In caso di rottura di fidanzamento, presupposto essenziale per l’esercizio dell’azione di restituzione dei doni – che l’art. 80 c.c. riconosce al donante in relazione a qualsiasi promessa di matrimonio, sia tra persone capaci che tra minori non autorizzati, sia che la promessa sia vicendevole, sia che sia unilaterale – è la circostanza che i doni siano stati fatti “a causa della promessa di matrimonio”, cioè sulla presupposizione della celebrazione del futuro matrimonio, senza necessità di una particolare forma, nè di pubblicità della promessa, conseguendone il diritto alla restituzione per la sola ipotesi che il matrimonio non sia stato contratto e senza alcuna rilevanza delle cause del mancato matrimonio.
Tribunale|Bologna|Sezione 2|Civile|Sentenza|1 aprile 2022| n. 880
Data udienza 31 marzo 2022
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
SECONDA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Carolina Gentili ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. … /2019 promossa da:
X (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. ..e dell’avv. …(***)…; elettivamente domiciliato in …presso il difensore avv. …
ATTORE
contro
Y (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv..; elettivamente domiciliato in presso il difensore avv..
CONVENUTO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da memorie ex art.183 co.6 n.1 c.p.c., reiterando le istanze istruttorie non ammesse.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con citazione notificata nel novembre 2019 X ha convenuto in giudizio Y, assumendo di averle concesso in prestito, all’epoca del fidanzamento, il complessivo importo di Euro 112.000,00 in forza di bonifici eseguiti nell’intervallo di tempo dal Luglio 2014 al Luglio 2016, al fine di consentirle di mantenere le figlie – avute da precedente matrimonio – ed il pagamento del mutuo, denaro che era stato restituito solo per il minor importo di Euro15.000,00 nel Luglio 2014.
In fatto, l’attore ha premesso che, dopo che la convenuta nel 2016 aveva ottenuto il divorzio dal precedente marito, le parti, che già intrattenevano una relazione sentimentale, avrebbero dovuto sposarsi nell’estate 2019; in vista del matrimonio, l’attore aveva acquistato un immobile, scelto da controparte, nel Comune di., dove già ella risiedeva; che per procedere a tale acquisto, l’attore aveva dovuto previamente vendere l’appartamento dove abitava, sito in *** (BO), ed accendere un mutuo dell’importo di Euro 150.000,00, necessario per pagare la differenza tra il prezzo ricavato dalla vendita del proprio immobile (Euro 160.000,00) e l’acquisto del nuovo (Euro 300.000,00), oltre che per le spese necessarie alla personalizzazione di quest’ultimo secondo le esigenze ed i desideri della Y e delle di lei figlie, sobbarcandosi a tal riguardo un costo di circa Euro 33.000,00; improvvisamente, nel giugno 2019, allorquando erano state risolte le questioni burocratiche che avevano impedito all’Ufficiale di Stato Civile di .la pubblicazione del matrimonio, finalmente avvenuta, la convenuta aveva rifiutato di vedere il futuro marito ed aveva revocato la delega sul conto corrente sul quale erano state accreditate le somme di denaro mutuate.
In diritto, X ha rilevato che sussisteva il contratto di mutuo per l’importo di Euro 97.000,00, la cui dazione era stata effettuata mediante bonifici bancari recanti la causale “prestito personale” o “rata mutuo”, mentre doveva escludersi lo spirito donativo, soprattutto per il bonifico di Euro 64.000,00, eseguito in data 20.7.2016, anche per mancanza del requisito di forma previsto dall’art.782 c.c., non essendo di modico valore, ma costituendo donazione diretta ex art.769 c.c., come affermato dalle S.U. della Suprema Corte nella sentenza n.18725/2017.
