difatti, per ciò che concerne la supposta applicazione degli artt. 1241 e ss. cc., si rileva che, non potendo configurarsi l’eccezione di compensazione effettuata dagli odierni opponenti come di natura “legale” (inoperante, allorché il controcredito – come nella specie – sia oggetto di contestazione; cfr. Cass. n. 13208/10), la stessa potrebbe, in astratto, ricondursi alla sola compensazione giudiziale, rispetto alla quale, però, l’applicazione della norma suddetta è da escludersi (cfr. Cass. n. 592/87). Segnatamente, l’ eccepita compensazione giudiziale in parola non sarebbe comunque ammissibile alla stregua del consolidato principio secondo cui essa può operare nella sola ipotesi in cui il credito opposto sia -oltreché esigibile ed omogeneo al controcredito- di facile e pronta liquidazione, condizione da ritenere carente non soltanto quando il credito non sia certo nel suo ammontare, ma anche qualora ne risulti -come nel caso di specie- contestata l’esistenza (in particolare, Cass., n. 12664/00).

Invero, in tema di estinzione delle obbligazioni, si rileva che: “si è in presenza di compensazione cd. impropria se la reciproca relazione di debito-credito nasce da un unico rapporto, in cui l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice d’ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cd. propria, che, per operare, postula l’autonomia dei rapporti e l’eccezione di parte; resta salvo il fatto che, così come la compensazione propria, anche quella impropria può operare esclusivamente se il credito opposto in compensazione possiede il requisito della certezza. ” (cfr. Cass. n. 7474/17).

Sul punto si registra che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno deciso di non accogliere il revirement attuato da alcuni arresti giurisprudenziali passati e, di contro, hanno aderito all’orientamento tradizionale secondo cui: “i requisiti di omogeneità, esigibilità, liquidità e certezza sono propri sia della compensazione legale che di quella giudiziale, non potendo ammettersi l’eccezione suddetta qualora il controcredito risulti contestato nell’an”. (cfr. Cass. SS.UU, n. 23225/16).

Ciò posto, nel caso di specie l’asserito controcredito relativo ai rapporti di conto corrente vantato dagli odierni fideiussori (due rapporti oggetto di CTU, tre oggetto di CTP, nove da indice di atto di opposizione) da ricondurre nella fattispecie della eccezione di compensazione giudiziale c.d. propria (stante appunto l’autonomia dei rapporti intercorsi tra le parti), difetta dei requisiti essenziali della certezza, della liquidità e della facile e pronta soluzione poiché contestato dalla banca opposta sia nell’ an che nel quantum.

In particolare, fermo restando l’inattendibilità dei ricalcoli effettuati dal CTU in merito al saldo dei conti correnti oggetto di perizia contabile (il c/c ordinario n. 16577.45 ed il c/c ordinario n. 600508.27 ed i contratti di apertura di credito ad essi tecnicamente collegati) attesa l’incompletezza della documentazione depositata in atti (v. pagg. 25-30; 49 elaborato peritale) ed alla luce della più recente giurisprudenza formatasi sul punto avente ad oggetto la ripartizione degli ordinari criteri di distribuzione della prova in giudizio ex art. 2697 c.c. (tra le tante, Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187), si evidenzia che nella compensazione giudiziale sia propria che impropria è vero che la certezza non è espressamente prevista dall’art. 1243 c.c. quale requisito del credito per la compensazione, così come è anche vero che il significato di certezza è diverso da quello di liquidità (quest’ultima attiene all’oggetto della prestazione, al suo quantum; la certezza, invece, concerne l’esistenza dell’obbligazione stessa poiché attiene all’an della pretesa) ma, nonostante l’evidente differenza tra le due definizioni, il concetto di liquidità, a ben vedere, postula quello di certezza. A livello ontologico, prima che giuridico, il concetto che attiene al quantum della pretesa postula quello che concerne l’an debeatur. Nell’art. 1243 c.c., di conseguenza, il requisito di liquidità espresso dal legislatore sottende quello di certezza: l’obbligazione non è liquida o liquidabile se non è certa non potendo, in tale ipotesi, raggiungere la finalità estintiva e satisfattoria propria della compensazione. (Cfr. Cass. SS.UU, n. 23225/16).

