in tema di apertura di credito in conto corrente, nell’ipotesi in cui i versamenti eseguiti dal correntista nel corso del rapporto abbiano svolto una funzione meramente ripristinatoria della disponibilita’ accordatagli dalla banca, per essere affluiti su un conto caratterizzato da un saldo passivo non eccedente l’importo dello affidamento concessogli, il diritto del cliente alla ripetizione delle somme addebitategli a titolo d’interessi e commissioni in virtu’ di clausole contrattuali nulle non sorge per effetto dell’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma per effetto dell’estinzione del saldo di chiusura conto, in cui gl’interessi non dovuti sono stati registrati, dal momento che, in assenza di versamenti aventi carattere solutorio, non e’ configurabile un pagamento idoneo a giustificare una pretesa restitutoria, ai fini della quale e’ invece necessaria l’esecuzione da parte del solvens di una prestazione idonea a determinare uno spostamento patrimoniale in favore dello accipiens.

Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Ordinanza|15 luglio 2021| n. 20237

Data udienza 12 gennaio 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8138/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS) S.A.S., in persona del legale rappresentante p.t. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SOC. CONS. P.A., in persona dei procuratori speciali (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di mandataria della (OMISSIS) S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv. (OMISSIS), e (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, n. 42/17, depositata il 26 gennaio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) S.a.s., intestataria da circa trent’anni di un conto corrente presso la (OMISSIS) S.p.a. e di altri conti correnti accesi a titolo di anticipi su fatture export, convenne in giudizio la Banca, per sentir accertare l’illegittimita’ dell’applicazione d’interessi ultralegali, superiori al tasso soglia previsto dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 ed anatocistici, nonche’ dell’applicazione di commissioni di massimo scoperto, con la condanna della convenuta alla restituzione degl’importi illegittimamente addebitati ai predetti titoli dal 31 dicembre 1973 al 31 dicembre 2007.

Si costitui’ la (OMISSIS), ed eccepi’ l’inammissibilita’ dell’azione di ripetizione, in quanto il rapporto risultava ancora aperto, nonche’ la prescrizione del credito, opponendo inoltre l’infondatezza della domanda, e chiedendone quindi il rigetto.

1.1. Con sentenza del 27 giugno 2011, il Tribunale di Sassari accolse la domanda, dichiarando la nullita’ delle clausole contrattuali che prevedevano un tasso d’interesse superiore a quello legale e la capitalizzazione trimestrale degl’interessi, e condannando la (OMISSIS) alla restituzione della somma complessiva di Euro 819.594,38, oltre interessi.

2. L’impugnazione proposta dalla (OMISSIS) e’ stata accolta dalla Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, che con sentenza del 26 gennaio 2017 ha rigettato la domanda proposta dall’attrice, condannandola alla restituzione della somma di Euro 914.606,59, oltre interessi legali, pagata in esecuzione della sentenza di primo grado.

A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso il difetto di specificita’ dei motivi di gravame, rilevando che l’atto di appello conteneva sia l’esposizione dei fatti che le censure mosse all’iter logico-argomentativo seguito dal Tribunale, nonche’ lo svolgimento di argomentate ragioni alternative rispetto a quelle contenute nella sentenza impugnata, in base alle quali ne veniva chiesta la riforma.

Ha escluso inoltre che la (OMISSIS) avesse rinunciato all’eccezione d’inammissibilita’ dell’azione di ripetizione, in quanto avanzata nel corso del rapporto, osservando che, nonostante l’affermazione di non volerla riproporre, contenuta nella parte espositiva dell’appello, nei motivi d’impugnazione l’appellante aveva specificamente lamentato l’omessa pronuncia in ordine alla stessa, riportandola sia nelle conclusioni dell’atto di appello che in quelle rassegnate all’esito del giudizio.

Nel merito, la Corte ha ritenuto accertato che il rapporto risultava ancora in corso alla data d’instaurazione del giudizio, reputando ininfluente, in contrario, la segnalazione inviata dalla Banca alla Centrale dei Rischi, in quanto riguardante un mero mutamento di posizione del conto, appostato peraltro ad incaglio anziche’ a sofferenza. Ha ritenuto altresi’ corretta la qualificazione della domanda come ripetizione dell’indebito, avendo l’attrice dedotto l’illegittimita’ degli addebiti effettuati in conto al fine di ottenere non gia’ una pronuncia di rettifica del saldo, non richiesta ne’ in primo grado ne’ in appello, ma la restituzione degl’importi addebitati.

