Il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potra’ conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, onerato della relativa prova, che potra’ essere fornita anche mediante presunzioni, fondate, in un rapporto di proporzionalita’ inversa, sulla gravita’ delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarieta’ dell’operazione.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 15 giugno 2018, n. 15749

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17328/2015 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), in proprio e quali eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale notarile in atti;

– ricorrenti –

contro

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente –

e contro

FONDAZIONE (OMISSIS), MINISTERO DELLA SALUTE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1764/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/03/2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

RILEVATO

che:

1. – (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero in giudizio la Fondazione (OMISSIS), il Ministero della Salute e la Regione Lombardia, per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, per il decesso del loro congiunto (OMISSIS) in conseguenza dell’esecuzione di un test da sforzo, effettuato il (OMISSIS), nell’ambito del protocollo diagnostico previsto in preparazione al trapianto cardiaco, che si era reso necessario per le gravi patologie cardiache di cui lo stesso (OMISSIS) era affetto.

L’adito Tribunale di Milano, instaurato il contraddittorio a seguito della costituzione dei convenuti ed espletata nel corso dell’istruzione probatoria c.t.u. medico-legale, con sentenza dell’ottobre 2012 rigetto’ le domande attoree, a tal riguardo avendo ritenuto: per un verso, insussistente la responsabilita’ del Ministero della Salute e della Regione Lombardia in quanto l’esecuzione del test da sforzo nei pazienti da avviare al trapianto cardiaco era prevista dalle linee guida elaborate sulla base della migliore pratica clinica; per altro verso, insussistente la responsabilita’ del personale sanitario e della struttura ospedaliera per la mancata individuazione, da parte dei consulenti, del nesso causale fra alcun omesso adempimento di detto personale e l’evento morte del paziente.

2. – Avverso tale decisione interponevano gravame (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che la Corte d’Appello di Milano, con sentenza resa pubblica il 14 maggio 2014, respingeva.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) affidando le sorti dell’impugnazione a cinque motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la Regione Lombardia, mentre non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede la Fondazione (OMISSIS) e il Ministero della Salute.

CONSIDERATO

che:

1. – Va, anzitutto, dichiarata l’inammissibilita’ del controricorso, giacche’ la procura rilasciata dalla parte controricorrente in calce al (la copia notificata del) ricorso (come si afferma gia’ nella prima pagina del controricorso), anziche’ in calce al controricorso medesimo, non e’ idonea per la valida proposizione di quest’ultimo, ne’ per la formulazione di memorie, in quanto non dimostra l’avvenuto conferimento del mandato anteriormente o contemporaneamente alla notificazione dell’atto di resistenza (tra le tante, Cass., S.U., n. 13431/2014).

2. – Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 1218 e 2043 c.c., Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 189 del 2012 e degli articoli 2727 c.c. e segg..

La Corte territoriale, pur avendo implicitamente riconosciuto il nesso causale tra l’esecuzione del “test da sforzo” e il decesso del (OMISSIS), avrebbe, poi, escluso la colpa medica per l’evento letale derivato dalle complicanze insorte durante detto esame diagnostico in quanto questo era previsto dai protocolli e dalle linee guida (oltre ad essere espressamente richiesto ai fini dell’ammissione dei pazienti alle liste d’attesa per il trapianto cardiaco), con cio’ violando il principio per cui l’osservanza delle linee guida e delle buone pratiche costituisce solo elemento di valutazione e non di esclusione della colpa, dovendosi avere riguardo alla peculiare e concreta situazione del paziente al fine di stabilire se la condotta dei sanitari sia stata esente da colpa.

3. – Con il secondo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello ritenuto che erano stati regolarmente effettuati i controlli necessari per l’accertamento della fattibilita’ del test cardiaco, senza verificare questa conclusione alla luce delle difese degli appellanti, che evidenziavano come di questi accertamenti non vi fosse traccia nella cartella clinica e come questo silenzio dovesse considerarsi prova della mancanza degli accertamenti strumentali clinici dedotti”.