Pertanto, per le ragioni che precedono ed in assenza di una specifica domanda riconvenzionale supportata dal necessario corredo probatorio degli odierni opponenti, deve ritenersi inammissibile oltre che infondata l’eccezione di compensazione giudiziale cd. propria avanzata per difetto assoluto dei requisiti essenziali richiesti dall’istituto in parola ex art. 1241 e ss. c.c., ossia la liquidità, inclusiva del requisito della certezza, e la facile e pronta liquidazione da cui ne consegue il rigetto della dedotta eccezione avente ad oggetto il ricalcolo del c/c ordinario n. 16577.45 e del c/c ordinario n. 600508.27 nonché dei contratti di apertura di credito ad essi tecnicamente collegati.

2.3. Gli odierni opponenti/fideiussori hanno eccepito, inoltre, la nullità del contratto di finanziamento chirografario n. 741599414 del 6.4.2011 (lett. a del ricorso per decreto ingiuntivo, credito ingiunto pari ad Euro 1.454.527,61 di originari Euro 1.500.000,00) per contrarietà all’ordine pubblico, cui conseguirebbe, ai sensi dell’art. 2035 c.c., l’infondatezza della domanda e la non ripetibilità della prestazione eseguita per scopo contrario al buon costume, nonché per mancanza di traditio, poiché “la somma oggetto di mutuo giammai è entrata nella disponibilità della mutuataria (…) Srl”, sul presupposto che “la (…) ha concesso (recte, imposto) il finanziamento in questione ad un’impresa priva di merito creditizio e già all’epoca in dissesto, al solo fine di estinguere la pregressa esposizione debitoria di essa impresa verso la stessa Banca.”, da cui conseguirebbe l’intervenuta estinzione ex art. 1955 c.c. della fideiussione rilasciata nel contesto del contratto di mutuo dagli odierni opponenti, con conseguente piena liberazione degli stessi, (v. comparsa conclusionale fideiussori).

La doglianza è priva di pregio.

In tesi generale e per quel che interessa in questa sede, il fideiussore che invochi l’applicazione dell’art. 1955 c.c. ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che per fatto del creditore non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore.

Tuttavia, il fatto del creditore, rilevante ai sensi dell’art. 1955 c.c. ai fini della liberazione del fideiussore, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte: “non può consistere nella mera inazione, ma deve costituire violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto e integrante un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, dal quale sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione ex art, 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c.), e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore.” (Cfr., Cass. n. 5630/2017; Cass. n. 4175/20).

Orbene, come visto la difesa degli odierni opponenti fideiussori ha contestato alla banca opposta proprio la colpevole inazione nell’ “attivarsi per rendere più sicura la realizzazione della pretesa”, sul presupposto che “la (…) s.r.l. è stata dichiarata fallita in data 30,5,17, sicché non può sortire alcun effetto, in termini concreti, assoluti e definitivi, la surrogazione degli opponenti fideiussori alla Banca nel rapporto con la debitrice principale, né il loro diritto di regresso verso la debitrice principale”, non specificando, come correttamente osservato dalla difesa della banca opposta, quali fatti del creditore abbiano impedito la surrogazione degli odierni fideiussori, né quali diritti e garanzie non sarebbero più realizzabili, né tantomeno il relativo nesso causale intercorrente, così come invece richiesto dall’art. 2697 c.c.

Inoltre, deve rilevarsi che quand’anche le contestazioni inerenti alla violazione dei canoni di correttezza, buona fede e dell’obbligo di agire con la diligenza del buon banchiere ex artt. 1175, 1176, 1375 c.c. fossero fondate ciò configurerebbe il diritto di esperire l’azione di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. per violazione del principio generale del neminem laedere, sussistente però in capo al debitore principale (la correntista (…) s.r.l.), non certo in capo al fideiussore.

Sotto altro profilo, in tema di nullità del contratto, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato che: “(…) in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito, sicché la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l’ordinamento appresta rimedi speciali, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, l’applicazione della sola sanzione dell’inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. IL 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576). Tale principio, è stato ribadito anche in riferimento all’ipotesi di stipulazione di un mutuo ipotecario in violazione della L.Fall., art. 216, comma 3, che punisce il reato di bancarotta preferenziale: in linea generale, si è infatti osservato che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dal momento che l’art. 1418 c.c., comma 1, facendo salva l’ipotesi in cui la legge disponga diversamente, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso d’inosservanza del precetto, abbia voluto salvaguardare la validità del negozio, mediante la predisposizione di un meccanismo alternativo idoneo a realizzare gli effetti della norma; nel caso in cui il debitore abbia effettuato pagamenti o simulato titoli di prelazione con l’intento di favorire uno o più creditori a danno di altri, il predetto meccanismo è stato poi individuato nell ‘esercizio dell ‘azione revocatoria, la quale, comportando la dichiarazione d’inefficacia dell’atto, in quanto lesivo della par condicio creditorum, consente di escludere l’applicabilità della sanzione di nullità per illiceità della causa, ai sensi dell’art. 1344 c.c.”. (Cass., n. 4695/21).