L’attore ha, altresì, esposto di aver versato -a partire dal 2015 e fino al 2019- l’importo di Euro 15.000,00 su polizze assicurative rilasciate da Poste Italiane a favore delle figlie della controparte, nonché ulteriori Euro 36.000,00 su polizze Generali Ina Assitalia già in corso, per complessivi Euro 51.000,00; che tali dazioni andavano qualificate come donazioni ex art.80 c.c., in funzione del matrimonio, per cui andavano restituite in conseguenza della rottura della promessa di matrimonio da parte della convenuta; che nell’ambito dell’art.81 c.c. dovevano rientrare le spese sostenute per l’acquisto dell’immobile destinato a divenire l’abitazione dei nubendi (Euro163.734,00) e per la sua personalizzazione, al fine di ospitare le figlie della convenuta, spese quantificate in Euro33.526,00, ridotte proporzionalmente ad Euro 100.000,00 .
Di conseguenza X ha domandato:
la restituzione di importi mutuati per Euro 97.000,00;
la restituzione delle somme donate alle figlie di controparte in vista del matrimonio per Euro 51.000,00;
il risarcimento dei danni per rottura della promessa di matrimonio, ridotti ad Euro100.000,00, a fronte dei 197.000,00 sostenuti a titolo di costi e per aver venduto il proprio immobile di Casalecchio, dove abitava da solo in precedenza.
Y , costituitasi tardivamente, ma entro la prima udienza, ha assunto che tra le parti esistesse un progetto di vita comune sin dal 2012 ed in seguito una stabile convivenza more-uxorio finalizzata alla celebrazione del matrimonio, tanto che esse aveva cercato la casa familiare, ove trasferirsi con le figlie nate da precedente matrimonio, casa che l’attore aveva da ultimo acquistato in via esclusiva, escludendo, tuttavia, la promessa cointestazione; inoltre, X si era offerto più volte di estinguere il mutuo gravante sull’appartamento che costituiva la ex-casa coniugale della convenuta e a cui questa non riusciva a far fronte a causa di inadempienze del marito, ma poi aveva soltanto versato un importo di Euro 10.000,00; in tale frangente, l’attore aveva offerto la cointestazione del deposito titoli, proposta rifiutata dalla Y, cui era stata rilasciata soltanto la delega ad operare sul conto corrente, peraltro mai utilizzata, nonché promesso di attribuirle elargizioni nel proprio testamento; nel 2015 l’attore aveva fatto un versamento spontaneo di Euro 20.000,00 senza oneri restitutori, in quanto motivato dalla perdita di due occasioni di lavoro da parte della convenuta, essendosi sempre comportato in modo rassicurante per far fronte alle esigenze della compagna, che, a sua volta, si era dedicata in modo prevalente alla cura degli interessi e della persona di controparte, come dimostrato dal crollo dei propri redditi nel periodo dal 2014 al 2016; per tutte le suddette ragioni, X aveva deciso di donare alle figlie della compagna l’importo massimo consentito dalle polizze assicurative e versare il rimanente importo sul conto corrente mediante assegno; dopo una fase di allontanamento, nel settembre 2018 le parti si erano riavvicinate, e, per suggellare le proprie intenzioni, l’attore aveva versato sul conto corrente con delega a Y un importo di Euro 30.000,00 con la causale “accordo …”, importo che avrebbe dovuto essere utilizzato da quest’ultima per l’acquisto di una casa in tale territorio, dove la stessa era nata, salvo poi non presentarsi nel mese di febbraio 2019 in Salento per firmare la promessa di acquisto, scomparendo come accaduto più volte in precedenza; nei mesi successivi del 2019 erano state sottoscritte le pubblicazioni di matrimonio previste ex lege; pertanto, X non aveva mai prestato, bensì donato somme alla compagna, non sussistendo gli elementi indispensabili per ravvisare il contratto di mutuo.
Per quanto riguardava la richiesta risarcitoria a titolo di rottura della promessa di matrimonio, Y ha osservato che la scelta di non contrarlo era stata motivata dall’atteggiamento aggressivo dell’attore, ritenuto incompatibile con il carattere della convenuta e con la serenità delle di lei figlie; ha, inoltre, contestato la sussistenza del danno allegato, in quanto l’immobile acquistato e ristrutturato dal X era interamente intestato allo stesso; ha, quindi, concluso per il rigetto delle domande attoree e la condanna di controparte ex 96 c.p.c., avendo dovuto presentare querela a causa dell’atteggiamento persecutorio dell’attore.
