Sebbene l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci abbia natura contrattuale, in tema di onere della prova non vale il principio generale di cui all’art. 1218 c.c. All’attore spetta pertanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni addebitate, del patito danno e del nesso di causalità tra le une e l’altro, incombendo su amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso e di fornire la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti.

Corte d’Appello|L’Aquila|Civile|Sentenza|13 febbraio 2020| n. 257

Data udienza 12 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte D’Appello dell’Aquila composta dai seguenti Magistrati:

PRESIDENTE Dr. Silvia Rita Fabrizio

Giudice Ausiliario Avv. Giuseppe De Falco Relatore ed Estensore

Consigliere Dr. Francesco Filocamo

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al R.G. n. 698/2015 in grado di appello, trattenuta in decisione una prima volta all’udienza collegiale del 25 settembre 2019 con relative conclusioni come da verbale in pari data, promossa

DA

Im. s.r.l., con sede in S. Giovanni Teatino (CH) – Fraz. Sambuceto, Via (…), in persona del legale rappresentante pro-tempore e amministratore unico Te.An., nonché quali singoli i signori An.Te. e Wa.Pu., soci della Im. s.r.l., tutti assistiti e difesi dall’avv. Pa.Ma., presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Sassa – L’Aquila, via (…)

– APPELLANTI –

CONTRO

Da.Ca., rappresentato e difeso in primo grado dagli avvocati En.Fe. e Ba.Sa. ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Chieti, Piazza (…), oggi in Chieti, Viale (…).

– APPELLATO CONTUMACE –

Avverso

la sentenza del Tribunale di Chieti n. 684/2014 del 20 ottobre 2014, depositata il 14 novembre 2014, non notificata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I. Breve ricostruzione del procedimento di primo e di secondo grado.

1. Da.Ca., odierno appellato contumace, già amministratore unico della società Im. s.r.l., conveniva la società Im. s.r.l., impugnando la delibera assembleare della società ritenuta invalida per irregolare convocazione e quindi in violazione degli artt. 2379-bis e 2479-ter.

2. Si costituiva la società convenuta e, altresì, i soci An.Te. e Wa.Pu., insieme rappresentativi dell’intero capitale sociale della Im., quali interventori ad adiuvandum. Tutti costoro chiedevano il rigetto della domanda e in via riconvenzionale agivano per la condanna del Ca. al risarcimento dei danni cagionati quale amministratore della società, quantificati in Euro 819.476,00.

3. Il giudice di primo grado decideva accogliendo l’impugnazione della delibera dichiarandola nulla e rigettava la domanda di risarcimento motivandone l’infondatezza.

4. Circa le spese, i convenuti venivano condannati a pagare all’attore vittorioso, Euuo 470,00 di spese, Euro 4387,50 per fase di studio, Euro 2895,10 per fase introduttiva, Euro 12.889,50 per fase istruttoria ed Euro 7.631 per fase decisionale, oltre 15% spese generali, CPA ed IVA:

5. Gli odierni appellanti impugnano la decisione rassegnando le seguenti conclusioni, “Piaccia all’Ecc.ma Corte adita: accogliere l’appello e per l’effetto riformare integralmente la sentenza di primo grado del Tribunale di Chieti – Giudice Unico Dott. Al.Be. n. 684/14 del 20.10.2014, depositata in data 14.11.2014, accogliendo tutte le domande proposte dai convenuti attori in riconvenzionale, odierni appellanti, nei confronti di Ca.Da., e, pertanto, dichiarare inammissibile e comunque rigettare le domande proposte da Ca.Da., siccome infondate in fatto ed in diritto, e, in accoglimento della proposta domanda riconvenzionale, condannare lo stesso Ca.Da. al risarcimento dei danni in favore della Im. S.r.l. e dei soci della stessa quantificati nell’importo di Euro 819.476,00 oltre interessi sulla somma di Euro 700.000,00 dalla data del 29.9.2011 fino al saldo, nonché gli ulteriori importi maturandi a titolo di sanzioni ed interessi in relazione alle cartelle esattoriali, avvisi bonari e accertamenti pervenuti alla Im. S.r.l., con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese e compensi di lite del doppio grado di giudizio”.