Nel caso di specie, dagli atti di causa emerge che il contratto di finanziamento chirografario n. 741599414, del 6.4.2011, per l’importo pari ad Euro 1.500.000,00 mediante il quale il (…) s.r.l. ha estinto la pregressa debitoria residua sul conto corrente n. 16577, ripianando così il debito esistente a condizioni economiche più convenienti (come correttamente rilevato dalla difesa della banca opposta, riducendo l’incidenza dei tassi d’interesse applicabili sull’esposizione pregressa, convenendo nel contratto di finanziamento un tasso di interesse debitorio pari al 4,75% quindi inferiore a quello pattuito a titolo di esposizioni rinvenienti dal conto corrente), costituisce in definitiva una possibile e lecita modalità di impiego della somma mutuata (Cfr. Cass. 2460/21), attesa l’assenza di specifica pattuizione tra le parti inerente all’utilizzo della stessa, per cui non emerge in alcun modo la violazione del disposto dell’art. 2035 c.c. così come la contrarietà all’ordine pubblico atteso che gli odierni opponenti/fideiussori non hanno né allegato né provato in corso di causa elementi fattuali e giuridici idonei in tal senso.

Né, infine, il finanziamento chirografario in oggetto può essere qualificato come mutuo di scopo considerato che: “Nel mutuo di scopo, sia esso legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio connotandone il profilo causale, sicché la nullità di un tale contratto per mancanza di causa sussiste solo se quella destinazione non sia rispettata, mentre è irrilevante che sia attuata prima o dopo l’erogazione del finanziamento, tanto più in mancanza, specificamente per il mutuo di scopo convenzionale cui sia collegato il c.d. contratto di ausilio, di alcune norma imperativa, dal contrasto con la quale possa derivarne una nullità sotto quest’ultimo profilo”. (Cass., n. 20552/20).

Per tali ragioni, le domande di nullità formulate con riferimento al finanziamento in oggetto vanno respinte.

2.4. Ciò premesso, dall’esame della documentazione depositata in atti è emerso che la (…) s.r.l. e la (…) S.p.A. hanno stipulato, in data 6.4.11, il finanziamento chirografario n.741599414 per l’importo pari ad Euro 1.500.000,00, mediante il quale la detta società si obbligava a restituire la somma mutuata in 7 anni, mediante il pagamento di n. 28 rate trimestrali (v. piano di ammortamento allegato in atti), comprensive della quota capitale e di quella a titolo di interessi corrispettivi al tasso variabile (pari al 4,75% nominale annuo al momento della stipula), la cui misura è individuata ratione temporis mediante i criteri di cui all’art. 2 del contratto di mutuo (tasso fisso al 3,75% + Euribor 3 mesi tasso 360). Le parti, inoltre, pattuivano un interesse di mora pari all’interesse corrispettivo aumentato di 3 punti percentuali, in ogni caso entro i limiti di cui alla L. 108/96 e con esclusione della capitalizzazione periodica. In data 28.12.11 la odierna banca opposta concedeva, su richiesta della società correntista, una sospensione del pagamento della quota capitale delle rate di mutuo dal 30.9.11 al 30.6.12. Infine, il contratto de quo è assistito da fideiussione specifica del 6.4.11, sino alla concorrenza di Euro 3.000.000,00, rilasciata da (…) nonché dalla fideiussione omnibus del 6.10.10, fino alla concorrenza dell’importo complessivo di Euro 3.600.000,00, rilasciata sempre dai suddetti fideiussori a garanzia delle obbligazioni della (…) s.r.l.

In conclusione, dell’importo mutuato risulta corrisposta dalla poi fallita (…) s.r.l. un’unica rata, in data 30.9.12, residuando la somma pari ad Euro 1.454.527,61 di originari Euro 1.500.000,00 erogati (così come correttamente azionato in sede monitoria dalla banca opposta) pertanto, alla luce di quello che precede ed in assenza di ulteriori profili di nullità rilevati, si dichiara la debenza della predetta somma in capo a (…) in qualità di fideiussori della (…) s.r.l..