Depositate le memorie istruttorie, la causa è stata istruita mediante documenti e prove orali e trattenuta in decisione all’udienza del 25 novembre 2021 sulle conclusioni in epigrafe indicate.
Le domande proposte da X vanno esaminate partitamente.
Va in primo luogo esaminata la domanda di restituzione del denaro mutuato.
Essa ha ad oggetto il versamento di complessivi Euro 97.000,00, effettuato mediante i seguenti bonifici bancari:
– Euro 20.000,00 in data 11.8.2015;
– Euro 10.000,00 in data 14.4.2016;
– Euro 1.500,00 in data 15.2.2016;
– Euro 1.500,00 in data 11.3.2016;
– Euro 64.000,00 in data 20.7.2016.
In relazione a tale domanda, l’attore è onerato di dimostrare non solo la consegna del denaro alla convenuta, ma anche che questa si sia impegnata a restituirlo, avendolo ricevuto a mutuo.
Il ricevimento di tali somme non è contestato da Y, la quale assume si sia sempre trattato di donazioni o di elargizioni intervenute nel corso di una convivenza more-uxorio.
E’ noto, che l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, ossia che la consegna è stata effettuata per un titolo che comporti l’obbligo di restituzione, atteso che una somma di denaro può essere consegnata per varie causali.
Si afferma ormai da tempo in giurisprudenza che:
– la parte che chieda la restituzione di somme date a mutuo è tenuta a provare, oltre alla consegna, anche il titolo dal quale derivi l’obbligo di controparte alla restituzione, purché l’attore fondi la domanda su un particolare contratto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17050 del 28/07/2014, Rv. 632574; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12119 del 19/08/2003, Rv. 565953).
– il quadro non muta neppure quando il convenuto ammetta di aver ricevuto una somma di denaro dall’attore, ma neghi che ciò sia avvenuto a titolo di mutuo, poiché tale difesa “… non costituisce una eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l’onere della prova, giacché negare l’esistenza di un contratto di mutuo non significa eccepirne l’inefficacia, la modificazione o l’estinzione, ma significa negare il titolo posto a base della domanda, benché il convenuto riconosca di avere percepito una somma di denaro ed indichi la ragione per la quale tale somma sarebbe stata versata, con la conseguenza, pertanto, che rimane fermo l’onere probatorio a carico dell’attore” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6295 del 13/03/2013, Rv. 625490; Sez. 2, Ordinanza n. 30944 del 29/11/2018, Rv. 651538).
– in ogni caso, dunque, l’attore che agisca per la restituzione di una somma di denaro, allegando che essa sia stata consegnata al convenuto a titolo di mutuo, ha l’onere di dimostrare tanto la consegna effettiva della somma, che il titolo della sua dazione, appunto a titolo di mutuo. In difetto di tale duplice prova, la domanda non può essere accolta (Cassazione civile, sez. II, 09/07/2021, n. 19578).
Nel presente giudizio la prova del prestito potrebbe essere ritenuta di natura documentale per quanto riguarda i versamenti mediante bonifico bancario, recanti la causale “prestito personale”, cioè quelli effettuati in data 11.8.2015 di Euro 20.000,00 (doc.2 attoreo), in data 14.4.2016 di Euro 10.000,00 (doc.3 attoreo), mentre il bonifico di Euro 1.500,00 in data 16.2.2016 reca la causale “per rata mutuo febbraio” (doc.4 attoreo) come pure quello del mese successivo di pari importo (“per rata mutuo marzo 2016” doc.5 attoreo).