La Corte territoriale avrebbe dato rilievo solo al “parere” dei consulenti d’ufficio sulla resistenza del paziente al viaggio effettuato verso il Policlinico di (OMISSIS) e sull’assenza di controindicazioni al test durante il periodo di degenza che lo aveva preceduto, omettendo, pero’, di esaminare, anche alla luce delle critiche mosse alla c.t.u. dai consulenti di parte, le allegazioni degli appellanti circa la mancanza di annotazioni sulla cartella clinica di puntuali controlli strumentali e clinici effettuati durante detto periodo di degenza, quale elemento indicativo delle modalita’ di esecuzione della prova fisica.

3.1. – I motivi vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione.

Deve premettersi che le veicolate censure possono essere delibate solo in quanto (e nella parte in cui) sono isolabili in forza dello sviluppo argomentativo congruente dei relativi motivi, a prescindere, dunque, dall’assemblaggio degli atti processuali operato anche nella premessa del ricorso (che pur si assume “parte integrante dei motivi”), che, come tale, non e’ affatto idoneo ad integrare un’ammissibile impugnazione di legittimita’ (tra le tante, Cass., n. 17002/2013, Cass. n. 22185/2015) e, quindi, a sostanziare le censure scrutinabili.

Cio’ posto, le doglianze sono in parte infondate e in parte inammissibili.

3.2.1. – E’ principio di diritto, ribadito anche di recente (Cass. n. 11208/2017) ed al quale il Collegio intende dare continuita’, quello secondo cui, in materia di responsabilita’ per attivita’ medico-chirurgica, il rispetto, da parte del sanitario, delle “linee guida” – pur costituendo un utile parametro nell’accertamento di una sua eventuale colpa, peraltro in relazione alla verifica della sola perizia del sanitario – non esime il giudice dal valutare, nella propria discrezionalita’ di giudizio, se le circostanze del caso concreto non esigessero una condotta diversa da quella da esse prescritta. Con l’ulteriore precisazione che, come evidenziato dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 295 del 2013, la limitazione di responsabilita’ del Decreto Legge n. 158 del 2012, ex articolo 3, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 189 del 2012, rinviene il suo invalicabile limite nell’addebito di imperizia – giacche’ le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia – e non anche quando l’esercente la professione sanitaria si sia reso responsabile di una condotta negligente e/o imprudente.

3.2.2. – In linea con siffatto principio si snoda il percorso decisionale della Corte territoriale, che, nel rispetto del c.d. “minimo costituzionale” della motivazione (tra le tante, Cass., S.U., n. 89053/2014), lungi dall’arrestare il focus della propria indagine al mero rispetto delle linee guida e degli standard internazionali, ha valorizzato (cfr. pp. 7/9 sentenza di appello) anzitutto il piano della concretezza della situazione contingente del paziente, dando pertinente rilievo alla circostanza – frutto di accertamento fattuale esclusivamente rimesso al giudice del merito – che, in base alla storia clinica del (OMISSIS), alle sue condizioni dal momento del ricovero presso il Policlinico pavese e alla luce delle risultanze degli esami strumentali e di laboratorio eseguiti nei giorni successivi a tale ricovero, era da escludere che al momento dell’esecuzione del “test da sforzo… vi fossero condizioni che avrebbero dovuto suggerire ai sanitari curanti di omettere o rinviare l’esecuzione di quel necessario esame”.

3.2.3. – Detto accertamento di fatto non e’ attinto da censure rispondenti al paradigma del vigente n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., giacche’ non soltanto le doglianze prospettate veicolano, in alternativa a quella della Corte territoriale (e secondo una prospettiva che si adegua piuttosto alla vecchia formulazione della citata norma processuale), una ricostruzione del contenuto dei risultati dell’attivita’ di monitoraggio del paziente, peraltro non dando particolare evidenza (anche in base ad idonea localizzazione processuale, ex articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) ai contenuti propri e specifici della cartella clinica e, inoltre, mancando di puntualizzare quali sarebbero stati gli esami che avrebbero consentito ai medici di prevenire il drammatico esito della prova fisica alla quale era stato sottoposto il (OMISSIS).