6. Ca., appellato, non si costituiva rimanendo contumace.

7. Analisi dei motivi di impugnazione.

8. Primo motivo di impugnazione: eccezione di incompetenza territoriale.

9. Con il primo motivo di impugnazione, gli appellanti contestano l’accoglimento della domanda di annullamento di delibera assembleare della Im. Del 23 settembre 2011.

10. Era accaduto che il Ca. in qualità di amministratore unico della Im. s.r.l. era stato sollecitato in data 8 giugno 2011 a convocare l’assemblea dei soci. Ciò non avveniva e il 13 settembre 2011, lo stesso Ca., nella medesima qualità, riceveva avviso di convocazione dell’assemblea dei soci per il giorno 23 settembre 2011, a firma del socio di maggioranza della società, sig. An.Te., il quale dichiarava di esercitar così un proprio diritto ai sensi degli artt. 2479 e 2479-bis c.c., in ragione dell’inerzia dell’amministratore unico Ca. che non vi aveva provveduto nonostante il sollecito del giugno precedente. Il Ca. contestava l’irritualità della convocazione dicendosi disponibile a convocare l’assemblea su richiesta dei soci. L’assemblea era convocata con all’ordine del giorno la nomina di un nuovo amministratore. In quella sede l’amministratore unico Ca. veniva revocato e sostituito con il sig. An.Te..

11. Il giudice di primo grado ha accolto l’impugnazione da parte del Ca. condividendo l’assunto che ai sensi dell’articolo 15 dello statuto della società, il potere di convocare l’assemblea è posto in capo all’amministratore unico, il quale non lo aveva esercitato. La decisione impugnata escludeva anche la possibilità di invocare il comma 3 dell’articolo 15 dello statuto che sostanzialmente prevede la validità delle assemblee in cui sia rappresentato l’intero capitale sociale e sia presente l’organo amministrativo, in questo caso rappresentato dall’amministratore unico che alla riunione risultava pacificamente assente.

12. La decisione è errata sul punto. E’ pacifico in giurisprudenza che nel caso di inerzia dell’amministratore unico, e nel silenzio dello statuto sull’ipotesi di inerzia dell’amministratore unico, è nel potere dei soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale di una s.r.l. di convocare l’assemblea della società.

Il principio è stato fissato anche di recente ex art. 363, comma 3, da Cassazione civile sez. I, 25/05/2016, (ud. 16/03/2016, dep. 25/05/2016), n. 10821 secondo cui: ”L’obiettivo di fondo della riforma è stato quello di configurare la S.r.l. come un modello elastico, valorizzando i profili di carattere personale presenti soprattutto nelle piccole e medie imprese, cui tale forma sociale è connaturale; con accentuati margini di disponibilità delle norme, ammissive di soluzioni organizzative proprie delle società di persone, per via statutaria. Centrale nella S.r.l. è divenuto, dunque, il ruolo del socio, al quale spettano anche poteri prima riservati in via esclusiva all’amministrazione. D’altra parte, l’inapplicabilità dell’art. 2367 cod. civ. porterebbe ad una paralisi della vita societaria, se la richiesta di assemblea da parte di una maggioranza qualificata dei soci incontrasse l’inerzia ostruzionistica dell’amministratore: nella specie, direttamente controinteressato alla proposta di revoca portata dall’ordine del giorno. Nel silenzio della legge e dell’atto costitutivo, si palesa dunque necessario trovare un meccanismo alternativo: e questo appare correttamente individuato dalla Corte territoriale nel riconosciuto potere di convocazione dell’assemblea da parte del socio di maggioranza, titolare di almeno un terzo del capitale, in caso di inerzia dell’organo di gestione”. L’accoglimento di questo motivo di impugnazione assorbe la critica degli appellanti circa l’esistenza di legittimazione attiva dell’amministratore unico a impugnare la delibera assembleare de qua, critica, peraltro, di dubbia fondatezza nel caso di specie in ragione della specifica natura dei vizi sollevati dall’impugnazione del Ca..

