Così inquadrato sotto il profilo eziologico il comportamento colposo del danneggiato, si evidenzia che il concorso di colpa è pacificamente rilevabile d’ufficio, sul presupposto che non si tratta di un’eccezione in senso stretto, ma di una semplice difesa, la quale deve essere esaminata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte, sempre ovviamente che risultino prospettati gli elementi di fatto su cui si fonda il comportamento colposo del danneggiato.

 

Tribunale Potenza, civile Sentenza 8 giugno 2018, n. 562

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI POTENZA

SEZIONE CIVILE

Il giudice, dott. Giulio Fortunato, in funzione di giudice unico, ha pronunziato, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta a ruolo al n. 2283/2014 R.G. in data 30.07.2014 avente ad oggetto una controversia in tema risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale

TRA

(…), rappresentata e difesa, in virtù di procura a stesa a margine all’atto di citazione, dagli avv.ti Pi.Te. e Do.Ga., presso lo studio dei quali, in Potenza alla via (…), è elettivamente domiciliata;

ATTRICE

E

COMUNE di BELLA, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall’avv. Ag.Pa., presso lo studio del quale, in Bella (PZ) alla Piazzetta (…) è elettivamente domiciliato;

CONVENUTO

MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 25.07.2014, (…) conveniva in giudizio, dinanzi a questo Tribunale, il Comune di Bella, in persona del legale rappresentante pro-tempore, chiedendone la condanna, previo accertamento della responsabilità, al risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un sinistro verificatosi in data 05 ottobre 2014 alle ore 11,15 circa, a Bella, lungo Corso Italia.

In particolare, l’attrice esponeva che: a) nelle richiamate circostanze di tempo e di luogo, mentre stava passeggiando con la propria sorella tra le bancarelle del locale mercatino mensile, giunta in corrispondenza del fabbricato recante numero civico 11, era caduta a terra rovinosamente ponendo il piede in una buca presente tra il manto bituminoso, la cunetta di scolo delle acque piovane e il marciapiede; b) la presenza delle bancarelle, unitamente al continuo flusso di persone avevano reso difficoltoso il percorso pedonale, impedendole, in definitiva, di accorgersi della presenza della buca, peraltro di ridotte dimensioni; c) a seguito dell’incidente, era stata trasportata presso il reparto di Pronto soccorso del nosocomio “S. Carlo” di Potenza, ove i sanitari le avevano diagnosticato una lussazione del gomito destro e una frattura pluriframmentaria del capitello radiale destro, con prognosi di trenta giorni di riposo.

Pertanto, sulla scorta di siffatte premesse, prospettando la responsabilità del convenuto ente, ne chiedeva la condanna al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali subiti, della somma di Euro 58.907,00, e, a titolo di danno patrimoniale per le spese mediche sostenute, di Euro 298,11, ovvero di quella diversa risultante all’esito dell’istruttoria, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria. Chiedeva, infine, la condanna del Comune alla refusione delle spese di giudizio, da distrarsi a favore dei procuratori dichiaratisi antistatari.

Instaurato regolarmente il contraddittorio, si costituiva in giudizio il Comune di Bella, il quale instava per il rigetto della pretesa risarcitoria spiegata dall’attrice, in quanto infondata in fatto e in diritto. Più in dettaglio, l’ente evidenziava l’inconfigurabilità degli elementi costitutivi delle fattispecie di responsabilità, valorizzando altresì la rilevanza causale esclusiva del contegno dell’attrice nella determinazione dell’evento lesivo.

Svolta l’istruttoria attraverso l’escussione delle fonti di prova testimoniale, ammessa ed espletata la consulenza tecnica, questo giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, invitava le parti alla discussione orale ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., all’esito della quale si ritirava in camera di consiglio, provvedendo a dare integrale lettura del presente foglio, allegato al verbale dell’udienza dell’08.06.2018.

Tanto puntualizzato, la vicenda che ci occupa, all’esito dell’attività istruttoria orale e documentale compiuta, deve essere ricostruita come segue.

In data 05 ottobre 2014 alle ore 11,15, (…), mentre percorreva Corso Italia in Bella, in corrispondenza del fabbricato recante numero civico 11, è scesa dal marciapiede, ponendo il piede in una buca presente al di sotto dello stesso, apertasi in corrispondenza del limite interno della cunetta, e cadendo a terra rovinosamente.

È altresì emerso che il giorno del sinistro il surriferito Corso (…) fosse caratterizzato dalla presenza di bancarelle adibite alla vendita di prodotti al dettaglio, installate nell’ambito del periodico mercato rionale, bancarelle poste a ridosso del marciapiede, gremito dagli avventori del mercato.

