la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.

Corte d’Appello|Bari|Sezione 3|Civile|Sentenza|24 aprile 2023| n. 673

Data udienza 12 aprile 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI BARI

TERZA SEZIONE CIVILE

La Corte d’Appello, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti Magistrati:

dott. Michele Ancona – Presidente

dott. Vittorio Gaeta – Consigliere

dott.ssa Maristella Sardone – Consigliere rel.

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile in grado di appello, iscritta sotto il numero d’ordine n. 787/2021 R.G., avverso la sentenza del Tribunale di Trani n. 793/2021 del 19/04/202

TRA

COMUNE DI ANDRIA (P.I. (…)) in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Gi.De. dell’Avvocatura Civica, giusta procura in atti, elettivamente domiciliati in Andria (BT) alla Piazza (…) (c/o Palazzo di Città – Avvocatura Comunale)

-Appellante –

CONTRO

(…) nata ad A. il (…) (C.F.: (…)), rappresentata e difesa dall’Avv. Ca.Ro., giusta procura in atti, elettivamente domiciliata in Bari alla Via (…) (c/o Avv. Ni.Za.)

-Appellata –

MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Trani, il Comune di Andria, in persona del Sindaco p.t. per sentir accogliere le seguenti conclusioni: “1) Previo accertamento della responsabilità, condannare il Comune di Andria, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento in favore della Sig.ra (…) della somma di Euro 14.746,31 oltre IVA, o di quell’altra somma ma con il limite di Euro 25.000,00, a titolo di danni subiti, il tutto oltre interessi e rivalutazione come per legge. 2) Con vittoria di spese e competenze professionali sia della fase di ATP che per il presente giudizio”.

A fondamento della domanda l’attrice deduceva di essere usufruttuaria del locale interrato, sito in A. alla Via T. n. 5, all’interno del quale, a seguito di eventi meteorici di notevole intensità, si verificavano fenomeni infiltrativi su tutta la lunghezza della parete del piano interrato prospiciente la pubblica via, le cui cause erano da ricondursi allo stato del pubblico marciapiede che presentava una pavimentazione sconnessa, un’altezza ridotta rispetto alla strada carrabile di asfalto ed era privo di zanelle. Il CTU nominato nel corso del procedimento per ATP aveva confermato che le cause delle infiltrazioni lamentate dalla ricorrente erano riconducibili al precario stato di conservazione e manutenzione dei marciapiedi.

Il Comune di Andria, in persona del Sindaco pro tempore, rimasto dapprima contumace, si costituiva tardivamente, con comparsa di costituzione e risposta a mezzo della quale contestava la responsabilità comunale per l’evento occorso e chiedeva che: “1) Preliminarmente ed in rito, chiede revocarsi la declaratoria di contumacia pronunciata nei propri confronti; 2) successivamente e nelmerito, sul presupposto della dichiarata assenza di ogni e qualunque responsabilità risarcitoria per il sinistro per cui è causa, in capo al Comune di Andria, rigettare l’avanzata domanda risarcitoria, perché il responsabile dei danni lamentati è esclusivamente controparte, ai sensi dell’art. 1227 c.c.; 3) condannare parte attrice alla rifusione delle spese, diritti ed onorari del presente giudizio, nessuna esclusa”.

Nel corso del giudizio veniva acquisito il fascicolo d’ufficio relativo al procedimento per ATP.

Con sentenza n. 793/2021 del 19.04.2021 il Tribunale di Trani così provvedeva: “- accerta che il Comune di Andria è responsabile dei danni da infiltrazioni d’acqua piovana subiti dall’immobile con accesso da via T. n. 5, di cui l’attrice è usufruttuaria; – per l’effetto, condanna il Comune di Andria a pagare in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, l’importo di Euro 14.746,31 oltre IVA, ed oltre rivalutazione monetaria e interessi legali fino alla data della presente sentenza e gli ulteriori interessi legali sulla risultante da detta data fino al soddisfo; – condanna inoltre il Comune di Andria a rifondere all’attrice le spese di lite, liquidate per la fase di ATP in complessivi Euro 337,83 per esborsi documentati ed Euro 2.225,00 per compensi, e per il presente giudizio di merito in Euro 278,85 per esborsi documentati ed Euro 2.425,00 per compensi, in entrambi i casi oltre rimborso forfettario delle spese generali, CPA e IVA come per legge; – pone a definitivo carico del Comune di Andria le spese di CTU della fase di istruzione preventiva, già liquidate a parte.”

