per la risoluzione del contratto per inadempimento non e’, in generale, richiesta la costituzione in mora, essendo dalla legge imposta come unica condizione, al riguardo, il fatto obbiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza ed essendo l’intimazione ad adempiere richiesta soltanto per la produzione di specifici effetti dell’inadempimento, quali il trasferimento, a carico del debitore, del rischio della prestazione (cosiddetta perpetuatio obligationis), e il rendere, inoltre il debitore responsabile dei danni derivati dall’inadempimento. La necessita’ della costituzione in mora ai fini della risoluzione per inadempimento (e, a fortiori, ai fini della domanda di risarcimento) puo’ concepirsi soltanto se la risoluzione si basi sulla mora in senso stretto, cioe’ su di un inadempimento temporaneo e quindi non definitivo, e l’inadempimento riguardi una prestazione da eseguire al domicilio del debitore.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 18 giugno 2018, n. 15993

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17949/2013 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio del difensore;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 877, depositata il 22 febbraio 2013;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 gennaio 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi gli avv. (OMISSIS) per il ricorrente e (OMISSIS) per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), medico legale, chiamava in giudizio davanti al tribunale di Milano (OMISSIS), al fine di ottenere la condanna della convenuta al pagamento del compenso dovuto in forza di contratto d’opera professionale per la valutazione dei danni da lei subiti in dipendenza di cure oculistiche.

Deduceva che la cliente, invitata a ritirare il parere medico legale pronto gia’ dall’1 marzo 2006, aveva manifestato la volonta’ di recedere dal contratto, formalizzando poi tale sua volonta’ con lettera raccomandata del 5 aprile 2006.

Lamentava infine che la cliente, invitata a pagare l’onorario per l’attivita’ professionale resa in suo favore, aveva lasciato priva di riscontro la richiesta di pagamento.

2. La convenuta si costituiva e replicava di avere richiesto al professionista la consegna del parere medico legale, sentendosi rispondere dalla segretaria dello studio che “e’ totalmente da escludere che il professore trasmetta ad un proprio cliente una relazione medico legale senza che l’intera pratica venga gestita sino alla fine dal suo studio e dalla di lui figlia sotto l’aspetto legale”.

In seguito a tale risposta era maturata la decisione della cliente di recedere dal rapporto.

Cio’ posto, la (OMISSIS) negava il diritto del professionista di pretendere il pagamento del compenso, sia perche’ il parere medico legale era stato trasmesso solo con la citazione introduttiva del giudizio, sia perche’ il medesimo era inattendibile, come risultava dal parere di un diverso professionista cui la convenuta si era rivolta dopo il recesso.

3. La domanda era rigettata dal Tribunale di Milano, il quale condannava l’attore al risarcimento del danno per lite temeraria, imputando al professionista di avere agito per il pagamento, nonostante la prestazione oggetto di incarico non fosse stata resa disponibile.

4. La sentenza era confermata alla Corte d’appello di Milano.

I giudici d’appello condividevano sia l’interpretazione dell’iniziale incarico data dai primi giudici, per i quali il professionista avrebbe dovuto rendere solamente un parere medico legale, sia la valutazione che il parere non era stato reso disponibile per la cliente. Osservava ancora la corte distrettuale che la cliente aveva avuto conoscenza del parere solo con la notifica della citazione, in tempi tali da rendere inutile la prestazione, il che escludeva il diritto del professionista a pretendere il compenso, dovendosi nello stesso tempo escludere che fossero state eseguite prestazioni ulteriori. Infatti le prestazioni indicate nella parcella si riferivano ad attivita’ funzionali all’adempimento della sola prestazione medico legale dedotta in contratto, e cioe’ quella della formulazione del parere.

La corte distrettuale riteneva corretta, nell’an e nel quantum, la liquidazione equitativa del danno da lite temeraria operata dal primo giudice.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui la (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) fra le parti, e violazione falsa applicazione delle norme sulla interpretazione dei contratti (articolo 1362 c.c. e segg.).

L’incarico conferito dalla cliente al professionista non aveva ad oggetto la mera redazione di un parere medico legale, ma l’attivita’ di assistenza medico legale finalizzata allo svolgimento di una pratica di risarcimento del danno.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sull’adempimento dell’obbligazioni (articolo 1176, 1182, 1206 e segg. c.c.).

In considerazione della natura della prestazione, da eseguirsi al domicilio del debitore, era la creditrice a doversi rendere parte attiva per ottenere la disponibilita’ del parere, e non il contrario.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sulle conseguenze del recesso, nonche’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Il parere era stato reso e doveva essere pagato nonostante il recesso.

Il compenso era dovuto anche in base al patto aggiuntivo, con il quale le parti, per il caso di interruzione del rapporto, si erano impegnate a rivolgersi per la liquidazione degli onorari al Consiglio dell’ordine professionale.

La mancata comunicazione dell’accordo all’Ordine dei medici faceva venir meno l’efficacia vincolante della liquidazione, non l’efficacia del patto in ordine alla debenza del compenso, che rimaneva in ogni caso dovuto ai sensi dell’articolo 2337 c.c.