Ma, a monte e in via comunque assorbente, le critiche non considerano che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio previsto dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (come nella specie, per l’appunto, esaminato dalla Corte di appello), ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (tra le tante, Cass., S.U., n. 8053/2014). Con la precisazione – che nel caso in esame, stante l’orientamento delle doglianze, assume rilievo significativo – che nel paradigma del vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, non e’ inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 14802/2017).

4. – Con il terzo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione degli articoli 1218, 1223, 1228, 2727 c.c. e segg., nonche’ degli articoli 112, 113, 115, 116, 183 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4 e articolo 118 disp. att. c.p.c., “per mancata applicazione del principio di tempestiva e puntuale allegazione e contestazione e dei principi sulla responsabilita’ contrattuale” e per “omesso esame di fatti decisivi e controversi,… avendo la Corte di appello ritenuto irrilevante giuridicamente l’assenza del cardiologo durante il test da sforzo praticato sulla persona del (OMISSIS) e la connessa inadeguata rianimazione”.

La Corte territoriale avrebbe: 1) errato nel ritenere che la stretta osservanza delle linee guida escludesse la “manchevolezza assistenziale” determinata dall’assenza di un cardiologo dedicato durante l’esecuzione del test da sforzo, trascurando le concrete e particolari condizioni del paziente e, dando, invece, rilievo all’opposizione degli attori circa un sopralluogo in ospedale per la verifica della distanza tra l’ambulatorio “e la stanza dove si trovava il cardiologo”, mentre era questa circostanza di fatto della cui prova erano onerati i convenuti e da questi solo tardivamente dedotta in appello; 2) fornito una motivazione solo “apparente” nel considerare sufficienti le pratiche rianimatorie compiute sul paziente dal personale sanitario non qualificato che stava eseguendo il test, discostandosi da quanto ritenuto dai c.t.u. circa la necessita’ di trattamenti piu’ appropriati, anche nella somministrazione di farmaci aritmici piu’ efficaci di quelli ordinari; 3) fornito una motivazione contraddittoria e di cui vi e’ “difficolta’ di ricostruire l’iter logico del ragionamento”, in quanto “si serve dell’orario di chiamata del cardiologo per desumere l’intervento di quest’ultimo,… e accerta la presenza, a distanza di circa 15 minuti dalle ore 8,50, di un secondo cardiologo, senza spiegarne l’utilita’ di questa circostanza”, cosi’ da non riuscire “a dimostrare logicamente l’irrilevanza causale, sul decorso della crisi, del ritardo dell’intervento del medico specialista”; 4) errato ad escludere l’esistenza del nesso di causalita’ materiale e giuridica tra l’errata prestazione medica e l’evento morte o, comunque, a porre a carico di essi attori l’incertezza a tal riguardo evidenziata dalla c.t.u..

4.1. – Il motivo e’ in parte infondato e in parte inammissibile.

In tema di responsabilita’ contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare (in base alla regola del “piu’ probabile che non”) il nesso di causalita’ tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione (in tal caso alla stregua di un giudizio controfattuale) dei sanitari, mentre, soltanto ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilita’ della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento e’ stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cass. n. 18392/2017, Cass. n. 29315/2017).