Avverso detta sentenza, con atto di citazione ritualmente notificato, ha proposto appello il Comune di Andria, in persona del legale rappresentante p.t., chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “1) Sul presupposto della dichiarata assenza di ogni e qualunque responsabilità risarcitoria e/o indennitaria per i danni lamentati e per cui è causa, in capo all’odierno deducente, ed in riforma integrale della sentenza gravata, rigettare la domanda introduttiva, perché infondata in fatto come in diritto, non provata ed inaccoglibile; 2) con vittoria di spese, diritti ed onorari di entrambi i giudizi.”

Costituitasi in giudizio, (…) ha contestato l’avverso gravame chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “1) Confermare in ogni sua parte la sentenza n. 793 del 2021 del Tribunale di Trani, emessa nel giudizio rubricato con RG. 3820/2017. 2) Condannare il Comune di Andria alla refusione di spese e competenze del presente grado di giudizio.”

A seguito di trattazione scritta, in data 18 gennaio 2023 la causa è stata riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini di cui all’ art. 190 c.p.c..

Il Comune di Andria ha impugnato la sentenza di primo grado per il seguente motivo: Arbitraria ed erronea applicazione dell’art. 2051 c.c.- Omessa motivazione circa la responsabilità del Comune di Andria ai sensi dell’art. 2051 c.c. – Arbitraria ed erronea applicazione dell’art. 1227 c.c. -Omessa motivazione in ordine all’operatività del c.d. caso fortuito esimente, integrato dal fatto della danneggiata – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere deciso facendo cattivo uso delle prove acquisite.

L’appello è infondato e va rigettato.

La sentenza di primo grado va confermata sulla base delle stesse motivazioni esplicitate dal giudice di prime cure, ritenute condivisibili da questa Corte.

Il primo Giudice ha correttamente applicato alla fattispecie per cui è causa la disciplina della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2051 c.c..

La responsabilità per “danno cagionato da cosa in custodia”, di cui all’art. 2051 c.c., per giurisprudenza oramai costante applicabile anche alla P.A. con riferimento ai beni demaniali, ha natura oggettiva e deriva dall’accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di provare il caso fortuito.

Come affermato dalla S.C. (Cass. Civ., sentenza 26 maggio 2016, n. 10893) “la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che è irrilevante) bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. L’attore che agisce per il riconoscimento dei danni ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale” (in senso conforme Cass. civ. Sez. III, 21-03-2013, n. 7125).

Come chiarito dalla S.C. “la responsabilità prevista dall’art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità” (Cass. civ. Sez. III, 01-04-2010, n. 8005).

Nel caso di specie, dalla CTU espletata nel procedimento di istruzione preventiva, il cui fascicolo è stato acquisito nel giudizio di primo grado, è inequivocabilmente emerso che le cause delle infiltrazioni presenti nell’immobile sito in A. alla via T. n. 3, piano interrato “siano riconducibili al precario stato di manutenzione e conservazione della sede dei marciapiedi”.

A tale conclusione il CTU è giunto dopo aver verificato che la parete di contenimento del locale posta in prospicienza della via (…) “risulta essere interessata da vistose ed evidenti macchie di umidità riconducibili ad infiltrazioni, con fenomeni di dissesto, sgretolamento e rigonfiamento dell’intonaco, nonché di ammaloramenti presenti all’intradosso della soletta di copertura dell’intercapedine che costituisce parte della sede del marciapiede posto sulla Via (…) in corrispondenza dei civici dal n. 40 al n. 48 … Dalle fotografie allegate, viene subito evidenziato lo stato precario di manutenzione del marciapiede lungo il tratto di muro in esame, anche in riferimento allo spessore del cordolo in pietra (circa 5 cm.), ormai interessato da fenomeni di cedimento e annegamento dello strato di asfalto che periodicamente viene posato sulla carreggiata stradale, senza operare alcun intervento di innalzamento dei cordoli. Tale anomala situazione, nelle giornate di pioggia intensa, anche in considerazione della massima curvatura della sede della carreggiata, mette in atto una sorta di fenomeno cascata, con inondazione della sede del marciapiede e conseguente infiltrazione continua di acqua all’interno del piano interrato. Le macchie di umidità presenti nella parte del rivestimento della parete posta in aggancio con la pavimentazione del marciapiede, confermano quanto affermato”.

La responsabilità dei danni lamentati da (…) è quindi da attribuirsi in via esclusiva al Comune di Andria, proprietario e custode del marciapiede.