Cio’ posto, e precisato che incombe al soggetto che agisce in ripetizione l’onere di fornire la prova dell’esecuzione del pagamento e dell’assenza di una causa che lo giustifichi, ha rilevato che l’attrice non aveva neppure allegato l’esistenza di versamenti solutori, escludendo a tal fine anche l’applicabilita’ del principio di vicinanza della prova. Ha dato atto dell’avvenuto deposito degli estratti conto dal 1974 del 2007, osservando che non risultavano tuttavia prodotti ne’ il documento contrattuale, da cui potessero desumersi le pattuizioni nulle, ne’ i decreti ministeriali e le rilevazioni riguardanti i tassi soglia, ed aggiungendo che non erano stati indicati i pagamenti solutori eseguiti in favore della Banca. Ha escluso infine la possibilita’ di porre a fondamento della decisione la c.t.u. espletata, in quanto avente ad oggetto circostanze non provate, ma solo allegate dall’attrice o risultanti da estratti conto intermedi, in assenza di pagamenti solutori.

3. Avverso la predetta sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. Ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria, la (OMISSIS) Soc. cons. p.a., in qualita’ di mandataria della (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 112 e 329 c.p.c., sostenendo che, nell’escludere l’avvenuta rinuncia alla domanda di accertamento dell’inammissibilita’ dell’azione di ripetizione, la sentenza impugnata non ha considerato che l’acquiescenza costituisce un atto unilaterale non recettizio, che non richiede l’accettazione della controparte e non e’ suscettibile di ritrattazione. Premesso che nell’atto di appello la rinuncia precedeva le richieste formulate dall’appellante, precisa di non aver accettato il contraddittorio in ordine al motivo di gravame con cui era stata riproposta la predetta eccezione, in ordine alla quale si era pertanto formato il giudicato interno.

1.1. Il motivo e’ inammissibile.

Premesso infatti che la pendenza del rapporto di conto corrente bancario, quale fatto impeditivo dell’accoglimento della domanda di restituzione delle somme illegittimamente addebitate a titolo d’interessi e commissioni, costituisce oggetto di un’eccezione, che non si converte in domanda per effetto della riproposizione come motivo di gravame da parte della banca risultata soccombente, si osserva che l’esclusione dell’intervenuta acquiescenza alla sentenza di primo grado, per effetto della prevalenza attribuita alla volonta’ d’insistere sulla predetta eccezione, rispetto a quella di rinunciarvi emergente dalla premessa in fatto dell’atto di appello, non e’ censurabile per violazione degli articoli 112 e 329 c.p.c.

L’acquiescenza prevista dal comma 1 di quest’ultima disposizione quale comportamento idoneo ad escludere la proponibilita’ dell’impugnazione si configura infatti come un negozio giuridico processuale, avente ad oggetto la disposizione del diritto d’impugnazione (ed indirettamente del diritto fatto valere in giudizio) e richiedente un’univoca manifestazione di volonta’, la cui interpretazione da parte del giudice di merito e’ sindaca bile in sede di legittimita’ esclusivamente per violazione delle regole legali di ermeneutica negoziale o per incongruenza della motivazione, nella specie neppure dedotte dalla ricorrente (cfr. Cass., Sez. Un., 13/10/1993, n. 10112; Cass., Sez. III, 19/05/2017, n. 12615; Cass., Sez. I, 6/12/2006, n. 26156).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1373, 1855, 2033 e 2697 c.c., dell’articolo 115 c.p.c., del Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, articolo 117 e della L. 17 febbraio 1992, n. 154, articolo 3 censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non provata la domanda, in virtu’ della mancata produzione del documento contrattuale, senza considerare che, in quanto stipulato in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, il contratto di conto corrente non richiedeva la forma scritta ad substantiam, e che l’esistenza del rapporto, oltre a risultare dalla documentazione prodotta in giudizio, non era stata contestata dalla (OMISSIS), la quale aveva anzi affermato la legittimita’ degli addebiti effettuati in conto.

Aggiunge che, nel reputare ininfluente la segnalazione alla Centrale dei Rischi, la Corte territoriale non ha tenuto conto del contenuto della stessa, che, in quanto consistente non solo nell’indicazione del credito, ma anche nella richiesta di pagamento dell’importo dovuto e nella revoca di ogni facilitazione accordata, con divieto di emettere assegni, costituiva manifestazione della volonta’ di recedere dai rapporti in atto.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1283, 1284, 1321 e 1421 c.c., osservando che, nel dichiarare inammissibile la domanda, la Corte territoriale e’ venuta meno all’obbligo di rilevare d’ufficio la nullita’ del contratto, in quanto risultante dagli atti di causa: afferma infatti di aver prodotto in giudizio gli estratti conto relativi ai rapporti intrattenuti con la Banca, dai quali emergevano l’applicazione d’interessi in misura superiore a quella legale, la capitalizzazione trimestrale degl’interessi e l’applicazione della commissione di massimo scoperto.

4. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili.

Nel rigettare la domanda proposta dalla ricorrente, la sentenza impugnata si e’ correttamente attenuta, pur senza richiamarlo esplicitamente, allo orientamento della giurisprudenza di legittimita’ in tema di apertura di credito in conto corrente, secondo cui, nell’ipotesi in cui i versamenti eseguiti dal correntista nel corso del rapporto abbiano svolto una funzione meramente ripristinatoria della disponibilita’ accordatagli dalla banca, per essere affluiti su un conto caratterizzato da un saldo passivo non eccedente l’importo dello affidamento concessogli, il diritto del cliente alla ripetizione delle somme addebitategli a titolo d’interessi e commissioni in virtu’ di clausole contrattuali nulle non sorge per effetto dell’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma per effetto dell’estinzione del saldo di chiusura conto, in cui gl’interessi non dovuti sono stati registrati, dal momento che, in assenza di versamenti aventi carattere solutorio, non e’ configurabile un pagamento idoneo a giustificare una pretesa restitutoria, ai fini della quale e’ invece necessaria l’esecuzione da parte del solvens di una prestazione idonea a determinare uno spostamento patrimoniale in favore dello accipiens (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2010, n. 24418; Cass., Sez. I, 24/03/ 2014, n. 6857; 26/09/2019, n. 24051).

Rilevato infatti che l’invalidita’ delle clausole contrattuali che prevedevano la misura e la capitalizzazione trimestrale degl’interessi e l’addebito delle commissioni era stata dedotta dall’attrice non gia’ in via autonoma, al fine di ottenere una pronuncia dichiarativa di rettifica del saldo del conto, ma esclusivamente in funzione della condanna della Banca alla restituzione degl’importi illegittimamente addebitati, la Corte territoriale ha confermato la qualificazione della domanda come azione di ripetizione dell’indebito, ai sensi dell’articolo 2033 c.c., e ne ha escluso la fondatezza, rilevando per un verso che alla data d’instaurazione del giudizio il conto risultava ancora aperto, e per altro verso che l’attrice non aveva allegato l’esistenza di versamenti solutori, la cui effettuazione non poteva essere desunta, in mancanza di un’idonea allegazione, ne’ dagli estratti conto prodotti in giudizio, ne’ dalla relazione depositata dal c.t.u.

Nell’ambito di tale ragionamento, incentrato unicamente sull’impossibilita’ d’individuare pagamenti suscettibili di ripetizione, la sottolineatura della mancata produzione del documento contrattuale contenente la pattuizione degl’interessi e delle commissioni (e dei decreti ministeriali recanti la rilevazione dei tassi soglia di cui alla L. n. 108 del 1996) riveste una portata meramente marginale, attenendo alla validita’ delle predette clausole e quindi alla legittimita’ degli addebiti effettuati sul conto corrente, in ordine alla quale la Corte di merito si e’ astenuta da qualsiasi pronuncia, evidenziando la strumentalita’ della relativa deduzione rispetto alla domanda di condanna alla restituzione degl’importi addebitati: in quanto giustificato esclusivamente dalla mancanza del relativo presupposto, costituito dalla configurabilita’ di un pagamento nel senso risultante dal citato orientamento giurisprudenziale, il rigetto della domanda di restituzione consente di concludere per l’estraneita’ del predetto rilievo alla ratio decidendi della sentenza impugnata, e per il conseguente difetto di pertinenza delle censure proposte dalla ricorrente, nella parte riflettente la mancata contestazione dell’esistenza del rapporto di conto corrente e la rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ delle clausole impugnate.

Quanto invece alla chiusura del conto corrente, asseritamente riconducibile alla comunicazione trasmessa dalla Banca alla Centrale dei Rischi, con cui veniva segnalata l’appostazione del conto a sofferenza, le censure mosse alla sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso la possibilita’ di ravvisare in tale comunicazione l’esercizio da parte della Banca della facolta’ di recesso dal relativo rapporto, investono l’interpretazione di un atto negoziale, la quale, implicando la ricostruzione della volonta’ manifestata attraverso la predetta dichiarazione, costituisce un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui risultato e’ censurabile in sede di legittimita’ esclusivamente per violazione delle norme che disciplinano l’interpretazione dei contratti o per incongruenza o illogicita’ della motivazione (cfr. Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355; Cass., Sez. lav., 9/10/2012, n. 17168; Cass., Sez. II, 31/05/2010, n. 13242).

Tali vizi nella specie non sono stati in alcun modo prospettati, essendosi la ricorrente limitata ad insistere sulla propria lettura della predetta comunicazione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonche’ la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 da parte del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257);

4. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso articolo 13, comma 1 bis.

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