nel caso di risoluzione consensuale del contratto di leasing traslativo, e’ “soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’articolo 1526 cod. civ.
Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di leasing si consiglia la lettura del seguente articolo: Il contratto di leasing o locazione finanziaria
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 29 aprile 2015, n. 8687
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17421-2011 proposto da:
(OMISSIS) SPA (OMISSIS), in persona della sua rappresentante dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS), CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS)PISCINI NELLA (OMISSIS)ROSSI GIUSEPPE (OMISSIS)IFIM ISTITUTO FINANZIARIO DEL MEZZOGIORNO SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2043/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/05/2010 R.G.N. 2883/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/01/2015 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 27.7.1988 (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a., e come tale d’ora innanzi sara’ indicata) stipularono un contratto di leasing avente ad oggetto una pala caricatrice modello “Fiat Allis”.
2. I canoni di leasing dovuti per il periodo compreso tra dicembre 1991 e dicembre 1992 non vennero pagati.
Il 23.12.1992 l’utilizzatore (OMISSIS) mori’.
3. Nel 1993, lamentando il mancato pagamento dei canoni, la (OMISSIS) recedette dal contratto in virtu’ d’una clausola che le accordava tale facolta’. Oltre a recedere dal contratto, la (OMISSIS) chiese ed ottenne dal Tribunale di Roma il decreto ingiuntivo n. 4392/93 del 25.2.1993, pronunciato nei confronti di (OMISSIS) ed avente ad oggetto il credito per canoni insoluti, oltre accessori.
4. Contro tale decreto proposero opposizione sia gli eredi di (OMISSIS) (ovvero (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), sia la societa’ (OMISSIS).
Ne’ la sentenza di primo grado; ne’ la sentenza d’appello, ne’ il ricorso per cassazione spiegano a quale titolo la (OMISSIS) s.a.s. abbia proposto l’opposizione al decreto ingiuntivo.
A fondamento dell’opposizione gli opponenti allegarono, per quanto in questa sede ancora rileva, che il leasing stipulato tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) doveva qualificarsi come “traslativo”. Ad esso, di conseguenza, dovevano applicarsi le norme sulla vendita con riserva di proprieta’, e tra queste l’articolo 1526 c.c.. Pertanto, una volta avvenuta la risoluzione del contratto, la (OMISSIS) non poteva pretendere il pagamento dei canoni insoluti, e doveva restituire quelli riscossi.
5. Indipendentemente dal giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, (OMISSIS) con atto notificato l’8.2.1993 convenne dinanzi al Tribunale di Roma la (OMISSIS), chiedendo l’accertamento della nullita’ o dell’inefficacia delle clausole risolutive espresse contenute nel contratto di leasing stipulato dal proprio dante causa (OMISSIS). In subordine chiese che, qualificato il contratto di leasing stipulato tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) come traslativo, per effetto della risoluzione la (OMISSIS) fosse condannata alla restituzione dei canoni di locazione gia’ riscossi, ai sensi dell’articolo 1526 c.c..
6. I due giudizi vennero riuniti.
Dopo una istruttoria protrattasi per dieci anni, con sentenza 28.1.2003 n. 2981 il Tribunale di Roma:
(a) qualifico’ come “traslativo” il contratto di leasing stipulato tra (OMISSIS) e la (OMISSIS), e dunque soggetto alle previsioni dell’articolo 1526 c.c.;
(b) ritenne tuttavia che l’equo compenso dovuto dall’utilizzatore (e, per lui, dai suoi eredi) alla (OMISSIS), per effetto della risoluzione, si potesse determinare in misura pari ai canoni pattuiti, sicche’ la (OMISSIS) non aveva nulla da restituire;
(c) revoco’ il decreto ingiuntivo.
7. La sentenza del Tribunale venne impugnata:
(a) in via principale da (OMISSIS), il quale lamento’ che l’equo compenso dovuto per l’uso del bene era inferiore alle somme che la banca doveva restituire (a causa della invocata nullita’ di varie clausole contrattuali), sicche’ residuava un suo credito nei confronti di (OMISSIS);
(b) in via incidentale dalla (OMISSIS), la quale contesto’ sia la qualificazione del contratto di leasing come “traslativo”, sia i criteri coi quali il consulente tecnico nominato dal Tribunale aveva determinato in primo grado il valore residuo del bene, con valutazione condivisa dal giudicante.