La Corte territoriale ha deciso in armonia con tale principio avendo, all’esito della valutazione delle risultanze probatorie e del conseguente accertamento di fatto ad essa riservati, posto in rilievo: a) che l’esecuzione del “test da sforzo”, per la preparazione del (OMISSIS) al trapianto cardiaco quale extrema ratio per la ridotta aspettativa di vita del medesimo, era prevista dai protocolli diagnostici italiani e internazionali ed “espressamente richiesta dalle strutture sanitarie che gestiscono l’ammissione dei pazienti alle relative liste di attesa”; b) che (come gia’ rilevato in sede di scrutinio dei motivi che precedono) in base alla storia clinica del paziente, alle sue condizioni dal momento del ricovero presso il Policlinico pavese e alla luce delle risultanze “degli esami strumentali e di laboratorio eseguiti nei giorni successivi al ricovero”, era da escludere che al momento dell’esecuzione del “test da sforzo” da parte del (OMISSIS) “vi fossero condizioni che avrebbero dovuto suggerire ai sanitari curanti di omettere o rinviare l’esecuzione di quel necessario esame”; c) che non risultava “alcun comportamento erroneo durante l’esecuzione del test”; d) che, quanto alla ipotizzata (dalla c.t.u.) “manchevolezza assistenziale” per esser stato iniziato il “test da sforzo” in assenza di uno specialista cardiologo, doveva, invece, ritenersi che, consentendo le linee guida l’effettuazione del test in presenza di personale non medico altamente specializzato sotto la responsabilita’ di “cardiologo disponibile nella prossimita’ della sede dove si esegue il test”, la ricostruzione cronologica degli eventi (ore 8,50 crisi da fibrillazione ventricolare del paziente; ore 8,53 intervento di cardiologo presente in ambulatorio situato nelle “immediate vicinanze” (fatto dedotto dalla difesa dell’appellante e non contraddetto dagli originari attori, che si erano anche opposti ad approfondimento istruttorio volto a verificare “la disposizione delle stanze degli ambulatori”), il quale “dava atto delle manovre gia’ in corso, di quelle da lui praticate e del sopraggiungere del rianimatore, che proseguiva l’assistenza del paziente”; tra le ore 8,53 e le ore 9,05 intervento di medico rianimatore; ore 9,05 intervento di un secondo medico cardiologo, che “trovava il paziente gia’ assistito… e dava atto dell’ulteriore terapia farmacologica somministrata”; ore 9,50 morte del paziente) consentiva di ritenere l’intervento “coerente con le linee guida”; e) che, in ogni caso (“per completezza di argomentazione”), era da escludere che l’omissione della anzidetta cautela doverosa potesse avere avuto “rilevanza nella produzione dell’evento letale”, essendosi questo “verificato improvvisamente”, senza che avrebbe potuto esser evitato dalla presenza di un cardiologo, la’ dove, poi, la somministrazione di taluni farmaci in luogo di altri era da ascrivere ad una scelta dei medici e non a quella del personale non medico.

Cio’ posto, con specifico riferimento alle censure dei ricorrenti di cui al § 3 che precede, va altresi’ osservato quanto segue.

La doglianza sub 1) e’ inammissibile in tutta la sua articolazione, poiche’ in parte gia’ confutata in sede di scrutinio dei motivi che precedono (cfr. § 3.1.1.) e in parte non solo generica e non supportata da specifica localizzazione processuale (ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6) degli atti assunti come rilevanti, ma in ogni caso sorretta da prospettazione confliggente con il principio di diritto innanzi enunciato.

La doglianza sub 2) e’ infondata, giacche’ la motivazione che sorregge la decisione e’ ben lungi dal violare il cd. “minimo costituzionale” (Cass., S.U., n. 8053/2014), sviluppandosi in modo adeguato e del tutto intelligibile.

La doglianza sub 3) e’ inammissibile in quanto muove critiche che investono la quaestio facti secondo la prospettiva, non piu’ veicolabile, del vizio di motivazione di cui al previgente dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 e che, comunque, non attingono appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata, poiche’ nel ragionamento del giudice di merito si esclude proprio che vi sia stato un ritardato intervento sanitario.

La doglianza sub 4) e’ infondata alla luce del principio di diritto innanzi enunciato, con cio’ venendo comunque a deprivare di ogni consistenza anche la precedente doglianza sub 3), che rimane, dunque, assorbita nell’infondatezza da ultimo ritenuta.

