per “costruzione” debba intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidita’, stabilita’ ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e cio’ indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e della sua destinazione. Ne consegue che gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, cosi’ da ampliarne la superficie o la funzionalita’ economica, costituiscono con l’immobile una costruzione unitaria.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|17 gennaio 2022| n. 1219

Data udienza 22 giugno 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24442/2016 R.G. proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), rappresentate e difese dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio del medesimo difensore;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), e (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS), del foro di (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 486 depositata il 22 marzo 2016.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 22 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Rimini, con sentenza n. 1539 del 2008, rigettata la domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) volta ad accertare la violazione di quest’ultimo del diritto di servitu’ di non edificare pattuito tra le parti in favore dell’attrice con conseguente condanna alla riduzione in ripristino dello stato dei luoghi e ai risarcimento del danno, riassunta e proseguita la causa tra (OMISSIS) e (OMISSIS) (nella qualita’ di eredi della (OMISSIS)), da una parte, e (OMISSIS) e (OMISSIS) (nella qualita’ di eredi del (OMISSIS)), dall’altra, accertata l’estinzione per prescrizione della servitu’ in o’ questione e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava l’acquisto per usucapione in favore dei convenuti del diritto al mantenimento del manufatto nell’attuale consistenza ed ubicazione;

– sul gravarne interposto dalle (OMISSIS), la Corte di appello di Bologna, nella resistenza degli appellati, con sentenza n. 486 del 2016, rigettava l’appello e condannava le appellanti alla rifusione delle spese di lite;

A sostegno della propria decisione la Corte di appello di Bologna accertava, sulla base della documentazione fotografica allegata, che sin dal 1976 all’ingresso del negozio del (OMISSIS) era esistente una struttura costituita da un elemento orizzontale con funzione di copertura e da elementi verticali con funzione di appoggio stabile al terreno, idonea a determinare un ampliamento volumetrico dell’immobile di proprieta’ del (OMISSIS) verso l’esterno. Dalle medesime fotografie la Corte rilevava, inoltre, la presenza di pannelli verticali, estensibili o ritraibili a seconda della necessita’, posti a delimitazione del perimetro esterno del manufatto.

In ordine alle opere realizzate successivamente al 1976, il giudice del gravame, sulla base delle risultanze processuali, accertava che ad essere mutati nel corso del tempo erano esclusivamente i materiali in origine utilizzati per la realizzazione della costruzione, concludendo che il manufatto era definibile gia’ nel 1976 come veranda fissa e stabile all’ingresso della proprieta’ (OMISSIS).

Cio’ posto, non avendo le appellanti posto in essere atti interruttivi della prescrizione sino all’anno 2000 (epoca di istaurazione del presente giudizio) il diritto di servitu’ di cui al rogito intercorso tra le parti in data 10 agosto 1968 doveva ritenersi prescritto, con conseguente acquisto per usucapione da parte degli appellati del diritto di mantenere il manufatto nell’attuale ubicazione e consistenza;

– per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna ricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di tre motivi, cui resistono (OMISSIS) e (OMISSIS) con controricorso.

In prossimita’ dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 380 bis.1 c.p.c..

Atteso che:

– con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e degli articoli 1073 e 1362 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver il giudice del gravame ritenuto estinta per prescrizione ex articolo 1073 c.c., la servitu’ di non edificare gravante sul fondo dei (OMISSIS), qualificando il manufatto del 1976 come costruzione.

Secondo le ricorrenti la Corte di appello avrebbe dovuto valutare la condotta delle parti successiva al rogito del 1968 costitutivo del diritto di servitu’ di non edificare gravante sul fondo dei (OMISSIS), cosi’ da escludere la natura di costruzione del manufatto realizzato sul fondo dei (OMISSIS) nel 1976.

Aggiungono le ricorrenti che dalle allegazioni fotografiche avrebbe dovuto evincersi che la struttura inizialmente apposta dai (OMISSIS) sullo scoperto antistante la sua proprieta’ era costituita da una tenda parasole sorretta da pali e da una cancellata laterale di tipo pieghevole. Ad avviso dei ricorrenti siffatta opera, realizzata nel 1976, non avrebbe dovuto essere considerata dal giudice di secondo grado come costruzione, anche in considerazione del fatto che sia la tenda parasole che la cancellata erano costituiti da una struttura precaria, essendo la prima utilizzata solo d’estate e la seconda soltanto negli orari di apertura del locale commerciale.

A tal riguardo ritengono le ricorrenti che gli interventi eseguiti sul fondo servente in epoca successiva al 1976 non si sarebbero tradotti in una mera operazione di sostituzione del materiale avendo controparte ampliato il negozio, dotandolo di un vano accessorio verandato, divenuto ampliamento definitivo soltanto negli anni 1993/1994.

Le ricorrenti lamentano, quindi, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della sentenza, per aver il giudice equiparato le funzioni e la struttura della veranda, della tenda parasole e dell’inferriata, asserendo, in particolare, che la sentenza impugnata sarebbe viziata per travisamento dei fatti operato dal giudice circa un punto decisivo della controversia, concernente la vera natura e la qualificazione del manufatto realizzato sull’immobile dei (OMISSIS).