8. Nelle more del giudizio d’appello sopravvenne il fallimento della (OMISSIS) s.a.s. e di (OMISSIS), e la relativa curatela si costitui’ nel giudizio di appello.
9. Nel giudizio di appello intervenne volontariamente la societa’ (OMISSIS) s.p.a., allegando che la (OMISSIS) le aveva ceduto il proprio credito nei confronti degli intimati, e chiedendo anch’essa l’accoglimento del gravame proposto dalla (OMISSIS).
10. La Corte d’appello di Roma con sentenza 11.5.2010 n. 2043 accolse l’appello principale di (OMISSIS) e rigetto’ l’appello incidentale della (OMISSIS); condanno’ quest’ultima societa’ a pagare a (OMISSIS) circa 200.000 euro, determinati detraendo dal coacervo dei canoni pagati dall’utilizzatore (che la banca era tenuta a restituire) il valore dell’equo compenso e l’ammontare dei danni patiti da (OMISSIS) a causa del mancato guadagno e dei costi sostenuti per il restauro del bene oggetto del contratto.
11. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione dalla (OMISSIS), sulla base di sei motivi.
Nessuno degli intimati si e’ difeso in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Si assume violato l’articolo 1526 c.c. “anche in relazione all’articolo 72 quater legge fallimentare”.
Spiega, al riguardo, che la Corte d’appello ha condannato la (OMISSIS) a restituire agli eredi dell’utilizzatore i canoni di leasing riscossi prima della risoluzione del contratto, quale conseguenza di quest’ultima ai sensi dell’articolo 1526 c.c..
Sostiene tuttavia la ricorrente che l’articolo 1526 c.c. non si applica al leasing, nemmeno a quello traslativo.
Tanto si desumerebbe in via interpretativa dall’articolo 72 quater l. fall., il quale, nel disciplinare gli effetti del fallimento dell’utilizzatore, non fa nessuna distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, ma prevede sempre e comunque l’obbligo del concedente di restituire il bene, lasciando al concedente il diritto di trattenere le rate riscosse.
Da tale norma dovrebbe dunque trarsi l’indice della volonta’ del legislatore di “superare il meccanismo dell’articolo 1526 c.c.”, nel caso di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing.
1.2. Il motivo e’ infondato.
Da venticinque anni questa Corte viene ripetendo che nel caso di risoluzione consensuale del contratto di leasing traslativo, e’ “soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’articolo 1526 cod. civ.” (cosi’ Sez. U, Sentenza n. 65 del 07/01/1993, Rv. 480164; ma si veda gia’, in precedenza, Sez. 1, Sentenza n. 5573 del 13/12/1989, Rv. 464579; il principio e’ del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: da ultimo, nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 19732 del 27/09/2011, Rv. 619401; Sez. 3, Sentenza n. 19287 del 10/09/2010, Rv. 615189; Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010, Rv. 610866).
1.3. Su tale orientamento non riverbera alcun effetto il nuovo articolo 72 quater della legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267), introdotto dal Decreto Legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, articolo 59.
Cio’ per due ragioni.
1.4. La prima ragione e’ che nel caso di specie l’articolo 72 quater cit. e’ stato introdotto diciotto anni dopo la stipula del contratto di leasing (avvenuta nel 1988), e dodici anni dopo la risoluzione di esso (avvenuta nel 1993).
La norma dunque, a tutto concedere, mai potrebbe incidere su situazioni esauritesi ben prima della sua entrata in vigore.
1.5. La seconda e decisiva ragione e’ che in ogni caso l’introduzione nell’ordinamento dell’articolo 72 quater l. fall., non consente di ritenere superata la tradizionale distinzione tra leasing finanziario e traslativo, e le differenti conseguenze che da tale distinzione derivano nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento.
Non lo consente per vari motivi.