13. Secondo motivo di impugnazione. responsabilità dell’amministratore Ca..

14. Più complesso l’esame del secondo motivo di impugnazione nel quale gli appellanti contestano sia la ricostruzione in fatto sia l’applicazione dei principi di diritto da parte del primo giudice.

15. L’azione di responsabilità si fonda per gli appellanti sul fatto che il Ca. abbia utilizzato le somme rivenienti da un mutuo ottenuto dalla Ba.Po. ed erogato il 23 settembre 2010 non per finalità di interesse sociale, e più specificamente per quelle a cui il mutuo era destinato (pagamento cartelle esattoriali; pagamento fornitori; ristrutturazione della cucina di un albergo di proprietà della Im.) ma per pagare alla società Tu. il prezzo di acquisto del 25% del capitale sociale di Al. s.r.l., società di cui lo stesso Ca. era amministratore unico. In concreto, il comportamento del Ca. avrebbe cagionato danni per Euro 119.476,00 rivenienti da maggiori interessi e sanzioni di cui a diverse cartelle esattoriali ed Euro 700.000,00 per il pagamento dell’acconto sul prezzo di acquisto del 25% di Al. s.r.l.

16. Il giudice di prime cure ha sostanzialmente ritenuto che il vincolo contrattuale circa l’utilizzo delle somme finanziate dalla Bp. era inesistente; che le cartelle esattoriali erano state tutte pagate entro fine dicembre 2011; che gli avvisi bonari e gli accertamenti ICI per omessi pagamenti per annualità pregresse erano di modesto importo e quindi pagabile dal nuovo amministratore, succeduto al Ca.; che quanto al pagamento di un acconto per l’acquisto del 25% delle quote della Al. s.r.l., pari a 700.000,00 Euro, l’amministratore Ca. era all’epoca della stipula del preliminare (12.9.2011) e titolare di tutti i poter di ordinaria e straordinaria amministrazione ai fini della realizzazione dell’oggetto sociale tra cui rientrava anche l’acquisto di partecipazioni in altre imprese. Che l’erogazione della somma in data 29 settembre 2011 avvenne quando Ca. non era al corrente della sua revoca per altro disposta con delibera invalida; che in ogni caso è mancata la prova che l’acquisto delle quote dell’Al. s.r.l. si sia tradotto in un danno per la società appellante.

17. Gli appellanti contestano alla decisione di primo grado la violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c. ed i vizi di irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà per aver erroneamente ritenuto che:

– le somme conseguite dalla Im. attraverso il mutuo acceso presso la Ba.Po. non avessero la destinazione indicata dalla società e dai soci e ciò nonostante l’inequivocabilità di quanto attestato dalla stessa Banca erogatrice, Terzo estraneo al rapporto processuale, nella nota del 28/11/2011 (doc. 27 fasc. di parte del primo grado) che precisa e specifica quanto giB risultante dal contratto di mutuo;

– che le cartelle esattoriali erano rateizzate e che ciò che rilevava erano i pagamenti delle singole rate e non l’estinzione anticipata delle stesse e che gli interessi e le sanzioni maturate sulle stesse e quelle di cui agli avvisi bonari ed accertamenti fossero di lieve entità e che, comunque, potessero essere pagate anche dopo la rimozione del Ca. dalla carica di amministratore, trascurando che il loro pagamento puntuale od anticipato avrebbe evitato l’obbligo di pagamento delle maggiorazioni per interessi e sanzioni per Euro 119.476,00 (docc. da 3 a 12 allegati alle memoria ex art. 183 co. 6 primo termine) e che il loro pagamento era stato formalmente indicato come prioritario all’amministratore Ca. dai soci Im. (doc.10 fasc. di parte I g. e testimonianza avv. Ba.), il quale, invece, aveva proceduto a compiere operazioni diverse da quelle necessarie ed indicate, determinando oltre che il totale depauperamento delle disponibilità liquide della Società derivanti dal mutuo sopra menzionato, ulteriori debiti derivanti dallo scoperto bancario (doc.11 fasc. di parte I g.);