Senonché la convenuta ha obbiettato che detta causale, indicata nel versamento eseguito in data 11.8.2015, fosse dovuta ad esigenze meramente fiscali del X, invocando -a supporto della tesi-quanto da questi scritto nella mail 7.8.2015 (doc. 8 convenuta), in cui, rispondendo alle doglianze della Y sulla necessità di indicare la suddetta causale, anziché la voce regalo, scrive: Questa mattina ho fatto il bonifico con entusiasmo. La dicitura “prestito personale” ti avevo già detto in passato, è necessaria. Il mio conto personale coincide con quello della ditta e già un prestito di 20.000 euro può destare sospetti, più che mai in seguito ai giusti e tanti controlli bancari in merito a somme movimentate sopra i 5000euro. La causale regalo sa di inciucio (inciucio n.d.r.) ed il commercialista la sconsiglia vivamente. Non vedo perché dovrei cercare delle grane, quando è fatto tutto regolarmente! Oltretutto tu non mi hai neppure ringraziato, ne una parola scritta, né detta finché non te l’ho fatto notare. L’importante è che per te io non ho fatto nulla e non ho mantenuto i miei impegni. Tu cosa hai fatto? Ripeto. Alla luce di questo ho revocato il bonifico e, se avrai bisogno e con la gentilezza che spesso si contraddistingue, sono pronto a rifarlo anche lunedì stesso. Ti abbraccio”.
Di analogo tenore la e-mail 21.9.2015 (doc.8 convenuta), in cui X si lamenta di essere stato tratto in inganno da Y ed aver scritto la mail di regalo, pur senza pentirsi di aver agito con animo di liberalità, ma dolendosi dell’atteggiamento ondivago della controparte, che approfitta della sua generosità, senza negare di aver agito in tal senso e rivendicando il suo gesto: scrive infatti: con me non c’è proprio il rischio di andare per vie legali, non importava che tu trovassi la formula ingannevole di farmi scrivere l’e-mail dove confermo di farti un regalo e non un prestito, fantasticando ragioni assurde e meschine, perché io non ti avrei mai minacciato o perseguito per riavere il denaro che ti ho dato. Anzi ero pronto a proporti di condividere con te anche il resto che possiedo, fin da domani! Ma tu neghi l’evidenza. Questo mi fa tanto male, ma mi conferma la tua logica. Ero certo che il nostro futuro di vita insieme non avrebbe contemplato restituzioni. (…) Non importava che ancora una volta tradissi la mia fiducia, sfiduciando anche te stessa e facendomi puntualizzare che è un regalo, perché non te li avrei mai chiesti indietro. Sarà un regalo sì, ma non a te che vanti diritti assurdi e non esigibili. Sarà un regalo a C. e R., perché se sarai onesta e ne avrai necessità li userai per loro. Sarà un regalo per contribuire a sostenere le loro attività, che pur non essendo figlie mie sono amate da me allo stesso modo. Sarà un regalo per aiutare un poco, come non aiuta il vero padre (…).
L’espressa ammissione di X di aver dovuto indicare la causale “prestito personale” costituisce quindi il motivo apparente, mentre in realtà la volontà effettiva, quasi dissimulata, sarebbe stata quella di compiere una donazione.
Ciò induce la scrivente a ritenere per le suddette dazioni non sussistente il contratto di mutuo, bensì quello di donazione ex art.783 c.c., da ritenersi valido, perché la forma scritta è rispettata dalla evidenza contabile della dazione e dalla ammissione scritta dell’animus donandi, considerata anche l’esiguità degli importi di Euro 1500,00 e la congruità dei precedenti bonifici per le ragioni che verranno esposte nel prosieguo.
In tal senso depone la stessa narrativa dell’atto di citazione, in cui è allegato che il denaro proveniente da X medesimo venisse usato per le esigenze di vita quotidiana, quali il pagamento di rate di mutuo.
Un discorso a parte va fatto per la dazione di Euro 64.000,00 effettuata in data 20.7.2016 (doc.6 attoreo), che reca la seguente causale: Bonifico a …
Orbene, coerenza logica imporrebbe che, essendo stati ritenuti “simulati” i prestiti eseguiti da X mediante bonifici bancari recanti la dicitura “prestito personale” sul medesimo conto corrente, in quanto dissimulanti una donazione, a maggior ragione dovrebbe considerarsi tale il bonifico privo di tale dicitura, posto in essere a distanza di pochi mesi dai precedenti, in difetto di ulteriori prove contrarie, che l’attore non risulta aver fornito.