3. Tuttavia, la difesa degli odierni opponenti ha richiesto ed ottenuto la chiamata in causa del terzo ex art. 106 c.p.c., sul presupposto che “il finanziamento chirografario 741599414, dedotto in giudizio, fosse assistito da garanzia dell’importo di Euro 1.200.000,00 rilasciata dalla società (…) (oggi (…) s.c.p.a.) in favore della (…) Spa” si chiedeva a codesto Tribunale adito volersi condannare il (…) S.C.P.A. (già (…) ed oggi (…) s.c.p.a.) in persona del legale rappresentante pro-tempore, nei limiti della garanzia da esso prestata, in via di regresso o comunque di surroga, a rivalere gli opponenti di tutto quanto essi fossero condannati a pagare o avranno pagato alla Banca opposta in dipendenza del finanziamento chirografario 741599414 dedotto in giudizio, rimborsando loro ogni somma”.

La domanda di condanna formulata nei confronti di (…) s.c.p.a. va respinta.

Difatti, la difesa della (…) s.c.p.a., società incorporante (…), ha correttamente eccepito, sin dalla comparsa di costituzione, il difetto di legittimazione attiva degli odierni opponenti alla chiamata in causa della stessa, considerata l’insussistenza dei presupposti dell’azione esperita dai chiamanti in ragione del titolo contrattuale dedotto nel presente giudizio.

In particolare, è allegata in atti la garanzia prestata dalla (…) s.c.p.a. in favore della (…), (v. Convenzione del 9.7.10 tra (…) e (…) all. n. 2 memoria ex art. 183 n.2 c.p.c., (…)), per la somma pari ad Euro 1.200.000,00, costituita esclusivamente in favore della detta banca, unico soggetto legittimato ad escuterla la quale tuttavia nel presente giudizio non ha formulato alcuna domanda nei confronti della terza chiamata (…).

Difatti, dall’esame della documentazione allegata in atti (v. artt.4, 7 comma 1 e 5 del Fondo Rischi della Convenzione, memoria (…)) emerge che la garanzia prestata garantisce unicamente la banca contraente, secondo le modalità pattuite tra le parti (limitatamente alla percentuale garantita ed esperiti infruttuosamente gli atti esecutivi nei confronti della debitrice (…) s.r.l.), la quale banca è l’unica parte contraente ad avere la facoltà di richiedere l’escussione della perdita finale accertata a titolo di garanzia alla (…) s.c.p.a.

Chiaro sul punto è il disposto dell’art. 3, comma 1, delle Condizioni Generali dell’Atto di convenzione del 9.7.10 stipulato tra (…) e (…) e relativo atto integrativo (v. all. 1 alla memoria (…) n. 2, 183, sesto comma), secondo cui: “la garanzia prestata da (…) potrà essere escussa esclusivamente dalla Banca o dall’Intermediario a norma di quanto previsto nelle apposite convenzioni, restando espressamente escluso, in deroga all ‘art. 1954 c.c., il diritto di regresso nei confronti di (…) da parte dei terzi garanti del socio “.

Da ciò ne consegue il rigetto della domanda di condanna della (…) s.c.p.a. per difetto di legittimazione attiva degli odierni opponenti alla chiamata in causa della stessa.

4. È stata, inoltre, eccepita dalla difesa degli odierni opponenti la invalidità del finanziamento chirografario n. 654074142 del 14.5.08, per la somma pari ad Euro 1.250.000,00 e del mutuo fondiario n. 554084568/04 del 14.12.05, per la somma pari ad Euro 450.000,00 entrambi stipulati dalla (…) s.r.l. e la odierna banca opposta ed oggetto di perizia contabile, per superamento del tasso soglia usura (con particolare riferimento agli interessi moratori), per superamento del limite di finanziabilità quanto al mutuo fondiario e l’inammissibilità dell’azione monitoria per duplicazione dei titoli esecutivi quanto al finanziamento chirografario, l’intervenuta estinzione ex art. 1955 c.c. della fideiussione rilasciata nel contesto del contratto di mutuo dagli odierni opponenti, con conseguente piena liberazione degli stessi (per cui valgono le conclusioni esposte e per le medesime ragioni al punto 2.3, per cui se ne dichiara sin d’ora la infondatezza).

Preliminarmente, con riferimento al finanziamento chirografario n. 654074142 del 14.5.08 del 21.4.11, si rileva che nonostante le due scritture private autenticate a firma del Notaio (…) (rep. 176467/racc. 27753) depositate in atti, mediante cui è stato stipulato il finanziamento de quo ed il successivo accordo di sospensione, non esiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto di duplicazione dei titoli esecutivi come, peraltro, recentemente affermato dalla Suprema Corte (Cfr. Cass. n. 21768/19) da cui ne discende pertanto il rigetto della relativa eccezione.

