Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia (nel caso, epatite HCV cronica) per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’articolo 2935 c.c., e articolo 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensi’ da quello in cui tale malattia viene percepita o puo’ essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si e’ rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15733
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13947/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1859/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso relativamente al terzo motivo, assorbiti i restanti.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
1. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero della Salute avverso la sentenza dell’8 aprile 2014, con la quale la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento dell’appello in incidentale sul punto del Ministero ha rigettato per intervenuta prescrizione la domanda della ricorrente intesa ad ottenere il risarcimento dei danni sofferti pochi giorni dopo la nascita, avvenuta il 30 luglio 1975, allorche’, in occasione di un ricovero presso gli Ospedali Riuniti di Napoli, le era stata praticata una trasfusione che le aveva provocato una malattia epatica.
2. Al ricorso ha resistito il Ministero con controricorso.
3. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380-bis.1, cod. proc. civ. e sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre e’ stata depositata una memoria da parte della ricorrente.
Considerato che:
1. Con il primo motivo si denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli articoli 99, 112 e 345 c.p.c. – nullita’ della sentenza o del procedimento, a sensi dell’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 4”.
Vi si lamenta che la corte territoriale non avrebbe potuto vagliare l’eccezione di prescrizione riproposta con l’appello incidentale dal Ministero, perche’ essa, pur formulata nella comparsa di risposta, non era stata mantenuta nel corso del giudizio di primo grado sia all’atto della prima che della seconda precisazione delle conclusioni, sicche’ doveva intendersi rinunciata, non avendo, del resto, il Ministero nemmeno presentato una conclusionale.
1.1. Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
Parte ricorrente si limita ad asserire che l’eccezione non venne riproposta all’udienza del 9 dicembre 2004 in cui ebbe luogo la precisazione delle conclusioni per la prima volta, ne’ all’udienza del 2 ottobre 2007 fissata una seconda volta per lo stesso incombente ed a quella del 20 dicembre 2007 che dice fissata in prosecuzione ed in cui precisa che il Ministero non comparve, in cui le conclusioni vennero precisate per la seconda volta. Senonche’, in relazione alla prima udienza non precisa il tenore delle conclusioni del Ministero. Ne consegue che non e’ dato sapere se il Ministero formulo’ conclusioni specifiche tali da comportare, per il loro tenore, la rinuncia tacita all’eccezione per il fatto di non ricomprenderla.
Il motivo risulta inosservante dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, atteso che, per supportarlo era necessario indicare il tenore delle conclusioni precisate nella udienza in cui ebbe luogo la prima precisazione delle conclusioni, mentre, in relazione alla seconda precisazione delle conclusioni, la circostanza della mancata comparizione del Ministero avrebbe investito il Tribunale delle conclusioni siccome precisate nella prima udienza di precisazione delle conclusioni.
2. Con un secondo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 2697, 2934, 2935 2938 e 2947 c.c., nonche’ degli articoli 112 e 115 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.
Il motivo sostiene che l’eccezione di prescrizione era stata sollevata genericamente dal Ministero, ma l’assunto e’ privo di fondamento, dato che si riferisce che il dies a quo era stato indicato nel 1991 e tanto bastava a rendere l’eccezione non generica, senza che occorra discutere se tra gli oneri di allegazione dell’eccezione di prescrizione rientri necessariamente l’individuazione del dies a quo ed in che termini.
Si assume ancora nel motivo che la corte territoriale avrebbe immutato l’eccezione, avendo reputato che la prescrizione era decorsa dal 1992.
Il motivo e’ privo di fondamento.
E’ giurisprudenza consolidata quella secondo cui: “L’eccezione di prescrizione e’ validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non e’ vincolato dalle allegazioni di parte.” (Cass. n. 15631 del 2016; si veda gia’ Cass., Sez. Un., n. 10955 del 2002).
3. Il terzo motivo, deducente “nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli articolo 132 c.p.c., comma 4, articolo 111 Cost., comma 6, articolo 2935 c.c., articolo 2947 c.c., comma 1, e articolo 2729 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5”, e’, invece, fondato.