Quanto precede è risultato dalla convergenti dichiarazioni testimoniali dei testi (…), sorella dell’attrice, e (…), distante dal luogo della caduta circa tre metri.

Tanto premesso quanto ai profili dinamici del sinistro de quo agitur, l’esame del merito della controversia suppone un breve inquadramento della pretesa risarcitoria azionata, anche al fine di individuare il criterio di riparto dell’onere della prova.

Orbene, dall’interpretazione dell’atto introduttivo del giudizio si ricava come l’odierna parte attrice invochi, a fondamento della propria pretesa, in via principale, la responsabilità custodiale dell’ente convenuto e, in via subordinata, la responsabilità da violazione del generico dovere di neminem laedere ex art. 2043 c.c.

Ebbene, quanto alla domanda di cui all’art. 2051 c.c., va rilevato, innanzitutto, che, quale proprietaria delle strade pubbliche ex art. 16 lett. b L. n. 2248 del 1865 All. F, l’obbligo della relativa manutenzione in capo alla P.A. discende non solo da specifiche norme (art. 14 D.Lgs. n. 285 del 1992, cd. Codice della Strada; per le strade ed autostrade statali, art. 2 D.Lgs. n. 143 del 1994; per le strade urbane ed extraurbane, D.M. n. 223 del 1992; per le strade ferrate, art. 8 D.P.R. n. 753 del 1980; per le strade comunali e provinciali, art. 28 L. n. 2248 del 1865 All. F; per i Comuni, art. 5 R.D. n. 2506 del 1923), ma anche dal generale obbligo di custodia, con conseguente operatività, nei confronti dell’ente, della presunzione di responsabilità ex art. 2051 c.c. (per tutte, sul dovere di custodia delle strade pubbliche da parte della P.A., cfr. da ultimo Cass. n. 9527/2010).

Come noto, la norma succitata, nella sua essenzialità, prevede che il custode risponda dei danni causati dalla cosa, nonostante, per le più diverse ragioni, non gli sia stato possibile esercitare su di essa un potere di controllo e di governo. La norma prevede una imputazione del danno al custode della cosa sulla sola base del nesso causale fra la cosa stessa e l’evento dannoso. Il fondamento della responsabilità è dunque costituito dal rischio di provocare danni a terzi insito nella cosa, che la legge imputa al responsabile per effetto del rapporto di custodia (Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2015 n. 295).

La custodia, poi, si identifica in una potestà di fatto che descrive un’attività esercitabile da un soggetto sulla cosa, in virtù della sua detenzione qualificata (cfr. Cass. 12 aprile 2013, n. 8935). Dunque, é la relazione di fatto e non semplicemente giuridica tra il soggetto e la cosa che legittima una pronunzia di responsabilità, fondata sul potere di governo della res (cfr. Cass. 20 novembre 2009, n. 24546). Detto ultimo potere si compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi e il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa, nel momento in cui si é prodotto il danno.

Tanto puntualizzato, deve affermarsi che la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte del danneggiato del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene custodito, senza che sia anche necessaria – allorché l’evento dannoso sia ricollegabile all’intrinseco dinamismo della cosa – la prova della pericolosità della res, derivante dal suo cattivo funzionamento (cfr., da ultimo, Cass. 27 novembre 2014, n. 25214; vedi anche Cass. 24 febbraio 2011, n. 4476). Per l’effetto, una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (cfr. Cass. 5 febbraio 2013, n. 2660).

Differentemente, però, nei casi in cui il danno non sia l’effetto esclusivo di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica ed inerte, per la prova del nesso causale occorre altresì dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. In entrambi i casi, il profilo del comportamento del custode è estraneo alla struttura della fattispecie normativa ed il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito.

Allorché la cosa svolga solo il ruolo di occasione dell’evento e sia svilita a mero tramite del danno, in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato, si verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno. Il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno, estraneo alla cosa, va ovviamente adeguato alla natura della cosa ed alla sua pericolosità, nel senso che tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, dunque, la responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c. (cfr. Cass.17 gennaio 2001, n. 584).

Pertanto, affinché sia integrata la responsabilità da cose in custodia è necessario che il danno discenda dalla cosa; quando, invece, il pregiudizio si determini con la cosa è configurabile la fattispecie delineata dall’art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 19 novembre 2009, n. 24428; Cass. 27 novembre 2006, n. 25140).

