la sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta, per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipata della cosa, l’obbligo di restituzione, a norma dell’articolo 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (condictio indebiti ob causam finitam), non un’obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo successivo al compimento della prescrizione. Il principio vale certamente anche per il caso di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, dovendosi ritenere che la retroattivita’ della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’articolo 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni gia’ eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito.Dovendosi ricondurre la fattispecie nella figura dell’indebito oggettivo, ne consegue l’insorgenza dell’obbligo di corrispondere i frutti per l’anticipato godimento dell’immobile promesso in vendita, a norma dell’articolo 2033 c.c..

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|31 maggio 2022| n. 17559

Data udienza 5 ottobre 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26853/2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1790/2014 della Corte di appello di Reggio Calabria depositata il 3 novembre 2014;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2021 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. PEPE Alessandro, visto il Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 29 ottobre 2004, (OMISSIS) evocava, dinanzi al Tribunale di Palermo, (OMISSIS) chiedendone la condanna al pagamento dell’indennita’ di occupazione di immobile di cui aveva avuto la disponibilita’ a seguito di stipula di contratto preliminare di compravendita del 25.02.1985, concluso fra le medesime parti – contratto risolto per inadempimento dello stesso attore/promittente venditore con sentenza della Corte di appello di Palermo n. 104/2002, che aveva disposto altresi’ la restituzione della somma ricevuta a titolo di acconto pari ad Euro 25.822,84 – lamentando che dal preliminare e fino al 23.03.2004, data in cui l’immobile era stato pignorato su iniziativa dello stesso (OMISSIS), il bene era stato nel possesso del convenuto, senza che al proprietario venisse corrisposto alcunche’ a titolo di occupazione, versando peraltro l’immobile in assoluto stato di degrado.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale eccepiva in via pregiudiziale che la questione posta era coperta dal giudicato formatosi sul punto a seguito della sentenza della Corte di appello indicata, il giudice adito, espletata istruttoria, anche con c.t.u., con sentenza n. 1471 del 27.03.2009, rigettata l’eccezione di giudicato, condannava il convenuto al pagamento della somma di Euro 49.865,22, oltre accessori, respinta la domanda di risarcimento dei danni.

In virtu’ di rituale appello interposto dal (OMISSIS), il quale insisteva tra l’altro – nell’eccezione di giudicato, in quanto la corte di merito aveva omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda proposta dal (OMISSIS) di condanna dell’appellante al rilascio dell’immobile ed al pagamento dell’indennita’ di occupazione dal 30.03.1987 alla data di effettivo rilascio, la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, il quale proponeva anche appello incidentale sul quantum liquidato, in parziale accoglimento del solo gravame principale (motivo sette), disponeva la parziale compensazione dell’importo riconosciuto per indennita’ di occupazione con quello dovuto dal (OMISSIS) a titolo di restituzione dell’acconto del prezzo di acquisto, confermata per il resto la decisione di primo grado.

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che in ipotesi di omessa pronuncia su una domanda, ove non ricorrevano gli estremi di una reiezione implicita, ne’ l’assorbimento della questione pretermessa nella decisione di altra domanda, spettava alla parte la facolta’ alternativa di far valere la omissione in sede di gravame o di riproporre la domanda in separato giudizio. Ne’ nella specie trovava applicazione la fattispecie di cui all’articolo 1148 c.c., relativa all’obbligo del possessore in buona fede, stante il principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui nel preliminare ad effetti anticipati la disponibilita’ del bene viene conseguita dal promissario acquirente a titolo di detenzione.

Disponeva, inoltre, la compensazione delle somme da versare reciprocamente, non sussistendo contrasto fra le parti sul punto.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base di tre motivi, rimasto intimato il (OMISSIS) non regolarmente evocato in giudizio.

Fissata pubblica udienza all’8 ottobre 2019, veniva disposta con ordinanza interlocutoria la rinnovazione della notificazione del ricorso agli eredi di (OMISSIS), risultato deceduto.

In esito all’adempimento da parte del ricorrente veniva nuovamente fissata udienza per il 23 settembre 2020, cui seguiva ulteriore rinvio a nuovo ruolo – con ordinanza n. 11185 del 2021 – per acquisire la prova ovvero per perfezionare la notificazione nei confronti di (OMISSIS), quindi la causa veniva posta in discussione alla pubblica udienza del 5 ottobre 2021, rimasti intimati gli eredi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per la decisione allo stato degli atti all’udienza del 5 maggio 2021, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020.

