Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17019

In tema di risarcimento dei danni da responsabilita’ civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito, lesivo di cose e persone, non puo’ frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente innanzi al giudice di pace e al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17019

Data udienza 12 gennaio 2018

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14999-2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SPA, in persona del Procuratore Speciale Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonche’ contro

(OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 24614/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 09/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/01/2018 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 9.12.2015, il Tribunale di Roma respinse l’appello proposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS), confermando la sentenza del Giudice di Pace di Roma del 11.3.2014, con cui era stata dichiarata l’inammissibilita’ della domanda avanzata dal (OMISSIS) per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale dallo stesso subito in occasione di un incidente stradale avvenuto il (OMISSIS), per colpa della stessa (OMISSIS), assicurata per la R.C.A. con la detta Compagnia. Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che la domanda cosi’ proposta si ponesse in violazione del dovere di buona fede e correttezza processuale e costituisse abuso del processo, in quanto il (OMISSIS), per il medesimo incidente, aveva gia’ adito il G.d.P. di Roma, chiedendo ed ottenendo in quella sede, con decisione passata in giudicato, i soli danni patrimoniali; la nuova domanda, quindi, comportava la violazione del divieto di frazionamento del credito, affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ a partire da Cass., Sez. Un., n. 23726/2007.

(OMISSIS) ricorre ora per cassazione, affidandosi ad un unico articolato motivo, illustrato da memoria. (OMISSIS) resiste con controricorso, mentre (OMISSIS) non ha resistito.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con l’unico articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost., articolo 88 c.p.c. e articolo 1175 c.c., nonche’ “insufficiente, omessa e controversa” motivazione in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonche’ lo scostamento dal consolidato orientamento della Corte di cassazione al riguardo, il ricorrente censura l’impugnata sentenza perche’ in essa si fa riferimento ad un generico ed indistinto principio di infrazionabilita’ del credito, che non e’ di derivazione ne’ normativa, ne’ giurisprudenziale. Infatti, la nota pronuncia di Cass., Sez. Un., n. 23726/2007 – secondo cui non e’ consentito al creditore parcellizzare l’azione in plurime domande – concerne esclusivamente crediti di natura pecuniaria e non e’ pertinente al caso che occupa, avente ad oggetto crediti di natura risarcitoria, derivanti si’ da un unico fatto generatore, ma di natura diversa, perche’ illecito: solo con la sentenza che accerta la responsabilita’ e liquida il credito, quindi, l’obbligazione diviene pecuniaria. Il ricorrente invoca comunque il piu’ recente orientamento di legittimita’ (Cass. nn. 5491/2015, 5496/2015, 5497/2015 e 5498/2015), disatteso dal Tribunale, che afferma che “e’ illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalita’ della sua utilizzazione”. Ne deriva che la pronuncia non puo’ essere quella della improponibilita’ o inammissibilita’ della domanda, occorrendo trovare rimedio o nella riunione dei processi, oppure sul versante delle spese di lite, come se il procedimento fosse stato unico ab origine (cosi’ anche Cass. nn. 10634/2010, 10488/2011 e 9488/2014).

Del resto, prosegue il ricorrente, solo con la sentenza n. 28286/2011, la Corte di legittimita’ ha affermato l’applicabilita’ del detto principio anche ai giudizi risarcitori, e quindi in epoca successiva all’avvio della prima causa da lui intentata (nel 2010) per i soli danni materiali, per cio’ potendo configurarsi l’overruling.

2.1 – In via preliminare, va rilevata l’inammissibilita’ della censura relativa al preteso vizio motivazionale, denuncia non piu’ consentita, nei termini in cui e’ stata proposta dal (OMISSIS), a seguito della modifica dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. E’ infatti orientamento ormai assolutamente consolidato quello secondo cui “La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, articolo 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cosi’, Cass., Sez. Un., n. 8053/2014). Dall’esame del mezzo in questione, nulla di tutto cio’ puo’ evincersi.

2.2 – Va poi disattesa l’eccezione della societa’ controricorrente, giacche’ la pretesa violazione di legge lamentata dal ricorrente e’ sufficientemente argomentata, almeno in relazione al percorso motivazionale seguito dal giudice del merito.