Quanto poi alla ripartizione dell’onere della prova, la giurisprudenza ha stabilito che l’attore, agendo ex art. 2051 c.c. deve allegare e dimostrare esclusivamente la relazione di custodia fra il convenuto e cosa, l’evento dannoso e la sua dipendenza causale – secondo la regola civilistica della preponderanza causale (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 576 e succ.) – dalla cosa. Se, però, come rilevato, l’evento dannoso dipenda non da una forza intrinseca della cosa, ma da una relazione tra la condotta del danneggiato e la cosa, l’onere probatorio si aggrava, avendo ad oggetto anche la pericolosità di questa.

Svolto tale inquadramento teorico, questo giudicante ritiene che la pretesa risarcitoria attorea, formulata ai sensi dell’art. 2051 c.c., non possa trovare accoglimento, dovendosi valutare il contegno imprudente dell’odierna attrice quale fattore causale esclusivo della produzione dell’evento lesivo.

E’ infatti applicabile alla fattispecie de qua la regola posta dall’art. 1227 comma 1 c.c., che prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato e proporzionalmente all’incidenza causale di tale colpa sull’evento dannoso (ex pluribus, cfr. Cass. n. 21328/2010, Cass. n. 9546/2010, Cass. n. 5669/2010, Cass. n. 1002/2010, Cass. n. 22807/2009, Cass. n. 11227/2008).

Ciò avviene, secondo la più recente ed accorta impostazione dogmatica, non tanto in virtù del principio di autoresponsabilità postulato dalla tradizionale dottrina per imporre ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza e per indurli a contribuire, insieme con gli eventuali responsabili, alla prevenzione dei danni che potrebbero colpirli; quanto piuttosto per il citato principio di causalità, per cui al danneggiante non può farsi carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile (cfr. Cass. n. 15779/2006 e Cass. n. 15383/2006).

La regola di cui all’art. 1227 c.c. va allora inquadrata esclusivamente nell’ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a sè stesso (per tutte, cfr. Cass. n. 6988/2003); e la colpa del creditore-danneggiato, stante la genericità dell’art. 1227 comma 1 c.c. sul punto, sussiste non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore-danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica.

Così inquadrato sotto il profilo eziologico il comportamento colposo del danneggiato, si evidenzia che il concorso di colpa è pacificamente rilevabile d’ufficio, sul presupposto che non si tratta di un’eccezione in senso stretto, ma di una semplice difesa, la quale deve essere esaminata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte, sempre ovviamente che risultino prospettati gli elementi di fatto su cui si fonda il comportamento colposo del danneggiato (cfr. Cass. n. 23734/2009, Cass. n. 24080/2008, Cass. n. 14853/2007, Cass. n. 15383/2006).

Se il comportamento colposo del danneggiato rileva a livello concorsuale nella produzione del danno, per eguale ed addirittura maggiore ragione, il comportamento commissivo o omissivo colposo del danneggiato, che sia sufficiente da solo a determinare l’evento, esclude il rapporto di causalità delle cause precedenti. Ed invero, come già accennato, l’interruzione del nesso di causalità può essere anche l’effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, ad esempio nel caso di uso del tutto improprio della res o comunque al di fuori delle regole prescritte, sì da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito (cfr. Cass. n. 24149/2010, Cass. n. 9546/2010, Cass. n. 8229/2010, Cass. n. 993/2009, Cass. n. 28811/2008, Cass. n. 25029/2008, Cass. n. 24804/2008, Cass. n. 4279/2008).

In tale prospettiva, va osservato che l’irregolare stato del manto stradale sia inidoneo a ingenerare una situazione di pericolo di scarsa rilevanza e, come tale, suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, anche in ragione delle condizioni di luce presenti al momento dell’accaduto.

Ne consegue che, alla stregua delle osservazioni dinanzi rassegnate, deve annettersi rilevanza interruttiva del nesso causale al comportamento imprudente dell’attrice, che avrebbe dovuto evitare, adottando normali cautele, di scendere dal marciapiede nel punto caratterizzato dalla presenza del dislivello, peraltro ben visibile, selezionando un punto diverso che consentisse un’agevole discesa sulla strada.

Se così è, può certamente affermarsi che l’irregolare manto stradale e il dislivello dello stesso nel punto in cui (…) è caduta abbia rappresentato unicamente l’occasione di verificazione dell’evento lesivo, che, ex adverso, trova la propria causa efficiente ed esclusiva nel sopravvenuto contegno abnorme e incauto dell’attrice, la quale, piuttosto che utilizzare per la discesa un punto del marciapiede sicuro, si è incautamente determinata per scendere in corrispondenza di un punto di congiunzione tra canale di scolo e sede stradale, all’altezza del civico n. 11, in cattivo stato manutentivo.