Il quarto motivo denuncia violazione della norma sulla responsabilita’ per lite temeraria (articolo 96 c.p.c.).

La statuizione di condanna per tale titolo era priva di fondamento risultando indimostrata la mala fede dell’attore e in assenza di prova del danno. Inoltre, essendo stata pronunciata in appello, la pretestuosita’ della iniziativa giudiziaria non riguardava piu’ la domanda, ma i motivi di gravame.

2. E’ prioritario l’esame del secondo motivo di ricorso, che e’ fondato.

La corte distrettuale ha ritenuto efficacemente proposta, da parte della cliente, l’eccezione di inadempimento, pur dopo la messa a disposizione del parere medico legale nel giudizio instaurato dal professionista per ottenere il pagamento del compenso.

Tale decisione trascura, da un lato, che la prestazione (consegna della relazione medico legale) doveva eseguirsi presso il domicilio del professionista, dall’altro, che non c’era stata costituzione in mora si sensi dell’articolo 1219 c.c., comma 1.

E’ stato chiarito che “per la risoluzione del contratto per inadempimento non e’, in generale, richiesta la costituzione in mora, essendo dalla legge imposta come unica condizione, al riguardo, il fatto obbiettivo dell’inadempimento di non scarsa importanza ed essendo l’intimazione ad adempiere richiesta soltanto per la produzione di specifici effetti dell’inadempimento, quali il trasferimento, a carico del debitore, del rischio della prestazione (cosiddetta perpetuatio obligationis), e il rendere, inoltre il debitore responsabile dei danni derivati dall’inadempimento. La necessita’ della costituzione in mora ai fini della risoluzione per inadempimento (e, a fortiori, ai fini della domanda di risarcimento) puo’ concepirsi soltanto se la risoluzione si basi sulla mora in senso stretto, cioe’ su di un inadempimento temporaneo e quindi non definitivo, e l’inadempimento riguardi una prestazione da eseguire al domicilio del debitore” (Cass. n. 2602/1971).

In questa ipotesi “il debitore che non sia stato costituito in mora prima del giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento consistente in un temporaneo ritardo, mentre avrebbe dovuto esserlo, perche’ la prestazione era eseguibile al domicilio di lui, puo’, in deroga al principio generale dettato dall’articolo 1453 c.c., u.c., adempiere dopo la data della domanda di risoluzione avente il valore anche di atto di costituzione in mora, e fino alla prima udienza di trattazione” (Cass. n. 30/1963; conf. n. 2602/1971 cit.).

Nel caso in esame l’inadempimento e’ stato fatto valere dalla cliente in via di eccezione, nel giudizio instaurato dal professionista per avere il compenso, ma i principi di cui sopra sono ugualmente applicabili: la prestazione si doveva eseguire al domicilio del debitore, non c’era stata costituzione in mora, non vi era dichiarazione scritta del debitore di non volere adempiere (Cass. n. 956/1965), ma solo una risposta telefonica proveniente non dal professionista, ma da una segretaria dello studio, e nondimeno perentoriamente assunta dalla corte di merito quale manifestazione di una univoca e definitiva intenzione del debitore di non adempiere (cfr. Cass. n. 97/1997; n. 9637/2001).

Al contrario, in applicazione dei principi di cui sopra, la corte d’appello non poteva ritenere a priori irrilevante la messa a disposizione del parere al momento di proposizione della lite, ma avrebbe dovuto indagare se l’eccezione di inadempimento fosse ancora attuale e giustificata in quel preciso momento.

In verita’ la sentenza impugnata accenna inoltre a una supposta inattendibilita’ del parere, ma si tratta di un argomento aggiuntivo teso a evidenziare come lo studio volesse indurre la cliente a coltivare la lite a tutti i costi. Il rilievo non puo’ essere assunto come accoglimento di una eccezione della cliente fondata su un inadempimento ulteriore, oltre a quello desunto dalla volonta’ del professionista di non consegnare il documento.

3. La corte d’appello ha escluso che, oltre al parere, fossero state espletate dal professionista prestazioni ulteriori e tale accertamento non ha costituito oggetto di censura. Dal canto suo il professionista, pur deducendo che il contratto aveva un diverso e piu’ ampio contenuto, non ha preteso che il pagamento delle prestazioni effettivamente rese e naturalmente non mette in discussione la legittimita’ del recesso. Ma se il solo oggetto del giudizio riguarda oramai il diritto del professionista a percepire il compenso per il parere, e’ inevitabile dedurne che la diversa interpretazione del contratto, oggetto del primo motivo, non e’ idonea a incidere sull’esito della lite, restandone lo stesso primo motivo conseguentemente assorbito.

E’ assorbito anche il terzo motivo: la corte d’appello non ha negato, in via di principio, il diritto del professionista a percepire il compenso pure in ipotesi di recesso del cliente. Ha negato quel diritto in quanto ha ritenuto il debitore inadempiente: in tale accertamento e’ la sola ratio della decisione.

Assorbito anche il quarto motivo sulla condanna per lite temeraria.

4. In conclusione, accolto il secondo motivo, la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvedera’ a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e regolera’ le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano anche per le spese.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.