Ciò posto, dall’esame della documentazione in atti il CTU ha rilevato che il finanziamento chirografario n. 654074142 del 14.5.08 è stato sottoscritto alle seguenti condizioni contrattuali: (i) preammortamento annuale, con pagamento rateale mensile per un totale di n.60 rate, rata iniziale pari ad Euro 24.722,02; (ii) tasso di interesse corrispettivo variabile (Euribor 3M 360 (4,95) + spread 2,00%), pari inizialmente al 6,95%; (iii) TAEG 7,440%; (iv) tasso di mora pari al tasso corrispettivo maggiorato del 2,00%, tasso pari al 8,950%; (v) “Spese Management Fee” pari ad Euro 5.000,00; (vi) spese per erogazione pari ad Euro 4.000,00; (vi) spese incasso singola rata Euro 5,50; (vii) spese assicurazione Euro 12,36; (viii) all’art. 7 del contratto la clausola cd. di salvaguardia (gli interessi di mora non possono “essere superiori al limite di cui all’art. 2 comma 4 della L. 108/1996 e successive modificazioni”) e la commissione estinzione anticipata pari al 1% del capitale rimborsato anticipatamente.

Con riferimento al mutuo fondiario 554084568/04 del 14.12.2005, stipulato per atto pubblico a rogito Notaio (…) (rep. 169096/racc. 24184), in data 14.12.2005, (registrato a Bari il 14.12.2005 al n. 16183), rilasciato in seconda copia esecutiva il 07.04.2017, mediante il quale la (…) s.p.a. (oggi (…) s.p.a.) concedeva di finanziare in favore della allora “(…) Srl” (successivamente divenuta “(…) Srl” a seguito di fusione con atto a rogito Notaio (…) del 10/10/2007 (Rep 175048), con il quale “(…) Srl” e ” (…) Srl” eseguivano la fusione in “(…) Srl”) la somma pari ad Euro 450.000,00, alle seguenti condizioni: (i) durata: dal 10/02/2006 al 10/01/2016 mediante la corresponsione di 120 rate mensili, pari inizialmente ad Euro 4.696,33; (ii) tasso di interesse corrispettivo variabile (Euribor 6M (2,25%) + spread 2,00 arrotondato del 0,05% superiore), inizialmente pari al 4,650%; (iii) TAEG 4,540%; (iv) tasso di mora pari al tasso corrispettivo maggiorato dell’ 1,08%, inizialmente pari al 5,730%; (v) “Spesa erogazione” pari ad Euro 3.000,00; (vi) rilascio atto di assenso a cancellazione ipoteca pari ad Euro 300,00; (vi) spese incasso singola rata Euro 5,50; (vii) spese assicurazione Euro 12,36; (viii) oneri e spese per recupero credito inadempimento max 10,00%; all’art. 5, comma 3, del contratto la clausola cd. di salvaguardia (gli interessi di mora non possono “essere superiori al limite di cui all’art. 2 comma 4 della L. 108/1996 e successive modificazioni”) e, all’art. 7, comma 4, che “in caso di anticipata estinzione del finanziamento (totale o parziale) richiesta dalla parte finanziata, quest’ultima non corrisponderà alla Banca alcun compenso”; (ix) le sospensioni del pagamento dal 10.2.10 al 10.1.11 e dal 10.8.11 al 10.7.12, giusta scrittura privata in atti.

Il CTU, nel rispondere ai quesiti formulati con provvedimento del 12.11.19 ed in considerazione delle pattuizioni di cui sopra, ha preliminarmente individuato il valore del tasso soglia usura al momento della pattuizione contrattuale (per il finanziamento chirografario, categoria dei “Altri finanziamenti a medio lungo termine “, come individuata al punto B.1 così come indicato nel D.M. del Ministero Economia e Finanze del 28.09.2008, pubblicato sulla G.U., Serie Generale, n. 228 del 29.09.2008; per il mutuo fondiario, categoria “Mutui a tasso variabile”, così come indicato nel D.M. del Ministero Economia e Finanze del 21.09.2005, pubblicato sulla G.U., Serie Generale, n. 224 del 26.09.2005), cui i contratti in oggetto vanno temporalmente collocati, individuando gli stessi rispettivamente nella misura pari al 10,260% per il finanziamento chirografario e nella misura pari al 5,730% per il mutuo fondiario, per poi procedere alla determinazione del TEG (pari al 7,5260675667% per il primo e pari al 4,9326556614% per il secondo) non riscontrando, dal raffronto dei dati suesposti, il superamento del tasso soglia usura (TSU) né alla data della pattuizione né durante l’intera durata del rapporto (per il finanziamento chirografario de quo: TEG = 7,5260675667% ” TSU = 10,260%%; per il mutuo fondiario de quo: TEG =4,9326556614% ” TSU =5,730%, v. elaborato peritale pagg. 15-22).