In primo luogo, pretendere di ricavare dalla legge fallimentare le regole da applicare in caso di risoluzione del contratto di leasing presupporrebbe che la legge non disciplinasse questa fattispecie. In realta’ cosi’ non e’, perche’ proprio la presenza dell’articolo 1526 c.c. (che e’ norma generale rispetto all’articolo 72 quater cit.) rende impensabile il ricorso all’analogia, per mancanza del suo primo presupposto, cioe’ la lacuna nell’ordinamento.
In secondo luogo, perche’ anche ad ammettere che nell’ordinamento vi fosse una lacuna, essa non potrebbe essere colmata con l’applicazione analogica dell’articolo 72 quater l. fall.. Tale norma, infatti, non disciplina la risoluzione del contratto di leasing (articolo 1453 c.c.), ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell’utilizzatore. La norma fallimentare e’ dunque destinata a disciplinare una fattispecie concreta del tutto diversa da quella disciplinata dalla norma sostanziale (ovvero la risoluzione per inadempimento).
Pertanto, mancando la eadem ratio, non e’ consentito all’interprete il ricorso all’interpretazione analogica.
In terzo luogo, perche’ la tesi sostenuta dalla ricorrente prova troppo: l’articolo 72 quater l. fall., infatti, stabilisce che alle somme gia’ riscosse dal concedente “si applica l’articolo 67, comma 3” l. fall.: vale a dire che non possono essere travolte dall’azione revocatoria fallimentare. L’articolo 67, comma 3, L.F., tuttavia, e’ norma che sancisce la irrevocabilita’ di vari e molteplici atti e contratti, non solo di godimento come il leasing, ma anche di scambio come la vendita, ivi compresa quella con riserva di proprieta’. Pertanto, a seguire la tesi invocata dalla ricorrente, si dovrebbe di necessita’ ammettere che anche la risoluzione per inadempimento di uno qualsiasi dei contratti indicati dall’articolo 67, comma 3, L.F., non avrebbe effetti retroattivi, perche’ anche per essi in caso di fallimento del solvens “si applica l’articolo 67, comma 3, L.F.”. E l’evidente insostenibilita’ di tale conseguenza rende palese la fallacia della premessa.
1.6. Una conferma, ancorche’ implicita, della conclusione appena raggiunta si puo’ desumere dai due precedenti nei quali questa Corte, in giudizi nei quali si controverteva sul diritto dell’utilizzatore in leasing alla restituzione dei canoni, ex articolo 1526 c.c., in seguito al fallimento dell’utilizzatore, ha ribadito senza alcuna ulteriore specificazione la validita’ della distinzione tra leasing traslativo e di godimento (cosi’ Sez. 3, Sentenza n. 17048 del 28.7.2014, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 19272 del 12/09/2014, Rv. 632261).
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Espone, al riguardo, che la sentenza sarebbe nulla per “incomprensibilita’”, nella parte in cui ha motivato la propria decisione di qualificare come “traslativo” il leasing stipulato dalla (OMISSIS) con (OMISSIS).
2.2. Il motivo e’ infondato.
La nullita’ della sentenza per mancanza assoluta di motivazione (articolo 132 c.p.c.) puo’ essere invocata quando una motivazione manchi del tutto, ovvero sia completamente inintelligibile.
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha dedicato alla spiegazione delle ragioni per le quali ha qualificato il leasing come “traslativo” ben quattro cartelle (pp. 3-7), le quali non sono incomprensibili.
La Corte d’appello ha infatti spiegato che il principale indice dal quale desumere la natura traslativa del leasing e’ il valore residuo del bene che ne forma oggetto, calcolato al momento della scadenza del contratto, ed ha affermato che nella specie tale valore era rilevante.
Stabilire, poi, se tale valutazione sia stata corretta in facto e’ un
accertamento di merito, non sindacabile in questa sede.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Anche col quarto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Lamenta, al riguardo, che la Corte d’appello non si e’ pronunciata sul motivo di gravame col quale l’ (OMISSIS) lamentava l’erroneita’ dei parametri utilizzati dal giudice di primo grado per la “quantificazione delle indennita’” dovute dall’utilizzatore in conseguenza della risoluzione del contratto.
