il danneggiato da mancato lancio dell’Opa subisce un danno che non puo’ farsi “coincidere in modo necessario ed automatico con il risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l’offerta vi fosse stata e fosse stata accettata”, giacche’, nel frangente considerato, il pregiudizio patito dall’azionista consiste in una perdita di chance – e’ chiaro il riferimento ad essa laddove, in Cass. 10 agosto 2012, n. 14392, da cui sono tratte le citazioni qui virgolettate, si fa riferimento alla sua nozione, mutuata alla lettera, ad esempio, da Cass. 11 dicembre 2003, n. 18945, secondo cui la chances “non e’ una mera aspettativa di fatto ma un’entita’ patrimoniale a se’ stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione” -, ossia nella perdita della possibilita’ di disinvestimento “che l’offerta pubblica avrebbe dovuto assicurare e che, proprio in quanto l’offerta non v’e’ stata, non e’ mai invece venuta ad esistenza”. Tale danno collocandosi dal versante del mancato conseguimento di un vantaggio, quale quello che l’azionista avrebbe potuto conseguire se l’Opa fosse stata lanciata ed egli vi avesse aderito, si configura dunque come lucro cessante ipotetico. Danno, quello menzionato, che l’azionista ha l’onere di allegare e provare, dimostrando il valore economico dell'”opzione d’acquisto”, in relazione “ai diversi fattori che possono avere influenzato l’andamento della quotazione di borsa delle azioni di cui si discute nel periodo considerato, tenendo conto dei criteri di determinazione del prezzo dell’offerta pubblica obbligatoria che avrebbe dovuto essere promossa.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Sentenza 25 luglio 2018, n. 19741
Data udienza 24 aprile 2018
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11197/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso principale;
– controricorrente ai ricorsi incidentali –
avverso la sentenza n. 4298/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2018 dal cons. DI MARZIO MAURO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione dei ricorsi incidentali, assorbimento del principale;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso principale;
udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale (OMISSIS), l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;
udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale (OMISSIS), l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso, ed il rigetto del ricorso principale.
FATTI DI CAUSA
1. – (OMISSIS) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano (OMISSIS) S.p.A., (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A. e, premettendo di essere stato azionista di (OMISSIS) S.p.A., ha chiesto condanna delle societa’ convenute al risarcimento del danno subito in conseguenza della violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto totalitaria previsto dall’articolo 106, del testo unico della finanza, obbligo insorto a seguito dell’acquisto da parte di (OMISSIS) S.p.A., anche mediante il concerto delle altre due convenute, di una partecipazione in (OMISSIS) S.p.A. eccedente la soglia normativamente prevista del 30%.
2. – Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale adito ha accolto la domanda, ritenendo che le tre convenute avessero effettivamente dato luogo ad un concerto attraverso il quale (OMISSIS) S.p.A. era venuta a detenere una partecipazione superiore alla soglia indicata, quantificando il danno subito dal (OMISSIS) nella misura di Euro 982.940,00, pari alla differenza tra il prezzo delle azioni in sede di offerta pubblica di acquisto ed il valore di mercato del titolo al 18 febbraio 2002, ossia alla data in cui era insorto l’obbligo di dar corso all’offerta.
3. – Contro la sentenza hanno proposto appello sia (OMISSIS) S.p.A., anche quale incorporante (OMISSIS) S.p.A., che (OMISSIS) S.p.A., mentre il (OMISSIS) ha resistito all’impugnazione.
4. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 10 novembre 2015, ha parzialmente accolto gli appelli, riducendo l’importo riconosciuto a titolo di risarcimento ad Euro 683.515,00.
A fondamento della decisione la Corte territoriale ha premesso di essere chiamata a pronunciare su due punti, quello della fondatezza della pretesa risarcitoria dell’attore per violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto e quello della prova della pretesa risarcitoria e, dunque, della determinazione del quantum debeatur.
Con riguardo al primo aspetto la sentenza impugnata ha richiamato alcune decisioni di questa Corte rese sulla medesima vicenda, ma su domanda di diversi attori.