– che il versamento di 700.000,00 Euro alla Tu. s.r.l. trovasse giustificazione in un preliminare di compravendita, che l’operazione rientrasse tra quelle attuabili dall’amministratore, che l’erogazione fosse stata disposta prima che al Ca. venisse comunicata la revoca dalla carica di amministratore e che mancasse la prova che l’acquisto delle quote della Al. S.r.l. rappresentasse un danno per la Im. e che fosse estranea al perseguimento degli scopi sociali. E quanto sopra trascurando le documentate e dimostrate circostanze che: – il Ca. risultava amministratore unico anche della Al. S.r.l. e che si trovava, pertanto, in patente conflitto di interessi; – la somma di Euro 700.000,00 rappresentava secondo il preteso preliminare soltanto la caparra confirmatoria e il corrispettivo parziale dell’importo complessivo di Euro 2.000.000 di cessione del 25% delle partecipazioni in Al.; l’operazione necessitava quanto meno dell’informativa ai soci di conseguenza; il preteso perfezionamento dell’accordo avrebbe generato un ulteriore esborso a carico della Im. per Euro 1.300.000,00 che si andava ad aggiungere allo scoperto bancario già accertato di circa Euro 1.800.000,00, determinandone lo stato di sostanziale insolvenza; che, in ogni caso, l’operazione era contraria all’interesse della Società e dei suoi soci dal momento che si collocava al di fuori delle indicazioni ripetutamente impartite all’amministratore in ordine all’utilizzazione delle somme mutuate; che il Ca. al momento dell’effettuazione dei 2 bonifici in data 29.9.2011 in favore della Tu. S.r.l. non era più amministratore della Im. S.r.l. e ne era perfettamente consapevole (cfr. docc.12 e 13 f.d.p. I g.), avendo il nuovo amministratore e socio di maggioranza An.Te. già provveduto alle comunicazioni e trascrizioni di legge presso la Camera di Commercio di Chieti (doc. 14 fasc. di parte g.);”.

18. Il caso concreto dev’essere deciso alla luce dei noti principi elaborati in materia di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata. Sotto quest’aspetto l’eventuale violazione del contratto di finanziamento ipotecario sottoscritto dalla Im. con Bp. assume solo valore indiziario poiché non è in gioco la responsabilità della società Im. per aver violato un obbligo del contratto di finanziamento ma l’eventuale riflesso che la pretesa violazione del contratto di finanziamento possa aver generato in termini di responsabilità gestoria dell’amministratore unico nei confronti della società da lui amministrata.

19. L’accusa degli appellanti è che il Ca. avrebbe in qualche modo violato lo scopo del contratto di finanziamento ipotecario contratto dalla società. Sappiamo che nel nostro ordinamento è ammesso il contratto di mutuo di scopo in cui la finalità dello stesso assurge ad elemento causale determinante del finanziamento sicché l’eventuale impiego della somma mutuata in modo difforme dallo scopo dedotto in contratto, costituisce inadempimento del contratto stesso e, secondo alcuni, persino un’ipotesi di nullità. In tutti i casi in cui sia dedotta l’esistenza di un mutuo di scopo convenzionale è pur sempre necessario che la clausola di destinazione della somma mutuata incida sulla causa del contratto, finendo per coinvolgere direttamente anche l’interesse dell’istituto finanziatore: qualora venga prevista nel contratto di finanziamento una destinazione delle somme erogate per esclusivo interesse del mutuatario, si realizzerebbe infatti semplicemente una esteriorizzazione dei motivi del negozio, di per sé non comportante una modifica del tipo contrattuale; e in tal caso non si può parlare di mutuo di scopo (sebbene uno scopo, in senso lato, vi sia ovviamente per il sovvenuto), poiché la mera indicazione dei motivi, non accompagnata da un programma contrattuale teso alla loro realizzazione, non è di per sé idonea a modificare il tipo negoziale. Né la natura di mutuo di scopo può farsi discendere dalla qualificazione fondiaria dello stesso poiché noto che il mutuo fondiario ai sensi del Testo Unico Bancario non è di per sé mutuo di scopo, potenzo anzi essere impiegato per gli scopi più vari.