Con le medesime modalità, il CTU ha calcolato senza errori il tasso soglia usura con riferimento agli interessi moratori, individuandolo nella misura pari al 13,410% per il finanziamento chirografario e nella misura pari al 8,925% per il mutuo fondiario, non riscontrando anche in tali casi il superamento del tasso soglia usura poiché, pur rappresentando “che non è possibile inserire nella formula del TEG lo spread di mora. La formula infatti restituisce il valore attuale, alla data di concessione del prestito, di flussi di cassa “futuri” ma, poiché alla data di stipula, non si può sapere

se e quando si realizzerà l’inadempimento, il TEG di mora non è determinabile in quanto non è possibile attualizzare degli addebiti futuri incerti nell’an e nel quantum” (v. pag. 24 elaborato peritale), applicando correttamente le maggiorazioni previste dai Decreti Ministeriali ratione temporis applicabili (come meglio descritti sopra), è emerso che non vi è stato il superamento del cd. tasso soglia di mora rispetto a quanto pattuito contrattualmente (rispetto al finanziamento chirografario: 8,950% ” 13,410%; rispetto al mutuo fondiario: 5,730% ” 8,925%).

Tuttavia, la difesa degli opponenti ha contestato le modalità di calcolo del TEG effettuate dal CTU, con particolare riferimento agli interessi moratori.

Sul punto, però, si registra che in tema di usura, le Sezioni Unite (sent. n. 19597/2020), hanno statuito, in tesi generale e per quanto interessa in questa sede, che: 1) la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso; 2) la mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del TEGM non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “TEGM, più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto””.

Nel caso di specie, è pacifico in atti che all’epoca dell’erogazione dei mutui il TEGM relativo agli “Altri finanziamenti a medio lungo termine”, alla cui categoria è riconducibile il finanziamento chirografario in esame, era pari al 6,840%, alla data di stipula del contratto (14.05.08), sicché applicando i principi elaborati dalle Sezioni Unite, il tasso soglia si ottiene con la seguente formula: TEGM + 2,1 (ossia la rilevazione statistica della maggiorazione media degli interessi moratori di cui al DM trimestrale di riferimento)* 1,5 = (6,840 + 2,1) * 1,5, in applicazione del criterio di computo del tasso soglia ex art. 2, L. 108/1996, ratione temporis applicabile, il cui risultato è pari al 13,410%, soglia non superata quale tasso soglia usura di mora; allo stesso modo, è pacifico in atti che all’epoca dell’erogazione dei mutui il TEGM relativo ai “Mutui a tasso variabile”, alla cui categoria è riconducibile il finanziamento chirografario in esame così come indicato nel D.M. del Ministero Economia e Finanze del 21.09.2005 (pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 224 del 26.09.2005), ratione temporis applicabile, era pari al 5,730%, per cui il tasso soglia usura di mora si ottiene a mente della seguente formula: TEGM + 2,1 * 1,5 = (3,820 + 2,1) * 1,5 = 8,925%, soglia non

superata anche in tal caso.

Difatti, è ormai consolidato l’orientamento secondo cui: “(…) non è possibile procedere al cumulo materiale delle somme dovute alla banca a titolo di interessi corrispettivi e di interessi moratori, stante la diversa funzione che gli stessi perseguono in relazione alla natura appunto corrispettiva dei primi e di penale per l’inadempimento dei secondi, essendo necessario procedere al calcolo separato della loro relativa incidenza, per i primi ricorrendo alle previsioni dell’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996, e per i secondi, ove non citati nella rilevazione dei decreti ministeriali attuativi della citata previsione legislativa, comparando il tasso effettivo globale, aumentato della percentuale di mora, con il tasso effettivo globale medio del periodo di riferimento ” (Cass., 4.11.21, n. 31615; Cass., 7.3.22, n.7352).