Nel medesimo solco donativo vanno altresì inseriti i versamenti operati negli anni dal 2016 al 2019 sulle polizze vita assicurative Postafuturo, emesse a nome di X nell’aprile 2015 e con beneficiarie le figlie di Y, e sulle polizze vita emesse da Generali Ina Assitalia con contraente la convenuta.
La scrivente rileva, tuttavia, che le polizze Postafuturo da grande (doc.8 e 9 attore) sono ancora intestate a X, che ne è il contraente e che può riscattarle secondo le condizioni di polizza, per cui vi è carenza di interesse ad agire, non essendo stato dimostrato che l’attore sia stato impedito.
Quanto alle due polizze emesse da Generali Ina Assitalia, la contraente nonché primo assicurato è Y, mentre le beneficiarie sono le di lei figlie minori; poiché esse verosimilmente possono essere incassate anche dalla madre, il denaro versato da X in data 11.7.2016 mediante due bonifici di pari importo su ciascuna polizza per complessivi Euro 36.000,00 è da considerare donazione indiretta.
Non resta che da chiedersi se le liberalità effettuate mediante il bonifico di Euro 64.000,00 e il versamento sulle polizze vita Generali, testè esaminato, possano essere considerate donazioni non di modico valore e prive dei requisiti ex art.782 c.c. oppure donazioni indirette.
Non ricorre l’ipotesi della donazione indiretta, quando il danaro costituisca il bene di cui il donante ha inteso beneficiare il donatario e il successivo reimpiego sia rimasto estraneo alla previsione del donante.
Il bonifico di Euro 64.000,00 è pertanto necessariamente da considerarsi donazione priva di forma solenne, posto che non può ritenersi di modico valore, sia secondo l’id quod plerumque accidit ovvero secondo la comune esperienza, sia in proporzione alle sostanze del donante.
X all’epoca dei fatti (luglio 2016) aveva redditi netti per circa Euro 55.000,00 (doc.46, 47, 48), per cui non è giustificata la mancanza di forma scritta ai sensi dell’art.782 c.c.; la donazione è quindi da ritenersi nulla.
Invece, le precedenti dazioni mediante bonifico non incidevano in modo apprezzabile sul patrimonio del donante, tenuto conto della qualità di imprenditore dal medesimo ricoperta e dalla entità dei vari benefit aziendali.
Quanto ai versamenti sulle polizze vita Generali, secondo il Giudice di legittimità, La donazione indiretta si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, sicché l’intenzione di donare emerge solo in via indiretta dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio (Cassazione civile, sez. II, 21/05/2020, n. 9379).
Tuttavia, con riferimento al denaro impiegato per le suddette donazioni, l’attore ne ha chiesto la restituzione ai sensi dell’art.80 c.c..
Come insegna la Suprema Corte “In caso di rottura di fidanzamento, presupposto essenziale per l’esercizio dell’azione di restituzione dei doni – che l’art. 80 c.c. riconosce al donante in relazione a qualsiasi promessa di matrimonio, sia tra persone capaci che tra minori non autorizzati, sia che la promessa sia vicendevole, sia che sia unilaterale – è la circostanza che i doni siano stati fatti “a causa della promessa di matrimonio”, cioè sulla presupposizione della celebrazione del futuro matrimonio, senza necessità di una particolare forma, nè di pubblicità della promessa, conseguendone il diritto alla restituzione per la sola ipotesi che il matrimonio non sia stato contratto e senza alcuna rilevanza delle cause del mancato matrimonio (Cassazione civile, sez. I, 08/02/1994, n. 1260).
Scrive ancora la Corte che non può accettarsi la tesi secondo cui l’obbligo della restituzione non ricorrerebbe, perché i donati andrebbero qualificati come una donazione di uso regolata dall’art. 770 comma 2 e non dall’art. 80 c.c., in quanto “come rilevato dalla prevalente dottrina, i doni tra fidanzati non sono equiparabili nè alle liberalità in occasione di servizi, nè alle donazioni fatte in segno tangibile di speciale riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, nè, infine, alle liberalità d’uso. I doni tra fidanzati non sono donativi d’uso, ma vere e proprie donazioni, come tali soggetti a requisiti di sostanza e di forma previsti dal codice. Peraltro la modicità del donativo tra fidanzati, modicità da apprezzare oggettivamente in relazione alla capacità economica del donatore fa sì che il trasferimento si perfezioni legittimamente e tra soggetti capaci in base alla “mera traditio”.