20. Leggendo il “contratto di finanziamento ipotecario fondiario a imprese” del 23.9.2010 (Repertorio n. 3683 – Raccolta n. 2711) stipulato tra Im. e Ba.Po. si legge solo che le somme erogate dono destinate a “sopperire al fabbisogno finanziario derivante dalla realizzazione di programmi aziendali”. Una simile formulazione è alquanto generica, vaga e tautologica consistendo nella mera enunciazione della libertà di uso da parte del mutuatario in conformità ai propri scopi imprenditoriali che, in concreto, non vengono in nessun modo dettagliati, specificati, enumerati in sede contrattuale.

21. Tuttavia, la responsabilità dell’amministratore di una società di capitali prescinde dalla circostanza se il comportamento tenuto dallo stesso configuri una puntuale violazione dei contratti sottoscritti. Nel caso concreto è irrilevante che l’amministratore unico abbia ottemperato alle disposizioni contrattuali se comunque la gestione del denaro di fonte bancaria è stata impiegata per finalità in contrasto con l’interesse sociale o con pregiudizio gestionale.

Se dunque è vero che nel momento in cui il debito ipotecario è stato contratto lo stesso amministratore rappresentava alla banca finanziatrice l’esistenza di alcune esigenze aziendali consistenti nella specie nel:

“- pagare alcune cartelle esattoriali per un controvalore pari ad Euro 2.300.000,00;

– pagamento fornitori per un importo pari ad Euro 850.000,00, in particolare per opere di ristrutturazione dell’albergo di proprietà B della Im. Srl;

– esecuzione opere di ristrutturazione per ulteriori 800.000,00, in particolare opere di ristrutturazione delle cucine dell’albergo”;

e se consistenti somme mutuate venivano impiegate invece per l’acquisto speculativo di titoli Unicredit e Intesa, subito rivenduti con un beneficio in termini di plusvalenza di Euro 35.000,00 nonché nell’acquisto di n. 29.000,00 azioni della Ba.Po. per un controvalore di Euro 1.786.980,00 (doc. 27 produzione di parte convenuta in primo grado) non vi è dubbio che tali scelte debbano essere sottoposte a scrutinio nel merito non potendosi fermare il giudice al dato formale dell’esistenza del potere di rappresentanza poiché invero in questo caso si discute non di questo ma del potere gestorio e del corretto esercizio dello stesso.

22. Il merito dell’attività gestoria non è di norma suscettibile di sindacato, salvo sia questione di scelte manifestamente illegittime e arbitrarie, prive della minima logicità di conduzione economica. Tuttavia, può essere valutato dal giudice il quadro delle scelte dell’amministratore al fine di verificare l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche o informazioni normalmente richieste per una scelta di quel genere, tali da configurare la violazione dell’obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministratore ovvero la conduzione degli affari in conflitto di interessi. Ne consegue che l’amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni prodotti alla società per aver posto in essere quelle condotte che avrebbero dovuto essere compiute con modalità e fini differenti, ma che l’amministratore ha invece perseguito in conflitto di interesse. Si tratta, pertanto, del limite davanti al quale si arresta il generale divieto per il giudice di valutare le scelte gestionali compiute. Non si tratta di valutare con giudizio a posteriori l’economicità di quelle scelte gestionali operate ovvero il mancato profitto conseguito da quella specifica scelta di amministrazione di azienda, quanto di valutare che quello specifico atto gestionale contestato non avrebbe dovuto essere compiuto, con giudizio riferito al tempo della sua consumazione

23. Afferma a riguardo la difesa degli appellanti che le somme rivenienti dal mutuo, non sarebbero state impiegate per il pagamento della cartelle esattoriali e delle altre esigenze sociali ma, anzi, siano state utilizzate per il pagamento di un acconto di Euro 700.000,00 per il pagamento dell’acconto sul prezzo di acquisto del 25% di Al. s.r.l., il cui totale sarebbe stato pari a Euro 2.000.000,00 in una situazione di conflitto di interessi dal momento che lo stesso Ca. era amministratore unico della Al. s.r.l., società di proprietà della Tu. VPS s.r.l.