3.1 – Cio’ posto, il ricorso e’ infondato, in tutte le sue articolazioni.

Afferma nella sostanza il ricorrente che non esiste, a ben vedere, un principio di infrazionabilita’ del credito di natura risarcitoria, che non trova fondamento ne’ nel diritto positivo, ne’ nel diritto “vivente” giurisprudenziale; anzi, da quest’ultimo emerge che – ove anche vi fosse in concreto una ipotesi di abuso del processo per ingiustificato frazionamento del credito – cio’ non potrebbe comunque comportare la pronuncia in rito (ossia, inammissibilita’ o improponibilita’), bensi’ conseguenze molto piu’ mitigate, quali la riunione dei processi o la regolamentazione delle spese di lite come se la causa fosse stata unitaria sin dall’origine, e cio’ perche’ e’ “illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalita’ della sua utilizzazione” (cosi’, Cass. n. 5497/2015, invocata dal (OMISSIS)). E cio’, fermo restando che il repentino mutamento giurisprudenziale – con l’estensione del principio di infrazionabilita’ del credito anche alle pretese risarcitorie, sancito da Cass. n. 28286/2011 giustificherebbe comunque il ricorso all’overruling.

3.2 – Ora, la questione dell’applicabilita’ del principio di infrazionabilita’ anche ai crediti risarcitori e’ stata affrontata da questa Corte, essenzialmente, secondo due linee interpretative, rispettivamente esemplificate da Cass., Sez. 3, n. 28286/2011 e da Cass., Sez. L, n. 5308/2016, entrambe non massimate.

Con la prima pronuncia, in un caso sostanzialmente identico a quello in esame, a) e’ stato ritenuto sussistere l’abuso del processo perche’, alla data di avvio del primo giudizio, tutti gli elementi identificativi della domanda erano consolidati e noti a parte attrice; b) si e’ poi escluso che il danneggiato, in tali casi, possa far ricorso alla “riserva” di agire per danni ulteriori; infine, c) si e’ inquadrato il percorso giurisprudenziale sul tema nell’ambito della mera evoluzione tra interpretazioni contrastanti, escludendosi quindi la sussistenza dell’overruling. Con la seconda pronuncia citata (avente ad oggetto danni subiti da un lavoratore per mobbing, azionati con un secondo giudizio dopo averne richiesti altri in un primo giudizio per singole condotte vessatorie di parte datrice), si e’ invece seguito un percorso diverso, individuando la causa della improponibilita’ della domanda sulla preclusione del giudicato: nella specie, in seno al primo giudizio il lavoratore non aveva avanzato alcuna “riserva”, sicche’, in applicazione del principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, si e’ rilevato che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare l’improponibilita’ della seconda domanda non gia’ per il principio di infrazionabilita’ del credito, bensi’ per la preclusione da giudicato.

3.3 – Al riguardo, ritiene il Collegio di dover dare continuita’ all’insegnamento di Cass. n. 28286/2011, con le precisazioni che seguono.

Con detta decisione (come in parte anticipato), si e’ condivisibilmente osservato che il dovere di solidarieta’ ex articolo 2 Cost., e l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza permeano ormai i comportamenti dei consociati, anche in ambito processuale, e non possono ritenersi relegati al solo ambito privatistico. Sulla base di tali premesse – in un caso in cui criteri identificativi delle due domande consecutivamente proposte erano identici, cosi’ come identici erano il rapporto e il fatto illecito causativo del danno, e le conseguenze dannose si erano definitivamente materializzate, sia per i danni patrimoniali che non patrimoniali – la Corte ha quindi affermato che “non e’ giustificabile la disarticolazione della tutela giurisdizionale richiesta mediante la proposizione di distinte domande E cio’, neppure con la riserva di far valere ulteriori e diverse “voci di danno” in altro procedimento, che l’attuale ricorrente aveva inserito nella domanda proposta con il primo giudizio.

La strumentalita’ di una tale condotta frazionata e’ (…) evidente, ma non e’ consentita dall’ordinamento che le rifiuta protezione per la violazione di precetti costituzionali e valori costituzionalizzati, concretizzandosi, in questo caso, la proposizione della seconda domanda, in un abuso della tutela processuale, ostativa al suo esame. (…).