Ed invero, dalla produzione fotografica versata in atti e riconosciuta dal teste come rappresentativa dello stato dei luoghi al momento di verificazione del sinistro, emerge come il manto stradale non fosse in ogni sua parte nelle medesime condizioni e che, dunque, l’attrice avesse, in vero, la facoltà di scegliere neutralizzando ovvero riducendo il rischio di una perdita di equilibrio.

Alla stregua delle osservazioni rassegnate, la domanda dell’attrice, proposta ai sensi dell’art. 2051 c.c., non merita accoglimento e va rigettata.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., proposta in via subordinata.

Come noto, ai fini dell’integrazione della fattispecie della responsabilità extracontrattuale derivante dalla violazione del divieto di neminem laedere, è necessario l’accertamento della sussistenza della c.d. insidia, ossia una situazione di pericolo che, dal punto di vista oggettivo, per natura ed entità dell’anomalia, costituisca un ostacolo a cui devono imprescindibilmente aggiungersi la non prevedibilità ed inevitabilità (Cass. n. 1214/84; da ultimo, Cass. civ. n. 5670/97) alla stregua dell’ordinaria diligenza (profilo soggettivo, c.d. impercettibilità soggettiva della conformazione dei luoghi), oltre che l’invisibilità dell’ostacolo stesso (profilo oggettivo, c.d. pericolosità obiettiva come potenziale idoneità ad arrecare un danno alle cose od alle persone).

Va inoltre evidenziato che il concetto di imprevedibilità non va inteso in senso assoluto, ma va rapportato alla situazione specifica avendo riguardo allo specifico stato dei luoghi che determina il grado di attenzione e cautela esigibile dalla persona.

Orbene, le considerazioni dinanzi sviluppate in ordine alla rilevanza causale esclusiva del contegno incauto dell’attrice ex art. 1227 c.c., ai fini dell’esclusione della responsabilità custodiale dell’ente convenuto, sono altresì idonee a fondare un giudizio di esclusione della responsabilità ex art. 2043 c.c., atteso che, riscontrando la causa dell’evento nel comportamento colposo del danneggiato, non può individuarsi alcun rapporto di causalità tra la prospettata insidia – della quale, invero, neppure viene fornita prova univoca e pregnante – e l’evento lesivo.

Ed infatti, tanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del soggetto danneggiato, che sussiste – ripetasi – anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo, oltre a potere integrare un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 comma 1 c.c., con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato, può escludere la responsabilità dell’amministrazione, se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso.

Detto altrimenti, quale che sia la fattispecie di responsabilità invocata, il comportamento colposo del danneggiato che assurga, in relazione alle circostanze del caso, a fattore causale autonomo ed esclusivo della determinazione dell’evento lesivo, non consente di ritenere integrato l’elemento materiale della fattispecie.

Non resta che disciplinare le spese di lite che vanno poste, le quali sono liquidate come in dispositivo, in applicazione del principio della soccombenza tenendo conto del disputatum, dell’attività defensionale svolta e delle questioni oggetto di trattazione.

Questo giudice, infine, non ritiene integrati i presupposti per l’adozione della statuizione di cui all’art. 96 c.p.c., come richiesto dalla parte convenuta, non potendosi ravvisare nel contegno della parte attrice i connotati dell’abuso dello strumento processuale (si confronti sul punto Cass. ord. 4136 del 2018) e non essendo stata fornita la prova degli specifici pregiudizi patiti in conseguenza della resistenza del convenuto nel presente giudizio.

Le spese di consulenza vanno poste a definitivo carico di parte attrice

P.Q.M.

Il Tribunale di Potenza, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del dott. Giulio Fortunato, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta nell’interesse di (…) nei confronti del Comune di Bella, ogni ulteriore istanza ed eccezione disattesa, uditi i procuratori delle parti, così provvede:

1) rigetta la domanda dell’attrice;

2) rigetta la domanda di risarcimento del danno da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. proposta dal convenuto;

3) condanna l’attrice, (…), alla rifusione delle spese di lite a favore del Comune di Bella, che liquida in Euro 7.795,00, oltre I.v.a., C.p.a. e rimborso delle spese generali come per legge.

4) pone le spese di consulenza a definitivo carico di parte attrice.

Così deciso in Potenza l’8 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria l’8 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.