24. Tale pagamento era avvenuto in esecuzione di un preliminare di compravendita di quote. L’oggetto sociale della Im. è la costruzione di fabbricati urbani e non urbani, insediamenti commerciali, artigiani e turistici, l’acquisto e la vendita, la locazione e la sublocazione di immobili e fondi rustici, l’acquisto di partecipazioni finanziarie nonché la produzione e distribuzione di una larga scala di beni di consumo, l’attività di ristorazione e di pubblico spettacolo oltre alla gestione contabile di altre aziende. Al. viene descritta come una società con oggetto la ricerca, l’individuazione, lo sviluppo e la costruzione di immobili o complessi immobiliari; l’acquisizione di aziende e rami d’azienda e la commercializzazione di beni alimentari, abbigliamento e pelletteria. Al di là dell’ampiezza piuttosto generica dei due oggetti sociali, sembra in concreto che le due società fossero accomunate da alcune attività fondamentali.

25. In relazione al bilancio e alle disponibilità liquide dell’acquirente Im. non vi è alcun dubbio però che l’amministratore unico abbia violato l’obbligo di informazione nei confronti dei soci i quali per l’obbligo di diligenza professionale in capo all’amministratore avrebbe dovuto illustrare le ragioni, gli scopi e le modalità con cui egli era addivenuto alla determinazione di acquisire una partecipazione, per giunta di minoranza, nella società Al. s.r.l. da lui medesimo amministrata. Dell’assolvimento di tale obbligo informativo non vi è traccia né vi è traccia di indicazioni strategiche e di valutazioni economiche di supporto alla scelta dell’acquisto della partecipazione societaria in questione. Addirittura l’acquisto non è stato preceduto da alcuna due diligence sulla società acquistata o da proiezioni sulla potenziale redditività dell’investimento. Sono manchevolezze che violano il paradigma della diligenza professionale di un amministratore di una società di capitali e non riguardano lo stretto merito delle scelte gestorie.

26. Resta fermo che sul piano del conflitto di interessi non è stato invocato in questo giudizio l’annullamento del contratto preliminare di compravendita, come previsto dall’articolo 2475-fer per cui la risposta alla domanda riconvenzionale della parte appellante rimane confinata nello scrutinio della sussistenza dei presupposti della responsabilità sociale ex articolo 2476 c.c.

27. Orbene, ai sensi dell’art. 2476 c.c., per promuovere l’azione di responsabilità, non è sufficiente la sussistenza di una condotta inadempiente degli obblighi che gravano sull’amministratore, ma è necessario un quid pluris, cioè il danno risarcibile.

28. Al riguardo, si è sostenuto in giurisprudenza che: “Sebbene l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci abbia natura contrattuale, in tema di onere della prova non vale il principio generale di cui all’art. 1218 c.c. All’attore spetta pertanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni addebitate, del patito danno e del nesso di causalità tra le une e l’altro, incombendo su amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso e di fornire la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti” (Corte App. Milano 6.6.2012, in Società, 12, 972, in merito all’art. 2392 c.c., assimilabile all’art. 2476 c.c.; Cass. civ. n. 19742/2018).

29. Pertanto, chi promuove la suddetta azione deve allegare e provare sia l’esistenza di un danno concreto, consistente nel depauperamento del patrimonio sociale di cui si chiede il ristoro, sia la sussistenza del nesso di causalità tra tale danno e il fatto dell’amministratore inadempiente.

30. Le uniche due voci di danno invocate dagli appellanti già in primo grado sono, come visto, Euro 119.476,00 rivenienti da maggiori interessi e sanzioni di cui a diverse cartelle esattoriali ed Euro 700.000,00 per il pagamento dell’acconto sul prezzo di acquisto del 25% di Al. s.r.l.

31. Quanto alle sanzioni e agli interessi sulle cartelle esattoriali, gli appellanti avevano prodotto un riepilogo (doc. 3 allegato alla prima memoria in primo grado) dal quale si evince che l’ente di riscossione aveva nel 2009 rateizzato alcuni importi dovuti per IVA/IRES/IRAP non pagata negli anni dal 2002 al 2005 e per il 2006.