Vanno qui condivise le ampie argomentazioni svolte dal Pubblico Ministero quanto ad esse nelle sue conclusioni scritte. Esse hanno avuto il seguente tenore:
“(…) che (…)la decisione impugnata ha ritenuto integrata la cognizione piena del rapporto di derivazione causale del pregiudizio epatico subito dalla ricorrente – a seguito di trasfusione in eta’ perinatale – in un periodo collocato intorno all’ottobre 1992, per la (sola) ragione di una ricovero avvenuto in quel torno di tempo, con indagini e con dimissione accompagnata da diagnosi di epatite attiva con cirrosi anti HCV positiva”; che da questa circostanza di fatto viene fatta derivare una interrelazione conoscitiva specifica in capo alla (OMISSIS) ricorrente, in quel momento diciottenne, sulla base dell’affermazione per cui la generale diffusione delle conoscenze scientifiche consentiva di rapportare gli esiti patologici accertati alle trasfusioni subite nel periodo immediatamente successivo alla nascita, indicate nella cartella clinica; che – anche nel quadro del “minimo costituzionale” del controllo sulla logicita’ della motivazione intorno agli accadimenti di fatto – una conclusione di questo tipo contrasta con la logica sottesa alla materia, quale delineata dalle note decisioni a Sezioni Unite del 2008 (del resto evocate proprio nella pronuncia della Corte d’appello in discussione): se puo’ dirsi e’ ben possibile che la cognizione del pieno rapporto di collegamento causale tra il fatto-trasfusione e l’evento-infezione HIV o HCV sia collocata, caso per caso, in un momento anteriore rispetto alla proposizione della domanda di indennizzo ex L. n. 210 del 1992, e’ anche vero che tale evenienza conoscitiva si colloca in rapporto di eccezione rispetto alla regola che “in caso di patologie contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della valutazione, le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (HBV, HW e HCV), ma cio’ che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale e’ l’evento obiettivo dell’infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica” (Cass. n. 17084/2017); che quindi ascrivere (in capo a una diciottenne), nel 1992, una simile cognizione scientifica e la sua riferibilita’ alla condotta (omissiva) dell’amministrazione sanitaria, per esclusione (cioe’ focalizzando tale momento in quanto sarebbero mancate altre plausibili origini della patologia, come “tatuaggi, rapporti sessuali non protetti, scambi di siringhe” etc.: pag. 12 sentenza), risulta essere una metodica del tutto astratta e semplicemente svolta secondo la logica del post hoc propter hoc, a fronte del criterio – che si richiede di riaffermare – imperniato, proprio secondo la Corte regolatrice, nel “normale” manifestarsi della conoscenza del pregiudizio e della sua origine attraverso la proposizione della domanda per l’indennizzo di cui alla legge n. 210/1992 (Cass. S.U. n. 576/2008, Cass. nn. 11302/2011, 28464/2013); che sotto questo profilo la decisione si pone in conflitto con il criterio di giudizio indicato dalla Corte, e finisce per sovrapporre effetto e causa; dovendosi individuare, di conseguenza, il termine iniziale nella proposizione della domanda amministrativa di indennizzo (1999), con le conseguenze in ordine alla tempestivita’ dell’iniziativa in giudizio”.
Le considerazioni svolte dal Pubblico Ministero sono pienamente condivisibili ed anzi sono espressione di una critica in iure sotto il profilo del c.d. vizio di sussunzione, piuttosto che di una sollecitazione al controllo sulla ricostruzione della quaestio facti.
3.1. Si deve, altresi’, aggiungere che la motivazione resa dalla Corte di merito e’ erronea in iure anche perche’ contraria al seguente principio di diritto: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia (nel caso, epatite HCV cronica) per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’articolo 2935 c.c., e articolo 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensi’ da quello in cui tale malattia viene percepita o puo’ essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si e’ rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze” (Cass. (ord.) n. 22045 del 2017).
Nella fattispecie la motivazione resa dalla corte napoletana ha affermato che le circostanze che evidenziavano l’ascrivibilita’ del contagio alle trasfusioni “dovevano essere gia’ chiare ai medici che ebbero la (OMISSIS) in cura presso la Clinica delle Malattie Infettive della II Facolta’ dell’Universita’ di (OMISSIS), nell’ottobre 1992, che erano a conoscenza delle trasfusioni subite dalla paziente, nel luglio 1975, a pochi giorni di vita, al test dell’HVC”. Ha, inoltre, soggiunto che “rispetto al risultato positivo al test dell’HVC, il primo collegamento eziologico, anche da parte dei numerosi specialisti che ebbero in cura la (OMISSIS) per le sue gravi condizioni (…) non poteva che essere con la trasfusione subita in eta’ perinatale”.
E’ palese che con queste affermazioni la corte partenopea ha imputato alla (OMISSIS) una conoscenza o conoscibilita’ della causa del contagio che ha riferito ai medici e lo ha fatto in modo del tutto erroneo, la’ dove quella conoscenza o conoscibilita’ si sarebbe dovuta trasferire i concreto alla paziente.
4. Il quarto motivo e’ assorbito.
5. Il ricorso e’ rigettato quanto al primo ed al secondo motivo. E’ accolto quanto al terzo. Il quarto motivo e’ assorbito. La sentenza e’ cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo. Accoglie il terzo e cassa la sentenza impugnata in relazione. Dichiara assorbito il quarto. Rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, comunque in diversa composizione.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.