Il CTU, inoltre, ha “verificato che nell’allegato n. 1 alla perizia della parte opponente avente ad oggetto il mutuo ipotecario del 14.12.2005 (cfr. all. sub. 10 del fascicolo dell’avv. Caradonna) è presente un elenco in formato excel degli importi delle rate asseritamente pagate dal mutuatario che il sottoscritto ha utilizzato al fine di rispondere al quesito sub c) punto B)”, da cui ne discende che in assenza di documentazione idonea comprovante con certezza l’avvenuto pagamento delle rate del mutuo in oggetto (versamenti, bonifici, etc.), unitamente alle conclusioni rassegnate in comparsa conclusionale dalla banca aventi ad oggetto la conferma della somma azionata in via monitoria, deve concludersi che, con riferimento al mutuo ipotecario n. 554084568/04 del 14.12.2005, l’importo ancora dovuto è pari a Euro 276.781,23 per residuo capitale al 10.07.2012 (data di pagamento dell’ultima rata corrisposta), corrispondente a quello azionato con ricorso per decreto ingiuntivo.

Infine, non può trovare accoglimento la dedotta domanda di nullità per superamento del limite di finanziabilità del mutuo fondiario de quo, sul presupposto che: “il mutuo fondiario de quo è stato concesso in evidente violazione del limite di finanziabilità. Infatti, a fronte della somma di Euro 450.000,00 erogata a mutuo dalla Banca è stata prestata ipoteca di Euro 900.000,00 su due modeste unità immobiliari di proprietà di (…) i cui valori, sommati tra loro, raggiungono poco più della metà dell’intero importo erogato a mutuo dalla Banca”, lamentato dalla difesa degli opponenti, vi virtù del recente principio di diritto espresso a Sezioni Unite dal Supremo Consesso secondo cui: “In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del D.Lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della “vigilanza prudenziale” (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito.” (Cass., SS.UU. n.3791/2022)

Assorbite le ulteriori questioni di merito.

5. Nella comparsa conclusionale del 5.9.22, la difesa degli opponenti ha richiesto, per la prima volta, di accertare e dichiarare “la nullità parziale delle fideiussioni, cioè depurandole “dalle sole clausole riproduttive di quelle dichiarate nulle Banca dalla Banca d’Italia, poiché anticoncorrenziali, in conformità a quanto stabilito dall’art. 1419 cod. civ., nonché dalle affermazioni della giurisprudenza europea succitate. (…); in guisa che, anche sotto tale ulteriore aspetto, la domanda è di per sé inammissibile/infondata e le fideiussioni sono comunque estinte” in quanto costituenti la sottoscrizione di moduli redatti in modo conforme allo schema ABI del 2003, censurato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2.5.2005, perché integranti un’intesa restrittiva della concorrenza, con conseguente loro nullità per violazione della normativa antitrust di cui all’art. 2 della legge 287/1990.

La sollevata eccezione di nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust è tardiva e pertanto non può essere esaminata.

E’ vero che, in linea di principio, la Cassazione ha sostenuto che la nullità contrattuale può essere rilevata d’ufficio per la prima volta in sede di impugnazione e che nella richiamata pronuncia delle Sezioni Unite (n. 26243/2014) si è ribadito che “In appello e in Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo grado, il giudice ha sempre la facoltà di rilevare d’ufficio la nullità”, ma è stato anche precisato nella stessa pronuncia che “… la soluzione è stata ritenuta predicabile entro ben determinati limiti, nel senso che il giudice della risoluzione può rilevare d’ufficio la nullità: a) solo se questa emerge dai fatti allegati e provati o, comunque, ex actis … “.

Inoltre, in altre decisioni della Cassazione si è precisato che “La nullità … può essere bensì rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ma solo laddove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza” (così Cass. n. 34799/2021, e la giurisprudenza ivi citata, che ha ritenuto inammissibile l’eccezione di nullità del contratto di fideiussione poiché i fatti posti alla base della stessa erano stati proposti per la prima volta nel giudizio di legittimità) e che “La nullità della fideiussione per conformità allo schema redatto secondo il modello ABI … giudicato dall’Autorità garante, allora preposta, come frutto di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza (come da atto di accertamento della Banca d’Italia, n. 55 del 2 maggio 2005) può essere rilevata d’ufficio per la prima volta anche in sede di legittimità, purché sussistano gli elementi necessari per poterla rilevare sulla base di dati fattuali già acquisiti e, nel rispetto del contraddittorio” (Cass. n. 4175/2020).

