In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, la sottoscrizione da parte di entrambi i conducenti della constatazione amichevole d’incidente, come già previsto dall’art. 5 della L. n. 39 del 1977 e ribadito dall’art. 143, comma 2, del D.Lgs. n. 209 del 2005, determina una presunzione, valida fino a prova contraria, del fatto che il sinistro si sia verificato con le modalità ivi indicate, la quale può ovviamente essere superata, ma è necessario che il giudice del merito ne spieghi le ragioni.

 

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Tribunale Civitavecchia, civile Sentenza 10 agosto 2018, n. 703

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI CIVITAVECCHIA

SEZIONE CIVILE

Il Giudice, dott. FRANCESCO VIGORITO, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di appello iscritta al n. 1717/2017 R.G. A.C. assunta in decisione all’udienza del 14 febbraio 2018 con termine fino al 7 maggio 2018 per il deposito delle comparse di replica e vertente

tra

(…), rappresentato e difeso dall’Avv. Gi.To. elettivamente domiciliato in Civitavecchia in Via (…) presso lo studio dell’Avv. Vi.Ca. come da procura a margine dell’atto di citazione di primo grado

Appellante

E

l'(…), in persona del legale rappresentante pro tempore, P.I. (…), rappresentato e difeso dall’Avv. Do.Vi. (C.F. (…)) elettivamente domiciliato in Civitavecchia Via (…), come da delegato in calce all’atto di citazione notificato

Appellato

(…), contumace

Appellato

(…), in persona del legale rappresentante pro tempore, contumace

Appellata

Oggetto: appello a sentenza del Giudice di Pace

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione in appello notificato in data 29.04.14 il sig. (…) ha convenuto in giudizio, innanzi a questo Tribunale, l'(…), unitamente al sig. (…) e alla (…), al fine di ottenere la riforma della sentenza n. 1894/2012 depositata il 13.11.2013 dal Giudice di Pace di Fiumicino, con la quale è stata rigettata la domanda attrice per carenza di legittimazione attiva, con compensazione delle spese di lite.

Si costituiva l'(…), chiedendo in via preliminare previa correzione dell’errore relativo all’anno di emissione della sentenza, dichiarare con ordinanza l’appello inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. ed dell’art. 348 bis c.p.c. nel merito rigettarlo perché infondato in fatto e diritto con conferma della sentenza di primo grado; e in via subordinata limitare il risarcimento alla minor somma ritenuta equa e provata, tenendo conto del concorso di colpa dell’attore in questo caso con compensazione delle spese anche dell’appello.

Acquisito il fascicolo di primo grado, e dichiarata la contumacia del sig. (…) e della (…), la causa all’udienza del 14.02.18 precisate le conclusioni, veniva trattenuta in decisione con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali.

Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello, proposta dall’ente appellato perché i motivi di impugnazione come formulati non sarebbero sufficienti ai fini dell’assolvimento dell’onere di specificazione di cui all’art. 342 c.p.c., essendosi l’appellante limitato a trascrivere il dispositivo e di seguito il testo della parte motiva della sentenza appellata chiedendone la riforma, senza indicare l’errore di giudizio o procedurale in cui sarebbe incorso il primo giudice e/o comunque gli specifici vizi della sentenza impugnata, ripetendo nel contesto dell’atto di appello la propria tesi difensiva, per poi concludere riproponendo le conclusioni dell’atto di citazione del primo grado del giudizio.

Gli artt. 342 e 434 del codice di rito civile (nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134), vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, insieme ad essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.

Resta escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali ovvero che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Cass., Sezioni Unite civili, Sentenza 16 novembre 2017, n. 27199).

La Corte di Cassazione ha precisato che l’ampiezza delle doglianze, come la specificità, è direttamente proporzionale alla motivazione assunta nella decisione di prime cure e che, nel caso gli argomenti del verdetto impugnato dimostrino che le tesi della parte non siano state vagliate, nell’appello, con i dovuti adattamenti, si potranno riprendere le tesi difensive del primo grado. In sostanza la parte appellante deve mettere il giudice di secondo grado in condizione di comprendere con chiarezza quale è il contenuto della censura, dimostrando di aver compreso le ragioni e indicando i motivi per cui le considera non condivisibili.

Gli articoli 342 e 434 c.p.c. (nella versione formulata dal D.L. n. 83 del 2012, poi convertito in legge), al fine di evitare l’inammissibilità dell’appello, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, insieme ad essi, delle relative doglianze, “affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice”.

Nel caso in esame nell’atto di appello si legge: “Quanto affermato dal Giudice di prime cure è errato e documentalmente smentito. Sin dall’atto introduttivo del giudizio, infatti, si precisa che il veicolo (…) tg. (…), in data 28/11/09, era in esclusiva proprietà al Sig. (…) che, nelle more, ha provveduto alla riparazione del mezzo. A prova di quanto affermato in originario atto di citazione veniva prodotto in giudizio, sub. all. 1 del fascicolo di parte attrice “copia del titolo di proprietà di parte attrice”, copia fronte retro della carta di circolazione e copia di certificazione rilasciata dal PRA; da entrambi i documenti, inequivocabilmente, emerge che il veicolo sopra indicato era, alla data del 28/11/09, in proprietà al Sig. (…). L’errore materiale di valutazione del Giudice, in caso, è evidente e grossolano, laddove egli riferisce sommariamente, a seguito di una visione superficiale del fascicolo di parte, la sola produzione di “una copia parziale del libretto di circolazione del mezzo”; documento anche erroneamente visionato laddove, continuando la lettura della sentenza, viene testualmente riferito che dalla documentazione prodotta “non si evince la persona del proprietario alla data del sinistro”. L’inesattezza della sentenza impugnata, sul punto, è evidente e da censurare con decisione e fermezza”.