Secondo gli appellanti qualora i proventi del mutuo concesso il 23 settembre 2010 fossero stati impiegati per estinguere il debito residuo verso l’ente riscossore sarebbero stati risparmiati Euro 53.710,03, sarebbero stati pagati avvis bonari e accertamenti vari per un importo di Euro 119.476,00.

32. Questo documento da solo considerato e in mancanza di una dettagliata analisi di bilancio (del bilancio della Im.) da cui si possa evincere il complessivo depauperamento della società e quindi l’impossibilità di assolvere in altro modo agli obblighi di pagamento, non è prova del danno.

Il danno che consegue alla responsabilità dell’amministratore non consiste infatti nei pagamenti che la società non ha fatto e che avrebbe (ipoteticamente) potuto fare se avesse operato altre scelte ma nel depauperamento complessivo della società tale da rendere impossibile o più difficoltoso o più oneroso il pagamento per difetto assoluto delle risorse finanziarie. Di tutto ciò gli appellanti non hanno fornito alcuna prova. Gli appellanti si sono limitati ad asserire che il denaro riveniente dal finanziamento poteva essere impiegato per pagare cartelle esattoriali e tasse ma non hanno dimostrato che non hanno potuto pagare le stesse somme o che le hanno dovute pagare con oneri maggiori di quanto già non fosse al momento in cui erano state poste in essere le condotte illecite dell’amministratore unico e come conseguenza di queste.

33. Lo stesso difetto probatorio affligge la richiesta di risarcimento riguardante i 700.000,00 Euro pagati per l’acconto relativo al prezzo di acquisto del 25% delle quote di Al. s.r.l. per le quali sarebbe stato doveroso che gli appellanti provassero anche mediante opportuna perizia contabile dettagliata che il valore della partecipazione acquisita è notevolmente inferiore al prezzo pagato. Nulla di ciò risulta provato sicché pur confermando che il Ca. si è reso protagonista di una violazione evidente dei principi di diligenza professionale che presiedono all’attività di un amministratore di società di capitali, non può conseguire la condanna risarcitoria mancando la prova del danno subito dalla società.

34. Regime delle spese

35. Il parziale accoglimento dell’appello e la condotta negligente dell’appellato Da.Ca. giustificano che, in forza del principio di globalità, sia stabilita la compensazione integrale delle spese di primo e di secondo grado con ogni effetto restitutorio per quanto eventualmente pagato dagli appellanti in favore dell’appellato in esecuzione della sentenza di primo grado.

P.Q.M.

La Corte di Appello di L’Aquila, definitivamente pronunciando, in contraddittorio delle parti costituite sull’appello proposto da Im. s.r.l., con sede in S. Giovanni Teatino (CH) – Fraz. Sambuceto, Via Po n. 60, in persona del legale rappresentante pro – tempore e amministratore unico Te.An., nonché quali singoli i signori An.Te. e Wa.Pu., soci della Im. s.r.l. contro Da.Ca., appellato contumace, avverso la sentenza la sentenza del Tribunale di Chieti n. 684/2014 del 20 ottobre 2014, depositata il 14 novembre 2014, non notificata resa a definizione del procedimento 684714, così provvede:

A. Accoglie l’appello nei soli limiti di cui in motivazione dichiarando in riforma della decisione di primo grado la validità della delibera di revoca dell’amministratore unico Da.Ca. assunta dall’assemblea dei soci della Im. s.r.l., con sede in S. Giovanni Teatino (CH) – Fraz. Sambuceto, Via Po n. 60, del 23 settembre 2011.

B. Dispone la compensazione integrale delle spese di primo e di secondo grado con ogni effetto restitutorio per quanto eventualmente pagato dagli appellanti Im. s.r.l., con sede in S. Giovanni Teatino (CH) – Fraz. Sambuceto, Via (…), in persona del legale rappresentante pro-tempore e amministratore unico Te.An., nonché quali singoli i signori An.Te. e Wa.Pu., soci della Im. s.r.l. in favore dell’appellato Da.Ca. in esecuzione della sentenza di primo grado.

Così deciso in L’Aquila il 12 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.