Con riguardo al secondo aspetto, poi, la Corte milanese ha fatto propria, trascrivendone alla lettera alcune pagine, la quantificazione del danno risultante dalla disposta consulenza tecnica d’ufficio, la quale aveva tenuto presente due criteri liquidatori, quello del “danno immediato”, commisurato al differenziale tra il prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa, pari a Euro 7,65 per azione, al netto delle commissioni di negoziazione, e del valore attribuito alle azioni in sede di fusione (OMISSIS), e quello del “danno realizzato”, pari al differenziale tra il medesimo prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa, al netto delle commissioni di negoziazione, ed il valore unitario finale dei titoli detenuti dal cliente, quantificando infine il danno nella somma del 50% del “danno immediato” e del 50% del “danno realizzato”.
Trascritte le considerazioni del consulente tecnico d’ufficio, la Corte territoriale ha ritenuto “non accoglibili le osservazioni svolte nelle comparse e repliche (in quanto riguardano aspetti gia’ considerati e risolti dalla Corte di cassazione o dal CTU)”, giudicando altresi’ “assorbito e in ogni caso rigettato ogni altro motivo d’appello (principale e incidentale)”.
4. – Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per tre motivi illustrati da memoria.
(OMISSIS) S.p.A., gia’ (OMISSIS) S.p.A., e (OMISSIS) S.p.A. hanno resistito con controricorso e proposto ciascuna ricorso incidentale per quattro motivi. Entrambe hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso principale contiene tre motivi con cui il (OMISSIS)
denuncia:
i) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello aderito alle conclusioni della seconda relazione di consulenza tecnica d’ufficio omettendo di prendere posizione sulle censure mosse a detta consulenza, censure sulle quali neppure il consulente si era pronunciato;
ii) il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1223 c.c. per avere la Corte d’appello parametrato il risarcimento del danno spettante all’azionista di minoranza in conseguenza del mancato lancio dell’offerta pubblica di acquisto obbligatoria a valori diversi da quelli azionari di borsa;
iii) il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1223 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente imputato le spese di negoziazione delle azioni a riduzione del danno patito dal ricorrente.
I tre motivi formulano sotto il duplice profilo del vizio motivazionale e della violazione di legge censure concernenti i medesimi aspetti, ossia la quantificazione del danno da mancato lancio dell’offerta pubblica di acquisto, poiche’ ancorata a criteri errati, in quanto basati non gia’ sul reale valore delle azioni, ma su un loro valore fittizio, e per avere la sentenza posto a carico di esso (OMISSIS) le spese di negoziazione dei titoli.
2. – I motivi, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, sono palesemente fondati nel senso che segue.
2.1. – Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che il danneggiato da mancato lancio dell’Opa subisce un danno che non puo’ farsi “coincidere in modo necessario ed automatico con il risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l’offerta vi fosse stata e fosse stata accettata”, giacche’, nel frangente considerato, il pregiudizio patito dall’azionista consiste in una perdita di chance – e’ chiaro il riferimento ad essa laddove, in Cass. 10 agosto 2012, n. 14392, da cui sono tratte le citazioni qui virgolettate, si fa riferimento alla sua nozione, mutuata alla lettera, ad esempio, da Cass. 11 dicembre 2003, n. 18945, secondo cui la chances “non e’ una mera aspettativa di fatto ma un’entita’ patrimoniale a se’ stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione” -, ossia nella perdita della possibilita’ di disinvestimento “che l’offerta pubblica avrebbe dovuto assicurare e che, proprio in quanto l’offerta non v’e’ stata, non e’ mai invece venuta ad esistenza”. Tale danno collocandosi dal versante del mancato conseguimento di un vantaggio, quale quello che l’azionista avrebbe potuto conseguire se l’Opa fosse stata lanciata ed egli vi avesse aderito, si configura dunque come lucro cessante ipotetico. Danno, quello menzionato, che l’azionista ha l’onere di allegare e provare, dimostrando il valore economico dell'”opzione d’acquisto”, in relazione “ai diversi fattori che possono avere influenzato l’andamento della quotazione di borsa delle azioni di cui si discute nel periodo considerato, tenendo conto dei criteri di determinazione del prezzo dell’offerta pubblica obbligatoria che avrebbe dovuto essere promossa”.