In prossimita’ della pubblica udienza parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa e (OMISSIS) ha fatto pervenire atto di accettazione dell’eredita’ del padre con beneficio di inventario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli articoli 324 e 346 c.p.c., e articolo 2909 c.c., nonche’ degli articoli 112, 167, 132 e 277 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte di appello erroneamente ritenuto che la pronuncia n. 104/2002 della stessa Corte, risolutiva del contratto preliminare stipulato fra le parti, con condanna a favore del (OMISSIS) alla restituzione della somma di Euro 25.822,84 ricevuta a titolo di acconto, non contenesse una statuizione implicita di rigetto della domanda di pagamento dell’indennita’ di occupazione dell’immobile promesso in vendita giacche’ l’accoglimento della prima domanda non presupponeva sul piano logico-giuridico l’implicito rigetto della seconda, che era fondata su presupposti di fatto e giuridici del tutto estranei alla domanda accolta. Ad avviso del ricorrente siffatta statuizione viola il principio del ne bis in idem con riferimento al giudizio intrapreso dal (OMISSIS) a distanza di due anni a seguito del pignoramento eseguito sull’immobile del (OMISSIS), essendo comuni allo stesso sia i soggetti che il petitum e la causa petendi.

Il motivo e’ privo di pregio.

Va al riguardo precisato che, a fronte delle domande formulate dal (OMISSIS) in qualita’ di attore, i cui eredi sono gli odierni resistenti – di risoluzione del contratto preliminare di vendita stipulato il 25.02.1985 per inadempimento del promissario acquirente, con conseguente condanna del medesimo al rilascio dell’immobile del quale aveva avuto la detenzione fin dalla conclusione dell’accordo, oltre alla corresponsione dell’indennita’ di occupazione – nonche’ dell’odierno ricorrente ed allora convenuto ed attore in via riconvenzionale (OMISSIS) (che oltre alla risoluzione chiedeva la restituzione della somma versata a titolo di acconto, pari ad Euro 25.822,84), con sentenza n. 104 del 2002 la Corte di appello si e’ limitata a risolvere il contratto preliminare per inadempimento dello stesso (OMISSIS), condannandolo alla restituzione in favore del promissario acquirente dell’acconto ricevuto, senza pronunziare espressamente ovvero implicitamente in ordine alla sopra riportata domanda di indennita’ di occupazione.

La detta pronunzia non veniva impugnata.

Con successiva domanda notificata nel 2004 il (OMISSIS) adiva nuovamente il Tribunale di Palermo chiedendo condannarsi il (OMISSIS) al pagamento dell’indennita’ di occupazione dell’immobile de quo, del quale aveva avuto la disponibilita’ a seguito del contratto del 25.02.1985 concluso dalle parti.

Nel disattendere l’eccezione di giudicato sollevata dal (OMISSIS), a chiusura del primo grado del presente procedimento, il Tribunale di Palermo ha ritenuto proponibile la domanda, in quanto non esaminata nella sentenza inter partes della Corte di appello di Palermo n. 104/2002 (e prima ancora dallo stesso Tribunale) e percio’ non preclusa dal giudicato formatosi in ordine alla medesima pronunzia, siccome correttamente evidenziato dallo stesso attore. Il giudice di prime cure accoglieva poi nel merito la domanda e riconosceva un’indennita’ di Euro 49.865,22, oltre accessori, respinta la domanda di risarcimento dei danni.

In sede di gravame la Corte d’Appello di Palermo ha confermato il rigetto dell’eccezione di giudicato, evidenziando che in ipotesi di omessa pronuncia su una domanda, non ricorrendo gli estremi di una reiezione implicita, ne’ l’assorbimento della questione pretermessa nella decisione di altra domanda, spettava alla parte la facolta’ alternativa di far valere l’omissione in sede di gravame ovvero di riproporre la domanda in separato giudizio e l’attore aveva optato per la seconda soluzione.

Cosi’ ricostruita la vicenda processuale, va anzitutto premesso che l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, e’ in effetti rimessa al giudice del merito (v. da ultimo, Cass. n. 6675 del 2018), anche di appello (v. Cass. n. 24288 del 2015), ed e’ sindacabile in sede di legittimita’ solamente ove ridondi in un vizio di nullita’ processuale che puo’ essere dedotto come vizio di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, che puo’ essere prospettato come vizio di nullita’ processuale ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ovvero quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, oppure la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oppure quale vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 11103 del 2020).

Peraltro, quanto alla problematica in materia di attribuzioni del giudice di legittimita’ riguardo all’identificazione dell’oggetto del giudizio, la Corte di Cassazione deve procedere all’esame e alla valutazione diretta degli atti sia quando si prospetti che il giudice di merito abbia del tutto trascurato determinate richieste ovvero abbia pronunziato su domande che non risultano proposte o ultra petita e manchi un sia pur sintetico contributo sul piano ermeneutico del giudice di merito, sia quando in sede di legittimita’ si constati, attraverso il controllo della correttezza e logicita’ della motivazione, la censurabilita’ in concreto dell’operato del giudice di merito nella interpretazione delle domande. In ambedue i casi, infatti, si prospetta concretamente la violazione dell’articolo 112 c.p.c., e la sussistenza del relativo error in procedendo (v. Cass. n. 17307 del 2002).