Ancora più significativa è altra pronuncia della Suprema Corte che ha affermato che il rilievo d’ufficio di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il Giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l’esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito (Cass. n. 36353/2021, nella specie, la S.C. ha escluso che, in tema di pubblico impiego privatizzato, potesse essere rilevata d’ufficio la nullità del licenziamento disciplinare, intimato da organo incompetente ex art. 55-bis, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001, tardivamente eccepita, non risultando acquisite le circostanze di fatto relative all’organizzazione interna dell’ente ed alle modalità con cui era stato adempiuto l’obbligo di previa individuazione dell’UPD).

Dunque, se è vero che l’art. 1421 c.c. prevede che la nullità contrattuale può essere rilevata d’ufficio e che la giurisprudenza l’ha interpretato nel senso che ciò può avvenire in ogni stato e grado, è altrettanto vero che tale previsione deve essere contemperata con quanto previsto, in linea generale, dall’art. 183, comma 4 c.p.c. in forza del quale le questioni rilevabili d’ufficio dal Giudice possono essere solo quelle che emergono dai fatti allegati fino all’udienza di trattazione e ciò per evitare che il Giudice introduca fatti non allegati dalle parti in violazione del principio della tempestiva allegazione. Pertanto, la nullità può essere rilevata dal Giudice solo sulla base dei fatti dedotti dalle parti entro il limite processuale delle preclusioni assertive che delineano il thema decidendum, ma non è comunque precluso al Giudice rilevare la questione in un momento successivo.

Naturalmente, tra le questioni rilevabili d’ufficio di cui al menzionato art. 183, comma 4 c.p.c., vi sono quelle di diritto come la nullità contrattuale.

Né potrebbe obiettarsi che essendo quella della nullità contrattuale un’eccezione in senso lato, proprio perché rilevabile d’ufficio, lo sarebbe anche in appello, ex art. 345 c.p.c. e quindi, a maggior ragione, in primo grado in ogni momento, fatto salvo il principio del contraddittorio.

Infatti, in uno con la dottrina prevalente, si ritiene che la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in appello è consentita solo se i fatti posti a fondamento della stessa risultino già dagli atti (tempestivamente allegati) del processo di primo grado, anche nel rispetto delle esigenze della riforma intervenuta con la legge n. 353/1990 e cioè l’attenuazione della possibilità di introdurre nova in appello.

Nel caso che ci occupa, fino alla comparsa conclusionale la difesa degli opponenti non ha allegato alcunché circa la violazione della normativa antitrust da parte dei negozi fideiussori in questione, invocando appunto gli elementi fattuali della loro conformità allo schema ABI del 2003, censurato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2.5.2005, solo con il detto atto. Ne deriva che l’allegazione tardiva di tali fatti preclude la rilevazione d’ufficio della dedotta nullità.

Da ultimo, si rileva che il fideiussore non può limitarsi a dedurre genericamente la nullità della clausola di rinuncia ai termini previsti dall’art. 1957 c.c. atteso che, essendo quella di decadenza un’eccezione in senso stretto, la sua mancata proposizione nei termini di rito preclude al giudice la verifica della tempestività dell’azione monitoria esperita dalla banca.

6. Le spese e le competenze di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate così come in dispositivo. Le competenze legali vengono liquidate sulla base dei parametri medi previsti dal d.m. n. 55/2014 (come aggiornati dal d.m. n. 147/2022) per lo scaglione fino da Euro 2.000.000,01 ad Euro 4.000.000,00 (con un aumento ex art. 6 d.m. n. 55/2014 del 10% dei compensi per gli scaglioni superiori ad euro 520.000,00).

Le spese di CTU vanno poste definitivamente a carico delle parti opponenti, così come liquidate in corso di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bari, Quarta Sezione Civile, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, definitivamente decidendo, in composizione monocratica, così provvede:

1) conferma il decreto ingiuntivo opposto n. 3078/2017, R.G. 6904/2017 che dichiara esecutivo;

2) rigetta le domande degli opponenti;

3) condanna la (…) s.p.a. e la (…) s.c.p.a. “al versamento all’entrata del bilancio dello Stato” della somma pari ad Euro 1.686,00, per ciascuno, ai sensi del comb. disp. degli artt. 5 e 8, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 28/10 e s.m.i.;

4) condanna (…), (…), (…), (…), (…), in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della (…) SPA che liquida in euro 38.793,00 per compenso professionale, oltre IVA e CAP come per legge, nonché rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 15% sull’importo del compenso;

5) condanna (…), (…), (…), (…), (…), in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della (…) S.C.P.A. che liquida in euro 38.793,00 per compenso professionale, oltre IVA e CAP come per legge, nonché rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 15% sull’importo del compenso.

Così deciso in Bari, 29 dicembre 2022.

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2022.

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