Per le caratteristiche del caso in esame (…) il consentire un uso parcellizzato della tutela processuale colliderebbe con i principi ricordati, nel mutato, ed attuale, assetto dei valori costituzionali, cui deve necessariamente ispirarsi anche il processo civile”.

In linea con detta pronuncia, la successiva Cass. n. 21318/2015 ha poi affermato che “In tema di risarcimento dei danni da responsabilita’ civile, il danneggiato, a fronte di un unitario fatto illecito, lesivo di cose e persone, non puo’ frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente innanzi al giudice di pace e al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, trattandosi di condotta che aggrava la posizione del danneggiante-debitore, ponendosi in contrasto al generale dovere di correttezza e buona fede e risolvendosi in un abuso dello strumento processuale. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto improponibile la domanda di risarcimento dei danni alla persona subiti dall’attore in occasione di un sinistro stradale, nel quale lo stesso aveva subito altresi’ danni materiali, oggetto di separato giudizio innanzi al giudice di pace)”.

Detta linea ermeneutica, ad avviso del Collegio, puo’ inoltre arricchirsi di un ulteriore profilo, maggiormente evidenziato dalla recente Cass., Sez. Un., n. 4090/2017. Infatti, per quanto principio affermato riguardo al problema della frazionabilita’ di crediti pecuniari (si trattava, nella specie, di piu’ crediti derivanti da un unico rapporto di durata, ossia di lavoro subordinato), e’ stato affermato che “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benche’ relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – si’ da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attivita’ istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovra’ indicare la relativa questione ex articolo 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex articolo 101 c.p.c., comma 2”.

Come si evince da quest’ultima pronuncia (specie in motivazione), non puo’ quindi giungersi ad una categorica affermazione del divieto di frazionamento dell’azione a fronte di crediti diversi, occorrendo comunque valutare l’interesse del creditore che e’ posto alla base della scelta di agire in modo parcellizzato.

3.4 – Facendo governo di quanto precede riguardo alla vicenda qui in esame, non puo’ revocarsi in dubbio che, alla data del 29.10.2010, in cui il (OMISSIS) propose la prima domanda (avente ad oggetto i soli danni materiali da lui patiti nel sinistro avvenuto il (OMISSIS)), l’intero panorama delle conseguenze dannose del sinistro stesso fosse pienamente emerso, sia riguardo ai danni all’autovettura che anche alla persona. E cio’ e’ tanto vero che – come sottolineato dal Tribunale – l’odierno ricorrente era stato sottoposto a visita da parte di un medico incaricato dalla Compagnia nello stesso mese di giugno del 2010.

Pertanto, la decisione impugnata e’ senz’altro corretta, perche’ il Tribunale non ha scorto alcuna plausibile ragione perche’ potesse ritenersi assistita da un interesse meritevole di tutela, da parte dell’ordinamento, la condotta processuale del (OMISSIS), che ha avviato la seconda azione solo nel 2012, cio’ comportando la necessita’ di duplicare inutilmente ed in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ex articolo 111 Cost., – ove si fosse ritenuta l’ammissibilita’ della domanda -, sia l’attivita’ del giudice adito, sia della stessa parte convenuta.

Ne’, del resto, e’ sostenibile (come pure fa il (OMISSIS), a dimostrazione del proprio interesse alla parcellizzazione dell’azione) che, alla data di proposizione della prima domanda, i “postumi permanenti” non potessero dirsi consolidati, e cio’ per almeno un duplice ordine di motivi. Infatti – a parte ogni considerazione sulla spendibilita’ dell’assunto alla luce dei principi di medicina legale e delle ordinarie condizioni di proponibilita’ della domanda risarcitoria, ove anche si tenga presente che, per stessa ammissione del ricorrente, egli ha patito, nel complesso, 50 giorni di I.T. (v. ricorso, p. 4) – deve anzitutto rilevarsi che la questione implica una tipica valutazione demandata al giudice del merito; in secondo luogo, perche’ tale valutazione e’ stata sostanzialmente espletata dal Tribunale, laddove ha rilevato che il (OMISSIS) era stato sottoposto a visita gia’ nel giugno del 2010 e che, conseguentemente (ossia, per effetto di quella visita), la Compagnia gli aveva offerto (seppur solo nel dicembre 2010) una somma da lui accettata in acconto.