Sotto altro profilo, costituisce principio pacifico quello secondo cui il contenuto e la portata precettiva di qualsiasi pronunzia giudiziaria devono essere accertati sulla base del dispositivo e della motivazione (v. Cass. n. 24749 del 2014), sicche’ la portata del giudicato – sia esso esterno od interno – va effettuata con riferimento non soltanto al dispositivo della sentenza ma anche alla motivazione di quest’ultima, non potendo escludersi nemmeno la correttezza di un’indagine diretta ad attribuire rilevanza integratrice alle stesse domande delle parti, nell’assenza di altri elementi idonei ad escludere un’obiettiva incertezza sul contenuto della pronunzia (di recente, v. Cass. n. 12752 del 2018).

Ancora, va precisato che il giudicato, sia esso interno od esterno, costituendo la regola del caso concreto, partecipa della qualita’ dei comandi giuridici, conseguendone che, come la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto ma deve essere assimilata – per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce – all’interpretazione delle norme giuridiche, cosi’ l’erronea presupposizione della sua esistenza o inesistenza, equivalendo ad ignoranza della regula iuris, rileva non gia’ quale errore di fatto bensi’ quale errore di diritto, assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo, consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca, invece, la sua diretta disciplina, e, quindi, ad una falsa applicazione di norma di diritto (ex multis, Cass., Sez. Un., n. 10242 del 2021; Cass., Sez. Un., n. 23242 del 2005; Cass., Sez. Un., n. 21639 del 2004; Cass., Sez. Un., n. 5105 del 2003). Va ulteriormente posto in rilievo che al fine di verificare se si sia formato un giudicato, interno od esterno, che e’ obbligata a rilevare anche d’ufficio (a prescindere cioe’ da qualsiasi istanza di parte che, se avanzata, vale quale mera sollecitazione all’esercizio di poteri officiosi), la Corte di Cassazione procede al relativo accertamento con cognizione piena, che comprende la diretta valutazione ed interpretazione degli atti del processo, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito (v. Cass. n. 11346 del 2006 e Cass. n. 12157 del 2007).

Orbene, nel caso in esame il ricorrente ha dedotto la violazione di legge, anche ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., in ordine al giudicato sulla pronunzia della Corte di appello di Napoli n. 104 del 2002 relativamente alla formulata richiesta di corresponsione di indennita’ di occupazione quale restituzione dell’indebito oggettivo conseguente alla risoluzione del contratto preliminare de quo.

Stante il tenore delle doglianze, riguardate alla stregua dei suesposti principi, va osservato che diversamente da quando sostenuto dal ricorrente, il giudicato non puo’ dirsi formato sulla pronunzia di indennizzo da occupazione quale conseguenza della risoluzione del medesimo contratto, e a fortiori in ordine a quelle enunciazioni che, come nel caso in esame, non hanno una connessione logico-giuridica con le statuizioni – anche implicite – del dispositivo (v. gia’ Cass. n. 3126 del 1962; piu’ di recente, Cass. n. 22854 del 2019), per cui va escluso che la Corte di appello di Palermo con la sentenza n. 104 del 2002 abbia pronunziato (anche) sulla domanda di indennita’ da occupazione e di risarcimento dei danni dal (OMISSIS) proposta avanti al primo giudice essendo, di converso, incorsa la decisione nel vizio di omessa pronuncia.

Infatti nella specie la richiesta di indennizzo si aggiungeva alla domanda principale di risoluzione del contratto preliminare in tale sede spiegata in termini non gia’ limitati alle restituzioni conseguenti allo scioglimento del vincolo negoziale, bensi’ ad integrale ristoro dei danni lamentati, con quantificazione da precisarsi in corso di giudizio.

Emerge allora evidente al riguardo, da un canto, che quando la sentenza di primo grado manchi di statuire su una delle domande introdotte in causa (e non ricorrono gli estremi di una sua reiezione implicita, ne’ risulti che la stessa sia rimasta assorbita dalla decisione di altra domanda da cui dipenda) deve riconoscersi alla parte istante la facolta’ di far valere tale omissione in sede di gravame, ovvero, in alternativa, di riproporre – come appunto nel caso che ne occupa – la domanda in separato giudizio, considerato che la rinunzia implicita alla domanda stessa di cui all’articolo 346 c.p.c., per non avere denunciato quell’omissione in appello, ha valore processuale e non anche sostanziale. Con la conseguenza che, stante la menzionata facolta’ di scelta, nel separato giudizio non e’ opponibile il giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa pronunzia.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 324 c.p.c., e dell’articolo 2033 c.c., nonche’ degli articoli 1148, 1458 e 2909 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, per essere stata erroneamente determinata la data di decorrenza dell’obbligo del (OMISSIS) di restituzione dei frutti civili e degli interessi dalla data di stipula del preliminare di compravendita e non dalla data della domanda giudiziale di restituzione.