5. – Con il quarto mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli articoli 2, 13, 32 Cost., L. n. 833 del 1978, articolo 33, articolo 5 della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997 (ratificata in Italia con la L. n. 145 del 2001), 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, “per aver la Corte di appello ritenuto implicito, e percio’ non necessario, il consenso informato del paziente per l’esecuzione di esami strumentali rischiosi in vista di un futuro intervento di trapianto cardiaco”.

La Corte territoriale, avendo il (OMISSIS) prestato il consenso tramite la sottoscrizione di moduli aspecifici sulla natura dell’esame al quale si sarebbe sottoposto e senza alcun accenno ai rischi che tale prova fisica avrebbe potuto comportare, avrebbe erroneamente reputato implicito detto consenso, privando del diritto all’autodeterminazione non solo il paziente in imminente pericolo di vita, “ma anche quello con gravi patologie che influiscono solamente, riducendole, sulle sue aspettative di vita”.

5.1. – Il motivo e’ inammissibile.

5.1.1. – Non e’ in discussione l’orientamento ormai consolidato (tra le tante, cfr. Cass. n. 11950/2013) che ha riconosciuto l’autonoma rilevanza, ai fini di una eventuale responsabilita’ risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente.

Occorre, pertanto, rammentare che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, puo’ causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravita’), diverso dalla lesione del diritto alla salute (tra le tante, Cass. n. 2854/2015; Cass. n. 24220/2015; Cass. n. 24074/2017; Cass. n. 16503/2017).

Cio’ e’ a dirsi nell’ottica della legittima pretesa, per il paziente, di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze probabili (ma non anche quelle assolutamente eccezionali ed altamente improbabili) dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza, atteso che la nostra Costituzione sancisce il rispetto della persona umana in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralita’ della sua essenza psicofisica, in considerazione del fascio di convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. n. 21748/2007; Cass. n. 23676/2008, in tema di trasfusioni salvavita eseguite al testimone di Geova contro la sua volonta’).

Ad una corretta e compiuta informazione consegue, difatti: a) il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico; b) la facolta’ di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari; c) la facolta’ di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie; d) il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia – e/o di decidere consapevolmente di interromperla; e) la facolta’ di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano post-operatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanto inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione.

Possono, pertanto, prospettarsi le seguenti situazioni.

Anzitutto l’omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sara’ limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (sul punto, Cass. n. 901/2018).

Inoltre, l’omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sara’ esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente.

Ed ancora, l’omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sara’ liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiche’, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andra’ valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso.

Infine, l’omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che, di conseguenza, sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituira’ oggetto di danno risarcibile, sul piano puramente equitativo, tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse.

Condizione di risarcibilita’ di tale tipo di danno non patrimoniale sara’ quella che esso varchi la soglia della gravita’ dell’offesa secondo i canoni dettati dagli arresti del 2008 di questa Corte (Cass., S.U., n. 26972/2008 e Cass, S.U., n. 26975/2008; ma v. anche Cass. n. 16133/2014), predicativi del principio per cui il diritto leso, per essere oggetto di tutela risarcitoria, deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilita’, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarieta’ secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.

Il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potra’ conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, onerato della relativa prova (Cass. n. 2874/2010), che potra’ essere fornita anche mediante presunzioni (Cass. n. 16503/2017), fondate, in un rapporto di proporzionalita’ inversa, sulla gravita’ delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarieta’ dell’operazione.

5.2. – Tanto premesso, va tuttavia rilevato che dalla sentenza impugnata non emerge affatto che la domanda risarcitoria abbia avuto ad oggetto la lesione del diritto all’autodeterminazione, da dedursi (come detto) in modo congruente e specifico; anzi, dalla sentenza stessa si appalesa come rivendicato unicamente il danno non patrimoniale e patrimoniale da lesione della salute.