Non vi è dubbio che l’appellante contestando la sentenza sulla sua unica statuizione quella che nega la proprietà dell’autovettura danneggiata e, quindi, la legittimazione attiva dello stesso appellante fornisce una chiara individuazione della questione e del punto contestato della sentenza impugnata. L’eccezione di inammissibilità dell’appello è, quindi, infondata.

Venendo al merito, la parte appellante, al fine di dimostrare la proprietà dell’autovettura, aveva prodotto “copia del titolo di proprietà di parte attrice, copia fronte retro della carta di circolazione e copia di certificazione rilasciata dal PRA” (cfr. all. 1 del fascicolo di primo grado di parte attrice).

Sul punto la Corte di Cassazione, confermando un precedente orientamento, ha ritenuto che il certificato di proprietà e la carta di circolazione costituiscono presunzioni di proprietà. Ciò in quanto, in tema di diritto di proprietà sulla cosa costituisce regola indiscussa che, essendo la proprietà un diritto imprescrittibile, il soggetto, che in base a detto titolo faccia valere una sua pretesa, deve soltanto dimostrare di esserne il titolare in virtù di acquisto a titolo derivativo o originario, senza dovere anche dare la prova negativa che, successivamente al suo acquisto, altri, a titolo derivativo o originario, siano subentrati nella titolarità del bene, essendo detto onere a carico di colui che eventualmente eccepisce la dedotta situazione proprietaria (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 maggio 2015, n. 11124).

La parte convenuta ha fatto rilevare già nel giudizio di primo grado che si tratta di una copia parziale ma non ne ha espressamente disconosciuto la conformità all’originale.

Di conseguenza deve ritenersi sufficientemente provata la legittimazione attiva di (…).

Riguardo all’an debeatur, deve osservarsi dal modello CAI sottoscritto dal sig. (…) e dal sig. (…) – risulta che il giorno 28/11/09 il furgone modello (…) di proprietà e condotto dal sig. (…) nel percorrere la Via (…). Giunto all’altezza del civico n 2480, veniva urtato dal veicolo (…) classe E, che invadeva l’opposta carreggiata percorsa dal sig. (…). Nell’immediatezza del fatto i due conducenti redigevano e sottoscrivevano modello CAI nel quale il sig. (…) – oltre a dichiararsi proprietario del veicolo condotto – si assumeva l’integrale responsabilità nel verificarsi dell’evento de quo.

Secondo la Corte di Cassazione (Cass. n. 10311/06) il modulo CAI “a doppia firma” genera una presunzione iuris tantum valevole nei confronti dei sottoscrittori e dell’assicuratore; tale presunzione può essere superata fornendo la prova contraria, in ragione di altre risultanze di causa idonee a far ritenere che il fatto non si sia verificato ovvero si sia verificato con modalità diverse da quelle dichiarate dal danneggiato.

L’orientamento della Suprema Corte è stato confermato anche più di recente (Cass. 13 febbraio 2013 n. 3567): “la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole di incidente, resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, liberamente apprezzata dal giudice”.

Più precisamente il giudice di legittimità ha chiarito che In tema di responsabilità civile da sinistro stradale, la sottoscrizione da parte di entrambi i conducenti della constatazione amichevole d’incidente, come già previsto dall’art. 5 della L. n. 39 del 1977 e ribadito dall’art. 143, comma 2, del D.Lgs. n. 209 del 2005, determina una presunzione, valida fino a prova contraria, del fatto che il sinistro si sia verificato con le modalità ivi indicate, la quale può ovviamente essere superata, ma è necessario che il giudice del merito ne spieghi le ragioni (Cass. 6 dicembre 2017).

Nel caso in esame le prove orali assunte dal Giudice di pace non sono idonee a superare la ricostruzione dei fatti operata in maniera precisa nella ricostruzione.

L’attendibilità dei due testi è infatti smentita dal fatto che nel CUD non erano indicati testimoni e dalla discordanza tra le dichiarazioni rese nei giorni successivi al sinistro e prodotte dall’appellante e le dichiarazioni rese in giudizio.

Nella dichiarazione del 04.12.09 il sig. (…) ha descritto una situazione diversa da quella riferita nella prova testimoniale dinamica, in quanto non ha mai detto di trovarsi a bordo del veicolo dell’attoreo ed ha precisato che: “in conseguenza dell’urto il (…) ha sbandato urtando i muri sinistro e destro”; mentre nella dichiarazione del sig. (…) si legge che il veicolo dopo l’urto si “ribaltava conto i muri”.

Il secondo teste sig. (…) ha reso dichiarazioni del tutto generiche.

Nessun rilievo probatorio ha poi la circostanza che il guidatore dell’altro veicolo, sig. (…), non si sia presentato a rendere l’interrogatorio formale in quanto si tratta di persona trasferitasi in Romania e di fatto disinteressato alla vicenda.

Deve, quindi, ritenersi che non si sia acquisita una prova convincente che la dinamica del sinistro sia stata diversa da quella descritta nel CUD.

Pertanto l’appello deve essere rigettato sia pur con diversa motivazione. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Civitavecchia pronunciando sull’appello proposto da (…) alla sentenza n. 1894/2012 depositata il 13.11.2013 dal Giudice di Pace di Fiumicino:

rigetta l’appello;

condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio sostenute da (…) che liquidano in Euro 2.360,86 (comprensive di rimborso spese generali, IVA, CPA)

Così deciso in Roma il 3 agosto 2018.

Depositata in Cancelleria il 10 agosto 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.