3.2. Il motivo e’ inammissibile per difetto di autosufficienza. La ricorrente infatti non trascrive i motivi d’appello che si assumono non esaminate, ne’ spiega aliunde quali siano le “indennita’” del cui erroneo calcolo si era doluta con l’atto d’appello.
4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Anche col quarto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Espone, al riguardo, che la curatela del fallimento di (OMISSIS) (erede di (OMISSIS), utilizzatore in leasing) e quella del fallimento della (OMISSIS) s.a.s. si costituirono nel giudizio d’appello dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Poiche’, tuttavia, il processo in primo grado era iniziato nel 1993, ad esso si applicava l’articolo 293 c.c. nel testo vigente ratione temporis, norma che non consentiva la costituzione del contumace dopo che la causa era stata rimessa al collegio. La costituzione del “Fallimento (OMISSIS)”, pertanto, doveva dichiararsi nulla, e la (OMISSIS) non poteva essere condannata a pagare alcunche’ alla curatela.
4.2. Nella parte in cui lamenta la tardiva costituzione della curatela del fallimento (OMISSIS) s.a.s. il motivo e’ inammissibile per difetto di interesse, dal momento che la sentenza impugnata non contiene alcuna statuizione a carico di (OMISSIS) ed in favore della curatela del fallimento della (OMISSIS) s.a.s..
4.3. Nella parte in cui lamenta la tardiva costituzione del fallimento di (OMISSIS) il motivo e’ fondato.
E’ la stessa sentenza impugnata a riferire, nello “svolgimento del processo”, che “precisate le conclusioni e rimesse le parti avanti al collegio per la discussione, prima dell’udienza si e’ costituita la curatela del fallimento di (OMISSIS), per proporre domande di contenuto analogo a quelle dell’appellante principale”.
Tuttavia l’articolo 293 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, stabiliva che “la parte che e’ stata dichiarata contumace puo’ costituirsi in ogni momento del procedimento fino all’udienza in cui la causa e’ rimessa al collegio a norma dell’articolo 189”.
Nella giurisprudenza di questa Corte e’ pacifico che la norma appena ricordata impedisca, una volta chiusa l’udienza di precisazione delle conclusioni, una successiva costituzione del contumace (Sez. 3, Sentenza n. 22618 del 11/12/2012, Rv. 624306; Sez. 3, Sentenza n. 11136 del 27/07/2002, Rv. 556342; Sez. 2, Sentenza n. 6905 del 04/06/1992, Rv. 477569, e via risalendo siano alla sentenza capostipite, Sez. 1, Sentenza n. 1286 del 23/04/1969, Rv. 339950).
4.4. La sentenza deve pertanto essere cassata sul punto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale nell’esaminare nuovamente il gravame riterra’ non costituita la curatela del fallimento di (OMISSIS); ed ove quest’ultima si dovesse costituire nel giudizio di rinvio (il che e’ sempre consentito sino all’udienza di precisazione delle conclusioni anche nel giudizio di rinvio: Sez. 3, Sentenza n. 2285 del 25/06/1969, Rv. 341674), terra’ conto che al contumace il quale si costituisca nel giudizio di rinvio e’ impedito in qualsiasi modo alterare o modificare la situazione processuale preesistente.
5. Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assume violato l’articolo 1292 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel condannare la banca al pagamento in favore degli eredi di (OMISSIS) in solido; e cio’ in quanto la solidarieta’ attiva non puo’ presumersi, dovendo invece risultare dal titolo dell’obbligazione.
5.2. Il motivo e’ fondato. Lo e’ per ragioni giuridiche diverse da quelle invocate dalla ricorrente, ma rilevabili da questa Corte in virtu’ del principio jura novit curia.
La Corte d’appello, infatti, non ha affatto pronunciato alcuna condanna solidale nei confronti degli eredi di (OMISSIS). L’affermazione di tale preteso vincolo solidale non risulta dal dispositivo della sentenza, non risulta dalla motivazione e non e’ altrimenti desumibile.