Considerare liberalità d’uso le donazioni tra fidanzati comporterebbe un’interpretazione estremamente riduttiva del diritto alla restituzione dei doni sancita dall’art. 80 c.c., anche perché – come si è già rilevato -la “ratio” della restituzione non concerne il valore dei beni donati, successivamente chiesti in restituzione per la mancata celebrazione del matrimonio, sibbene l’eliminazione di tutti i possibili segni di un rapporto che non è giunto a compimento e che è opportuno rimuovere per quanto è possibile. Inoltre le liberalità d’uso, costituite da mance, da regali in occasione di particolari festività, in conformità dell’uso sociale e familiare non comportano problemi di restituzione, proprio per l’uso invalso in tal senso e perché difettano della “causa” relativa alla “promessa di matrimonio” non realizzatasi. È proprio il mancato verificarsi del matrimonio che rende, invece, restituibili i beni donati dalle parti, durante il fidanzamento quale presupposto in vista di un matrimonio che non è stato poi contratto.
Si è affermato che la norma non possa applicarsi alle donazioni aventi ad oggetto il denaro, a meno che non sia collegato all’immediato investimento in un bene, nel qual caso può essere richiesta la restituzione di quest’ultimo.
Orbene, premesso che il rifiuto di celebrare il matrimonio, per il quale erano già state compiute le formalità delle pubblicazioni in data 14 maggio 2019 (doc.28 attoreo), è stato conclamato dalla convenuta nel periodo giugno-luglio 2019 (cfr. scambio su messaggistica telefonica doc.29 e 30 attorei) e si è reso ancor più irretrattabile nel successivo mese di agosto (doc.31 attoreo), occorre verificare a quanto tempo risalisse l’intenzione della coppia di convolare a nozze per poter ritenere che le suddette donazioni fossero state elargite da X con tale finalità, cioè “a causa della promessa di matrimonio”, come recita il citato articolo.
Secondo la dottrina tali atti di liberalità sono effettuati in vista della futura convivenza e, di norma, oggetto di esse è un bene che ha la funzione di contribuire alla formazione del patrimonio della famiglia; i doni prenuziali soddisfano, di regola, il desiderio di manifestare il proprio affetto in relazione all’esistenza della promessa e sono dettati da impulsi di ordine sentimentale.
Ad avviso della scrivente, la preesistenza della polizza vita, emessa dalla Y, che è stata accresciuta da X, seppur indichi quali beneficiarie le figlie, depone nel senso che quest’ultimo intendesse, da un lato, avvalorare con segni concreti la serietà dei propri sentimenti in vista del progetto di vita e, dall’altro, di voler creare un patrimonio a favore della nuova entità familiare.
Tali intenzioni e parole ricorrono ripetutamente nella copiosa corrispondenza telematica e messaggistica prodotta da entrambe le parti, come pure gli alti e bassi che la coppia ha vissuto nel periodo dal 2012 al 2019, per cui, anche se non vi è mai stata una vera e propria convivenza prima della rottura definitiva, l’idea del matrimonio si manifesta in entrambi sicuramente dall’anno 2016, allorquando per la prima volta Y fa richiesta all’ufficio di stato civile del proprio comune di nascita della documentazione necessaria in vista delle pubblicazioni di matrimonio, come si evince dalla mail dalla stessa inviata al Comune di Bologna in data 2.1.2019 (doc. 11 attoreo), in cui, ricostruendo i passaggi delle comunicazioni tra il predetto Comune e quello di…, scrive: Inoltro la comunicazione trasmessa al Protocollo Generale nel 2016 e ritrasmessa allo stesso indirizzo oltre due anni dopo dal Comune di…, dove mi sposai il …con (…) per divorziare il 18 maggio 2016, senza che la comunicazione a Bologna sortisse alcune effetto. Sono stata in quartiere …e la variazione del mio stato civile sembra non ancora registrata.