Successivamente e’ stato ulteriormente chiarito che la valutazione non va rapportata esclusivamente al momento in cui si consuma la violazione dell’obbligo di lancio dell’Opa, essendo “almeno astrattamente possibile ipotizzare un’incidenza di quegli eventi successivi sul valore di borsa dei titoli rimasti nel portafoglio di detti azionisti in termini di compensatio lucri cum damno ove ve ne siano le condizioni” (Cass. 26 settembre 2013, n. 22099; v. pure Cass. 10 febbraio 2016, n. 2665; Cass. 13 ottobre 2015, n. 20560). Ne discende che il danno da perdita di chance di disinvestimento patito dall’azionista, percio’ commisurato alle probabilita’ che l’azionista avrebbe aderito all’Opa che non ha invece avuto luogo, va determinato raffrontando il prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa con il loro valore effettivo, ritratto dalle risultanze di borsa, secondo il successivo andamento del titolo, nell’arco temporale intercorrente tra il giorno in cui si e’ consumata la violazione dell’obbligo di Opa e quello del disinvestimento (se vi e’ stato, ovvero in caso contrario della proposizione della domanda risarcitoria), nella misura in cui, in applicazione dei principi generali, il pregiudizio patito dall’azionista si collochi sul piano delle conseguenze immediate e dirette alla violazione dell’obbligo di Opa, il tutto sempre nei limiti della prevedibilita’, salvo non si versi in caso di dolo, e se del caso con liquidazione equitativa, escluso in tutto o in parte, in presenza dei relativi presupposti, il risarcimento in ipotesi di concorso del fatto colposo del creditore.
2.2. – E’ poi scontata l’affermazione, gia’ contenuta nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “la valutazione della sufficienza delle prove offerte e la concreta individuazione del danno risarcibile competono, ovviamente, al giudice di merito” (Cass. 26 settembre 2013, n. 22099).
Occorre aggiungere, ora, che altrettanto ovviamente la liquidazione del danno e’ si’ rimessa al giudice di merito, ma a condizione che sia sostenuta da una motivazione tale da collocarsi al di sopra del limite minimo oltre il quale ogni controllo della Corte di cassazione e’ interdetto, limite che, a seguito della riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, discende dalla riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione, sicche’ e’ denunciabile in cassazione solo – ma almeno in tal caso e’ pur sempre denunciabile – la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa cioe’ qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Orbene, pur nel quadro e nei limiti di applicazione del vigente n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, occorre allora mantener fermo il principio secondo cui e’ affetta da vizio di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non le abbia in alcun modo prese in considerazione e si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza medesima (Cass. 1 marzo 2007, n. 4797; Cass. 24 aprile 2008, n. 10688; Cass. 21 novembre 2016, n. 23637): cio’, beninteso, quando il semplice rinvio per relationem alla consulenza tecnica, ovvero, come nel caso in esame, la sua piu’ o meno integrale trascrizione, si traduca in una motivazione affetta da deficienze talmente gravi quali quelle poc’anzi menzionate.
2.3. – Nel caso in esame, quindi, e’ agevole osservare che la Corte milanese e’ pervenuta alla liquidazione del danno patito dal (OMISSIS) attraverso l’acritico recepimento di un ragionamento del consulente tecnico d’ufficio, debitamente ed analiticamente censurato, che, discostandosi dalle indicazioni di questa Corte, secondo cui il danno va rapportato al differenziale tra il prezzo da praticarsi con l’Opa ed il valore effettivo del titolo, si connota per il suo carattere in parte oscuro, in parte insostenibile ed in parte arbitrario.
La Corte d’appello, nonostante le obiezioni indirizzate dalle societa’ appellanti alla consulenza tecnica d’ufficio espletata, ha difatti recepito, senza nulla aggiungere, il simultaneo impiego:
-) del parametro del “danno immediato”, la cui consistenza teorico-scientifica rimane ignota, rapportato al differenziale tra il prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa ed il prezzo applicato in sede di fusione (OMISSIS), prezzo, quest’ultimo, fittiziamente fissato dalle parti interessate, giacche’, secondo quanto lo stesso consulente tecnico ha riconosciuto, esso era meramente “”dottrinale” ma non utilizzabile per la valutazione del portafoglio dell’avv. (OMISSIS)”, mentre altro ed inferiore era il prezzo praticato nelle contrattazioni borsistiche, sicche’ non v’era modo per il (OMISSIS) di realizzare detto prezzo, meramente “dottrinale”, attraverso la dismissione delle proprie azioni, con l’ulteriore conseguenza che la Corte d’appello, neppure tentando una giustificazione della soluzione adottata, ha impiegato un criterio manifestamente irrazionale;
-) del parametro del “danno realizzato”, rapportato al differenziale tra il prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa ed un “valore finale includente i vantaggi”, quantificato in Euro 5,12, a fronte di un “valore medio di mercato includente i vantaggi”, indicato in Euro 4,08, senza che riesca affatto ad intendersi in qual modo, specificamente, si giustifichi la lievitazione di detto ultimo valore, il valore medio di mercato – che, tra l’altro, era il valore che la stessa Corte d’appello aveva chiesto di determinare, come risulta dai quesiti rivolti dal CTU riportati a pagina 11 della sentenza, mutando poi orientamento senza dar conto del perche’ -, cosi’ da ascendere all’importo infine sottratto dal prezzo di rimborso in caso di Opa.