5.3. Tuttavia la Corte d’appello ha pronunciato una condanna della (OMISSIS) al pagamento di somme di denaro in favore di soggetti ( (OMISSIS), (OMISSIS), la curatela del fallimento di (OMISSIS)) che erano rimasti contumaci nel giudizio di appello (ovvero, come nel caso della curatela, che si erano tardivamente costituiti), e che comunque non avevano proposto alcuna impugnazione avverso la sentenza di primo grado.
La Corte d’appello ha dunque attribuito ai tre soggetti appena indicati una utilita’ che essi non avevano invocato, pronunciando ultra petita.
Ne’ ad essi poteva ovviamente giovare l’impugnazione di (OMISSIS), noto essendo che nomina haereditaria ipso iure dividuntur, e che di conseguenza crediti e debiti di (OMISSIS) verso la (OMISSIS), una volta caduti in successione, si sono necessariamente frazionati fra gli eredi in misura corrispondente alle singole quote ereditarie.
Ne’, infine, risulta che (OMISSIS) abbia mai dichiarato di appellare quale rappresentante degli altri coeredi, ovvero quale negotiorum gestor di essi.
5.4. La sentenza andra’ dunque cassata anche su questo punto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale determinera’ il credito di (OMISSIS), unico appellante, in misura corrispondente alla sua quota ereditaria.
6. Il sesto motivo di ricorso.
6.1. Col sesto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Si assumono violati gli articoli 1224 e 1526 c.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha determinato il credito degli opponenti nei confronti della banca sottraendo, dal coacervo dei canoni che la seconda era tenuta a restituire, l’equo compenso per il godimento della cosa. Ha, quindi, maggiorato la differenza degli interessi di mora ex articolo 1224 c.c., comma 2.
Tuttavia, soggiunge la ricorrente, la Corte d’appello non ha “maggiorato con gli identici strumenti” il credito della (OMISSIS) avente ad oggetto il pagamento dell’equo compenso.
6.2. Il motivo e’ inammissibile, per totale estraneita’ rispetto alla effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.
6.3. Per determinare il credito di (OMISSIS), la Corte d’appello ha cosi’ proceduto:
(a) determinato il valore nominale dei canoni di locazione che la (OMISSIS) doveva restituire;
(b) ha determinato il valore nominale dell’equo compenso che l’utilizzatore doveva pagare alla (OMISSIS);
(c) ha sottratto il valore (b) dal valore (a), accertando l’esistenza d’un residuo credito a favore degli eredi di (OMISSIS), pari a 148.439,27 euro.
Cosi’ determinato il capitale, la Corte d’appello ha calcolato la mora debendi, ritenendo sussistente la prova presuntiva d’un danno eccedente gli interessi legali, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., e liquidandolo in misura corrispondente alla svalutazione monetaria.
6.4. Questo criterio di calcolo del danno da mora e’ corretto.
La Corte d’appello infatti non ha rivalutato il capitale dovuto dall’utilizzatore al concedente, ne’ quello dovuto da quest’ultimo al primo: l’uno e l’altro, infatti, avevano ad oggetto obbligazioni di valuta, soggette al principio nominalistico di cui all’articolo 1277 c.c..
Ha, invece, il giudice di merito rivalutato il saldo creditore risultato a favore dell’appellante, ma tale rivalutazione ha compiuto non gia’ ai fini della determinazione del capitale dovuto (aestimatio), ma ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2: cioe’ per determinare gli effetti della mora. Rispetto a questa decisione la pretesa della (OMISSIS), secondo cui la Corte d’appello avrebbe errato nel rivalutare solo il credito dell’utilizzatore e non quello della banca, e’ totalmente fuori quadro: sia perche’ la Corte d’appello non ha affatto rivalutato il credito di (OMISSIS) in conto capitale, sia perche’ il ricorso agli indici di rivalutazione calcolati dall’Istat e’ servito solo a liquidare gli effetti del ritardato adempimento. Dunque non vi e’ stata nessuna disparita’ di trattamento tra il credito di (OMISSIS) e quello della (OMISSIS): perche’ solo il primo poteva vantare un saldo creditore nei confronti della seconda, e dunque solo il primo aveva diritto al pagamento della mora debendi.
7. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimita’ e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 c.p.c.:
-) accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso;
-) cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’ e di quelle dei gradi di merito.