Ne’, peraltro, la proposizione, in modo rituale (siccome sorretta da specifiche e congruenti allegazioni) e tempestivo (gia’ con l’originario atto di citazione), di detta domanda autonoma e’ desumibile in forza delle deduzioni del ricorso (in ogni caso da veicolarsi nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ove (cfr. p. 3) vi e’ solo un riferimento generico alla pretesa di tutti i danni, in proprio e come eredi.

Del resto, nel ricorso stesso (cfr. p. 12) e’ riportata la sentenza di primo grado che individua i danni richiesti e tra questi non vi e’ menzionato quello alla lesione dell’autodeterminazione per difetto di consenso all’atto medico; ivi si precisa, poi, che sono inammissibili ulteriori voci di danno richieste nel corso del giudizio.

Soltanto nelle conclusioni nell’atto di appello (cfr. p. 14 ricorso) vi e’ la menzione del danno all’autodeterminazione, ma – in disparte il profilo, pur necessario, della mancanza di idoneo supporto allegatorio – cio’, come tale, viene a costituire domanda nuova (e ne’, come visto, vi sono deduzioni e riscontri contrari). E l’inosservanza del divieto di introdurre una domanda nuova in appello, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., e, correlativamente, dell’obbligo del giudice di secondo grado di non esaminare nel merito tale domanda, e’ rilevabile d’ufficio in sede di legittimita’, poiche’ costituisce una preclusione all’esercizio della giurisdizione, che puo’ essere verificata nel giudizio di cassazione, senza che rilevi, in contrario, che l’appellato abbia accettato il contraddittorio sulla domanda anzidetta (Cass. n. 4318/2016).

Ne consegue che la pretesa risarcitoria e’ rimasta circoscritta a quella concernente la sola lesione della salute, con esclusione, quindi, di quella – su cui vertono le censure del motivo in esame – della asserita violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente.

Peraltro, pur restando assorbente ai fini dello scrutinio di inammissibilita’ del motivo quanto sopra rilevato, giova comunque rilevare che, in riferimento alla proposta domanda di risarcimento danni per lesione della salute, la decisione della Corte di appello (che, quanto al consenso del (OMISSIS) all’esecuzione del “test da sforzo”, lo ha ritenuto implicito, vertendosi nel caso in cui “un paziente in pericolo di vita per la patologia di cui e’ portatore accetti di sottoporsi, in assenza di valide alternative, ad esami diagnostici e terapie potenzialmente pericolose, ma necessaril non si infrange, contro, il principio per cui in tema di responsabilita’ professionale del medico, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico puo’ essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (tra le altre, Cass. n. 2998/2016).

Dimostrazione che i ricorrenti non hanno fornito, non avendo, ancor prima, neppure allegato, in primo grado e tempestivamente, le circostanza di fatto da provare (cfr. ricorso pp. 70/71 nota 3).

6. – Con il quinto mezzo e’ denunciato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, errore di diritto e vizio di motivazione, per violazione degli articoli 1218, 1228, 2727 c.c. e segg., nonche’ degli articoli 112, 113, 115, 116 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4 e 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto assorbiti i motivi di gravame concernenti la legittimazione passiva della Regione Lombardia e del Ministero della Salute (negando, tuttavia, l’obbligo di vigilanza in capo a detti enti), nonche’ il mancato accertamento della sussistenza di tutti i danni patiti dagli odierni ricorrenti, iure proprio e iure hereditatis, il cui ammontare doveva essere determinato secondo equita’ al fine di garantire l’integralita’ del ristoro.

6.1. – Il motivo e’ inammissibile, giacche’, all’esito dello scrutinio che precede, si e’ ormai formato il giudicato in ordine alla insussistenza di una responsabilita’ sanitaria per l’evento infausto occorso al dante causa dei ricorrenti, che rende le anzidette veicolate censure non piu’ sorrette dal necessario interesse ad impugnare.

7. – Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

In ragione dell’inammissibilita’ del controricorso e della mancanza di attivita’ difensiva in questa sede degli altri intimati, non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.