Con il secondo motivo le ricorrenti censurano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1073 c.c., comma 2 e articolo 1158 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver il giudice di appello dichiarato integralmente estinta la servitu’, violando i principi in materia di servitu’ negative.

Sostengono le ricorrenti che il giudice del gravame avrebbe omesso di valutare che l’opera originaria, ossia quella risalente al 1976, pregiudicava solo in parte i vantaggi posti a beneficio del fondo dominante, non essendo di idonea, per caratteristiche, struttura e funzione, a ridurre la visuale della proprieta’ (OMISSIS), ora (OMISSIS).

Inoltre, ad avviso delle ricorrenti, il giudice del gravame avrebbe errato laddove ha riconosciuto l’acquisto per usucapione del diritto dei (OMISSIS) al mantenimento del manufatto nell’attuale ubicazione e consistenza, mentre la fattispecie acquisitiva per usucapione avrebbe potuto perfezionarsi solo ove l’opera fosse stata la medesima per l’intera decorrenza del termine ventennale, ipotesi non ricorrente nel caso di specie.

Infine, con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver la corte di appello statuito sulla doglianza con la quale le (OMISSIS) contestavano la sussistenza degli estremi della fattispecie acquisitiva dell’usucapione, non avendo gli appellanti posseduto il bene in modo continuativo per il lasso temporale prescritto dalla legge ai fini del perfezionamento della fattispecie, stante la differente consistenza (e natura) del manufatto attuale rispetto a quello realizzato nell’anno 1976.

I motivi di ricorso, che vanno esaminati unitariamente per la loro stretta connessione argomentativa che li avvince, vertendo tutti seppure sotto diversi profili – alla definizione della natura e alla qualificazione dell’opera risalente all’anno 1976, vanno respinti.

La Corte di appello di Bologna, valutando la documentazione fotografica con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede, ha accertato che sin dal 1976 all’ingresso del negozio del (OMISSIS) era esistente una struttura costituita da un elemento orizzontale con funzione di copertura e da elementi verticali con funzione di appoggio stabile al terreno, idonea a determinare un ampliamento volumetrico dell’immobile di proprieta’ del (OMISSIS) verso l’esterno. Dalle medesime fotografie la Corte ha altresi’ rilevato la presenza di panelli verticali, estensibili o ritraibili a seconda della necessita’ posti a delimitazione del perimetro esterno del manufatto.

Pertanto, confrontando la documentazione con quella relativa alla struttura esistente al momento del giudizio e tenendo conto dell’espletata CTU e delle risultanze testimoniali, la Corte ha accertato che ad essere mutati nel corso del tempo erano esclusivamente i materiali in origine utilizzati per la realizzazione dell’opera. In particolare, il giudice del gravame ha constatato che mentre nel 1976 la costruzione era garantita da una tenda parasole sorretta da relativa struttura metallica, all’epoca del giudizio era presente una copertura costituita da lastre di resina ondulata; inoltre, nel 1976 l’opera presentava tamponamenti laterali costituiti da una griglia scorrevole e pieghevole a “fisarmonica”, per poi essere sostituiti da pannelli scorrevoli in alluminio e materiale traslucido. Pertanto, non avendo posto in essere le (OMISSIS) validi atti interruttivi della prescrizione sino all’anno 2000 il diritto di servitu’ doveva ritenersi prescritto, con conseguente acquisto per usucapione da parre dei (OMISSIS).

Del resto, e’ incontestato nella giurisprudenza di questa Corte che per “costruzione” debba intendersi qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidita’, stabilita’ ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e cio’ indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e della sua destinazione. Ne consegue che gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, cosi’ da ampliarne la superficie o la funzionalita’ economica, costituiscono con l’immobile una costruzione unitaria (Cass. n. 4277 del 2011; Cass. n. 21173 del 2019).

Le censure in tale modo articolate appaiono contraddistinte dall’evidente scopo di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi nella richiesta di rivalutazione alternativa delle risultanze processuali rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, richiesta tuttavia inammissibile in sede di legittimita’.

Orbene, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimita’ il potere di riesaminare l’intera vicenda processuale, ma solo la facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilita’ e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti, dando cosi’ prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 7523 del 2017; Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011).

D’altro canto e’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione un’argomentazione tratta dall’analisi di fonti di prova, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottato (Cass. n. 21187 del 2019).

Inoltre, come questa Corte ha piu’ volte sottolineato, il compito della cassazione non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito, dovendo invece il giudice di legittimita’ limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (ancora Cass. n. 21187/2019 cit.).

Quanto alla censura ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ stato gia’ statuito che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza legittimante la prospettazione con ricorso per cassazione del motivo previsto dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e’ configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza (nel complesso della sentenza medesima) del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non gia’, invece, quando vi sia difformita’ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiche’, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione (Cass. n. 13054 del 2014).

Conclusivamente, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di legittimita’ – liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ in favore dei controricorrenti liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti in solido, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.