La statuizione in esame non e’ stata pero’ adeguatamente censurata dal ricorrente, che si e’ limitato a contrapporre labialmente fatti (ossia, appunto, il mancato consolidamento dei postumi e la sottoposizione a visita da parte del medico incaricato dalla Compagnia solo nel corso del primo giudizio) incompatibili con detto accertamento (oltre che con le proprie allegazioni, come s’e’ detto), senza peraltro veicolarli in questo giudizio di legittimita’ nel solo modo oggi consentito dal codice di rito, ossia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.1 – Restano ora da affrontare due ulteriori problematiche, ossia quella sulle conseguenze dell’abuso del processo, nonche’ quella sul c.d. overruling.

4.2 – In proposito, quanto alla prima questione, ritiene il Collegio di dover ribadire che, in caso di abuso da frazionamento del credito, la domanda proposta per seconda – e solo quella (v. Cass. n. 22503/2016) – sia inammissibile.

Infatti, ove la parcellizzazione dell’unitaria azione configuri una condotta processualmente abusiva, e’ evidente che l’azione avviata per seconda non puo’ essere proposta, non gia’ per effetto di un inesistente giudicato, bensi’ perche’ essa non e’ data dall’ordinamento.

La giurisprudenza invocata dal ricorrente al fine di propugnare, invece, l’erroneita’ della decisione qui impugnata – dovendo in tesi escludersi l’adozione di una pronuncia ostativa all’esame del merito, sufficiente essendo l’emissione di provvedimenti ordinatori dello svolgimento del processo (ad es. riunione), ovvero sul piu’ limitato tema delle spese – attiene, per lo piu’, alla proposizione di azioni con cumulo soggettivo e al successivo “spacchettamento” delle singole posizioni negli ulteriori gradi di giudizio (specie in tema di equa riparazione da ingiustificata durata del processo: cosi’, Cass. n. 10634/2010 e Cass. n. 10488/2011, richiamate dal (OMISSIS), cui possono aggiungersi, in termini, Cass. n. 9962/2011, Cass. n 2587/2016 e, da ultimo, Cass. n 20834/2017), sicche’ tale filone giurisprudenziale non sembra pertinente rispetto alla problematica che occupa.

Proprio per tale ragione, non sembrano quindi condivisibili quelle pronunce che su detto filone fondano l’affermazione secondo cui “e’ illegittimo non lo strumento adottato, ma la modalita’ della sua utilizzazione” (Cass. nn. 5491/2015, 5496/2015, 5497/2015 e 5498/2015, tutte relative, peraltro, ad una vicenda in cui le pretese dell’originario attore, che aveva introdotto ben 290 cause contro un unico soggetto, non davano origine ad un unitario rapporto obbligatorio, bensi’ ad una pluralita’ di rapporti distinti).

4.3 – Quanto alla seconda questione, oltre quanto affermato dalla gia’ citata Cass. n. 28286/2011, puo’ qui richiamarsi quanto condivisibilmente sostenuto dalla recente Cass. n. 929/2017, secondo cui “La proposizione di separate azioni risarcitorie per danni diversi nascenti dallo stesso fatto illecito, avvenuta anteriormente all’arresto delle Sezioni Unite che ha affermato il principio dell’infrazionabilita’ della domanda giudiziale per crediti derivanti da un unico rapporto, si sottrae all’applicazione del “prospective overruling”, secondo cui restano salvi gli effetti degli atti processuali compiuti dalla parte che abbia fatto incolpevole affidamento sulla stabilita’ di una previgente interpretazione giurisprudenziale, atteso che quella decisione non ha comportato il mutamento dell’interpretazione di una regola del processo che preveda una preclusione o una decadenza, ma ha sancito l’improponibilita’ delle domande successive alla prima in ragione del difetto di una situazione giuridica sostanziale tutelabile, per contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che non consente di accordare protezione ad una pretesa caratterizzata dall’uso strumentale del diritto di azione”.

5.1 – In definitiva, il ricorso e’ rigettato. Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Nulla va disposto nei rapporti con (OMISSIS), che non ha svolto difese.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), puo’ darsi atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 2.295,00, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228), si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.