Dalla proprietà pubblica delle strade poste all’interno dei luoghi abitati (art. 16 lett B L. 20 marzo 1865, n. 2248 lett. F) deriva l’obbligo a carico dei comuni della manutenzione ordinaria e straordinaria, così come statuito dall’art. 5 R.D. 15 novembre 1923, n. 2506, e quindi quello della custodia.

La discrezionalità con la quale la P.A. provvede alla costruzione, manutenzione ed esercizio delle opere pubbliche e la conseguente insindacabilità da parte del Giudice Ordinario dell’esercizio di tale potere e dei criteri, dei tempi e dei mezzi a tal fine impiegati, trovano un limite nell’obbligo dell’Amministrazione di osservare a tutela dell’incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio non solo le specifiche disposizioni di legge e di regolamento disciplinanti quelle attività ma anche le comuni norme di prudenza e diligenza e quelle tecniche. Trattasi di un limite esterno posto a tale discrezionalità dal principio del neminem leadere, il quale impone anche alla pubblica amministrazione di evitare, con l’adozione delle cautele richieste dalle anzidette norme legislative e regolamentari, di prudenza e diligenza e della buona tecnica, il danno all’incolumità o al patrimonio dei cittadini. Pertanto, escluso qualsiasi sindacato dell’uso del potere discrezionale della P.A., al Giudice Ordinario è per converso sempre consentito l’accertamento di un comportamento colposo che determinando la lesione di un diritto comporti la responsabilità della P.A.

Nessuna prova contraria alla presunzione “iuris tantum” della sua responsabilità ha fornito il Comune di Andria, pur avendo invocato l’operatività dell’art. 1227, primo comma, c.p.c..

A tal proposito si osserva che l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, di cui al I comma dell’art. 1227 c.c., non costituisce eccezione in senso stretto e, pertanto, non può considerarsi tardivamente sollevata dal Comune di Andria, come infondatamente eccepito, sin dal primo grado, dalla (…).

La Suprema Corte ha infatti precisato che “In tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso (di cui al primo comma dell’articolo 1227 del codice civile) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile a un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché – mentre nel primo caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso – la seconda di tali situazioni forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede” (Cassazione civile sez. II – 22/06/2022, n. 20142).

Ciò posto in punto di rilevabilità ex officio e tempestività, i motivi addotti dal Comune a sostegno dell’applicabilità dell’art. 1227 co. I c.c. sono comunque infondati.

Il CTU, nel corso del procedimento per ATP, ha infatti puntualmente replicato alle osservazioni, riproposte in grado di appello dal Comune di Andria, circa il buono stato di manutenzione del marciapiede e la distanza dei fenomeni infiltrativi rispetto al marciapiede, precisando che: “la parete interessata dai fenomeni infiltrativi non è posizionata lungo la via E. T., ma in prospicienza della Via (…)”, in posizione opposta a quella visionata dal tecnico del Comune di Andria ad una distanza di ca. 34 metri.

Anche il riferimento al regolamento di igiene approvato con la podestarile 19/04/1933 n. 204, è privo di pregio atteso che, come osservato dal CTU, detto regolamento disciplina le opere da eseguirsi sugli immobili per evitare fenomeni di umidità da risalita; nel caso di specie, si lamenta invece la presenza di infiltrazioni di acque meteoriche, fenomeni diversi dalla naturale umidità da risalita.

Il Comune, in ogni caso, si è semplicemente limitato a richiamare il regolamento di igiene senza fornire la prova che i fenomeni infiltrativi lamentati erano dovuti all’assenza di una efficace impermeabilizzazione dell’immobile.

Da quanto esposto consegue il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

Alla soccombenza segue la condanna dell’appellante al pagamento in favore di (…) delle spese di questo grado di giudizio, che si liquidano in dispositivo, in ossequio ai parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022, con esclusione della fase istruttoria.

L’appellante dovrà, inoltre, versare l’ulteriore importo pari al contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (T.U. in materia di spese di giustizia), introdotto dall’art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Bari, Terza Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal COMUNE DI ANDRIA nei confronti di (…), avverso la sentenza n. 793/2021 emessa dal Tribunale di Trani in data 19.04.2021, ogni altra istanza, deduzione, ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede:

1. Rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

2. condanna l’appellante alla rifusione in favore dell’appellata delle spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in Euro 3.966,00 per compensi professionali, oltre rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, I.V.A. e C.A.P., come per legge;

3. dichiara che per effetto dell’odierna decisione (rigetto dell’appello), sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1- quater D.P.R. n. 11 del 2002 per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 bis. D.P.R. n. 115 del 2002.

Così deciso in Bari il 12 aprile 2023.

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2023.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.