(…) Presso il vostro ufficio, ormai un mese fa, il mio compagno (X) era venuto per sapere come comportarci. E’ la stessa domanda che vi rivolgo ancora (…) vi chiedo di indicarmi come fare.
La circostanza peraltro non è stata contestata dalla convenuta, per cui può ritenersi pacifica.
Posti gli effetti restitutori del tantundem conseguenti all’azione ex art.80 c.c., andrà restituito all’attore l’importo corrisponde al valore al 31.12.2019 delle quote assegnate alla contraente Y sulla polizza … per Euro 36.000,00 al momento del versamento, avvenuto con bonifico in data 12.7.2016 (doc.10 attoreo).
Passando quindi all’esame dell’ultima domanda attorea, avente ad oggetto il risarcimento del danno ai sensi dell’art.81 c.c. per le spese sostenute e gli acquisti fatti in prospettiva del matrimonio, posta la pubblicazione in data 14.5.2019, parte attrice attribuisce la causa della rottura della promessa alla convenuta, che non avrebbe più voluto avere contatti con il predetto senza giustificato motivo nel giugno 2019; egli lamenta di aver subito un danno rappresentato sia dall’importo di Euro 163.734,00 derivante dalla differenza di prezzo tra il bene acquistato, e scelto per volontà della convenuta, e quello personale venduto da X, importo per il quale è stato da questi richiesto un mutuo ipotecario, sia per la personalizzazione dei lavori e degli arredi in ragione dei desideri della Y.
Si afferma in giurisprudenza che l’attore che pone a fondamento della domanda l’ingiustificata rottura della promessa di matrimonio sia gravato dall’onere di provare solo l’inadempimento della medesima, spettando alla controparte di provare l’esistenza di un giustificato motivo (Cass.n.20889/2015; Cass.n 9052/2010).
L’addebito della rottura della promessa di matrimonio alla convenuta è allegato nell’atto introduttivo, ma è contestato da controparte, che assume di esservi stata costretta dal comportamento aggressivo e persecutorio del partner, sfociato nella denuncia presentata in data 31 luglio 2019, che ha portato al rinvio a giudizio dell’attore.
In realtà dal punto di vista temporale la volontà di interrompere la relazione e conseguentemente qualsivoglia impegno con il promesso sposo è antecedente ai fatti denunciati, che costituiscono verosimilmente l’epilogo del rifiuto di Y alle richieste di chiarimenti del partner, per cui non è da porsi in nesso causale, tanto che la stessa Y prova a riavvicinarsi a X nel mese di ottobre 2019 (come da scambio di e-mail doc. 39, 40, 41 attore).
Del resto è emerso che, durante la relazione sentimentale, anche la convenuta aveva tenuto condotte non propriamente gentili ed educate (aggressioni, percosse, sberle) nei confronti del partner, come risulta dalle mail e dalla messaggistica prodotte da parte attrice, sia nell’estate 2015 (doc.43) nel 2017 (doc.44), nel 2018 (doc.57, 58 e relativi sub), messaggi tutti che sono state ammessi nell’interrogatorio formale da essa reso.
Il comportamento di X nei mesi precedenti è sì assai ondivago, ma rivela verosimilmente le sue incertezze sulle continue richieste di tipo economico/patrimoniale della compagna e sulla stessa scelta di procedere al matrimonio, scelta più volte confermata ed abbandonata nel corso della relazione, come risulta dalla documentazione prodotta da entrambe le parti e dalle dichiarazioni dei testi assunti.
Ne consegue che la rottura della promessa è sicuramente addebitabile alla convenuta, posto che anche l’acquisto dell’immobile a…, seppur intestato al solo X, dimostrava ancora una volta la serietà delle intenzioni di quest’ultimo.