Dopo di che, rimane avvolto nel mistero il perche’ il consulente tecnico d’ufficio, e conseguentemente il giudice, abbia combinato al 50% i due fattori: si tratta qui di una scelta arbitraria, oltre che incomprensibile.
Parimenti assurdo, sul piano della piu’ elementare logica, l’addebito al (OMISSIS) di sei centesimi per ogni azione a titolo di commissioni di negoziazione. E’ lo stesso consulente tecnico d’ufficio ad aver riconosciuto, a pagina 26 della seconda relazione che: “Nel caso in cui si fosse proceduto alla consegna dei titoli per esecutivita’ dell’Opa, l’avvocato (OMISSIS) avrebbe avuto un ulteriore beneficio (o vantaggio) rispetto alla vendita degli stessi sul mercato. Infatti lo stesso non avrebbe sopportato le commissioni alle spese dovute”. Dopo di che il consulente tecnico, sia nel calcolare il “danno immediato”, sia nel calcolare il “danno realizzato”, ha scomputato dal prezzo di rimborso delle azioni in caso di Opa anche l’importo delle commissioni di negoziazione, quando detta somma si colloca con tutta evidenza dal versante del pregiudizio, non certo del vantaggio, trattandosi di somma che il (OMISSIS), se l’Opa fosse stata lanciata ed egli vi avesse aderito, non avrebbe pagato.
In tale contesto, il supporto motivazionale di cui la Corte d’appello ha munito la propria decisione, a fronte delle obiezioni rivolte alla consulenza tecnica d’ufficio, si riassume nell’affermazione secondo cui esse avrebbero riguardato “aspetti gia’ considerati e risolti dalla Corte di cassazione o del CTU”, senza ulteriori delucidazioni, il che equivale a non aver dato la benche’ minima risposta.
Nel complesso, in definitiva, la motivazione addotta dal giudice di merito in punto di determinazione del quantum riesce ad essere nello stesso tempo meramente apparente, giacche’ non risponde alle critiche alla consulenza tecnica d’ufficio, e tutt’affatto perplessa ed obiettivamente incomprensibile, laddove recepisce il ragionamento oscuro, insostenibile ed arbitrario del consulente tecnico.
3. – Le societa’ controricorrenti hanno proposto ricorso incidentale per quattro motivi, sovrapponibili, con cui hanno lamentato che la Corte d’appello avesse totalmente omesso di rispondere a quattro motivi di impugnazione da esse spiegati, in particolar modo concernenti:
i) la decadenza del (OMISSIS) dalla facolta’ di depositare atti e produrre documenti a decorrere dal 6 febbraio 2006;
ii) il difetto di legittimazione attiva del (OMISSIS), dal momento che le azioni appartenevano non a lui ma ad una societa’;
iii) la posizione ricoperta dal (OMISSIS), quale amministratore delegato e componente del consiglio di amministrazione di (OMISSIS);
iv) l’exceptio doli nonche’ il concorso di colpa dello stesso (OMISSIS).
4. – I ricorsi incidentali sono anch’essi palesemente fondati.
I motivi sopra menzionati erano stati effettivamente formulati da entrambe le societa’.
In proposito la Corte d’appello si e’ limitata a ritenere “assorbito e in ogni caso rigettato ogni altro motivo d’appello (principale e incidentale)” (pagina 28 della sentenza), senz’altro aggiungere.
Cio’ vuol dire che i motivi non sono stati punto esaminati, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
5. – Accolti il ricorso principale e quelli incidentali, la sentenza e’ cassata e rinviata alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che si atterra’ a quanto dianzi indicato e provvedera’ anche alla liquidazione delle spese di lite del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale e quelli incidentali, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.