L’opinione dominante, sia nella dottrina sia nella corti di giustizia, ritiene che la violazione della promessa dia origine ad una obbligazione ex lege a carico della parte che si avvale del diritto di recedere, che non si tratti di una responsabilità (contrattuale o extracontrattuale), bensì di una riparazione riconosciuta al di fuori di un presupposto di illiceità, di un’obbligazione legata dalla legge direttamente all’esercizio di una facoltà attribuita in relazione al negato riconoscimento della promessa, secondo alcuni avente un contenuto analogo a quello descritto dall’art.2031 c.c..
Quello che è certo è che la ratio della limitazione del danno risarcibile viene comunemente individuata nella tutela della libertà matrimoniale e, quindi, nell’esclusione di ogni forma, anche indiretta, di coazione. Non è quindi oggetto della tutela risarcitoria l’interesse che l’altra parte avrebbe avuto a contrarre le nozze, per cui è escluso dal risarcimento il c.d. interesse positivo ed il possibile lucro cessante, essendo riparabili solo le spese fatte e le obbligazioni contratte a causa della promessa, anche se voluttuarie, secondo un criterio di proporzionalità alle condizioni delle parti e a condizione che un pregiudizio sia in concreto derivato, tenendo presente che deve trattarsi di esborsi compiuti dopo la promessa e prima del recesso dell’altra parte. Di conseguenza il nesso eziologico è stato individuato nelle spese fatte e nelle obbligazioni contratte riguardanti le spese di viaggio, di preparazione della cerimonia nuziale, di pubblicazioni, di acquisto di oggetti destinati a servire solo in occasione del matrimonio o per arredare e ristrutturare la futura casa coniugale (Cass.20889/2015).
E’ altresì evidente che, ove il promittente deluso possa vantaggiosamente trattenere quanto acquistato a causa della promessa, il risarcimento andrà ridotto proporzionalmente all’utile conservato in applicazione della compensatio lucri cum danno; vanno poi esclusi i danni meramente morali.
Facendo applicazione di tali principi, la prospettazione dei danni patiti di parte attrice risulta erronea; il pregiudizio subito dall’attore per l’acquisto dell’immobile di …potrebbe al più essere determinato dagli interessi passivi pagati per la somma mutuata (peraltro deducibili fiscalmente), posto che l’immobile acquistato nel febbraio 2019 potrà essere rivenduto o locato dal proprietario destinando l’importo ricavato a soddisfare il mutuo; ma ciò non è stato richiesto da parte attrice.
In relazione alle spese sostenute per la ristrutturazione dello stesso bene, non vi è prova che esse non sarebbero state comunque sostenute dall’acquirente, il quale è stato soltanto orientato dalla compagna nella scelta di arredi, materiali, colori; anche in questo caso, il pregiudizio subito è allegato con riferimento ai costi delle opere per la personalizzazione di una delle camere da destinare alle figlie della convenuta, ma non è stato sufficientemente descritto né nell’atto introduttivo né nella prima memoria ex art.183 c.p.c., destinata alle precisazioni sugli aspetti assertivi delle domande, tanto che su tale aspetto nella seconda memoria non è stato articolato neppure un capitolo di prova.
Ne consegue il rigetto della pretesa per difetto di prova del nesso causale e del pregiudizio effettivo.
Le spese di lite vanno poste a carico di parte convenuta in relazione alla sua prevalente soccombenza, tenuto, altresì, conto che l’offerta transattiva da essa proposta è risultata inferiore all’importo riconosciuto a favore di parte attrice.
Esse sono liquidate in dispositivo sulla scorta dei valori medi dello scaglione da Euro 52.000,01 ad Euro 260.000,00 di cui al D.M. 55/2014 per tutte le fasi del giudizio, in aggiunta alle anticipazioni sostenute.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
dichiara tenuta e condanna Y alla restituzione in favore in favore di X di Euro 64.000,00 oltre interessi dalla domanda al saldo ex art.1284 co. 4 c.c.;
dichiara tenuta e condanna Y a versare all’attore il controvalore di Euro 36.000,00 alla data del 31.12.2019 versato sulle polizze vita …;
condanna Y a rimborsare a X le spese di lite, che si liquidano in Euro 845,95 per spese, Euro 13.000,00 per compenso, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.
Bologna, 31 marzo 2022
Depositata in Cancelleria il 1 aprile 2022.