Il motivo e’ inammissibile in quanto riformula la medesima questione di merito gia’ fatta valere in appello, senza confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Infatti la Corte distrettuale dopo avere rilevato che l’appellante, con il secondo motivo di impugnazione, si limitava a riproporre le tesi esposte in primo grado sulla pretesa prescrizione dell’azione esercitata dal (OMISSIS) e sulla decorrenza dell’obbligo di restituzione dei frutti civili, dopo avere riferito anche le statuizioni sul punto del giudice di prime cure (v. pag. 6 della decisione impugnata), ha statuito l’inammissibilita’ della censura per difetto di specificita’ (v. pag. 8 della sentenza).

E’ chiaro che tale censura non riguarda minimamente la specificita’ della contestazione, ma delle questioni di merito, per cui rispetto a tale ratio risulta inammissibile giacche’ riformula le originarie tesi difensive, senza tenere in alcun conto la valutazione di genericita’ del motivo di appello fatta dal giudice distrettuale.

In altri termini, il ricorrente non pone a critica l’autonoma ratio decidendi che aveva reputato inammissibile, ex articolo 342 c.p.c., il motivo di appello relativo al rigetto da parte del primo giudice dell’eccezione di prescrizione e della critica quanto al dies a quo per il computo della restituzione dei frutti civili e degli interessi.

Con il terzo mezzo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2697 e 2721 c.c., e articolo 2724 c.c., n. 2, e degli articoli 115 e 253 c.p.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per non avere la corte di merito ammesso le prove per testi che tendevano a dimostrare la restituzione dell’immobile all’appellato. Analogo rilievo viene effettuato con riferimento al mancato accoglimento della richiesta di rinnovo della c.t.u..

La censura e’ fondata nei limiti di seguito esposti.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’e’ ragione di discostarsi, nella promessa di vendita, quando viene pattuita la consegna anticipata del bene, ossia prima della stipula del contratto definitivo, la relazione che si instaura tra la cosa e il promissario acquirente e’ qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso (Cass., Sez. Un., n. 7930 del 2008; Cass. n. 5211 del 2016).

La Corte di appello, pertanto, correttamente non ha fatto applicazione dell’articolo 1148 c.c., non avendo affatto ritenuto sussistente il possesso in capo al promissario acquirente, ma implicitamente dell’articolo 2033 c.c., che disciplina l’indebito oggettivo, a tenore del quale “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere cio’ che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in malafede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”.

Sul punto, va ricordato che questa Suprema Corte ha affermato che la sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta, per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipata della cosa, l’obbligo di restituzione, a norma dell’articolo 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (condictio indebiti ob causam finitam), non un’obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo successivo al compimento della prescrizione (Cass. n. 16629 del 2013; Cass. n. 6576 del 2017).

Il principio vale certamente anche per il caso di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, dovendosi ritenere che la retroattivita’ della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’articolo 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni gia’ eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito (v. in tema di indebito oggettivo, tra le altre, Cass. n. 17558 del 2006; Cass. n. 7083 del 2006).

Dovendosi ricondurre la fattispecie nella figura dell’indebito oggettivo, ne consegue l’insorgenza dell’obbligo di corrispondere i frutti per l’anticipato godimento dell’immobile promesso in vendita, a norma dell’articolo 2033 c.c..

Posta, allora, la correttezza dell’inquadramento giuridico operato dalla Corte territoriale, per essersi determinata nella specie una situazione in tutto simile a quella di cui all’articolo 2033 c.c., verificatasi per il venire meno della causa ovvero del titolo originario del rapporto, con la conseguenza che l'”accipiens” deve restituire cio’ che ha ricevuto in dipendenza del rapporto medesimo con i relativi (eventuali) “frutti”, occorre pero’ chiarire che essendo in origine l’occupazione dell’immobile fondata su titolo contrattuale, avvenuta la consegna per volonta’ dello stesso proprietario, gravava sull’attore medesimo l’onere della prova del rifiuto che pure ha allegato essere stato opposto dal (OMISSIS) alla richiesta di restituzione dell’immobile, incontestata la consegna, quale ulteriore circostanza oggetto di prova (v. in tal senso, Cass. n. 21853 del 2020).

E d’altro canto il ricorrente, pur non essendone onerato, aveva articolato capitolo di prova testimoniale che si puo’ definire “contraria” volta proprio alla dimostrazione della intervenuta restituzione del bene quanto meno in corso di giudizio.

Di tutto questo la Corte di appello non ha tenuto conto ai fini della determinazione del dies ad quem, rilevante per la liquidazione dei frutti. In definitiva, va accolto il terzo motivo nei limiti di cui in motivazione, rigettati i primi due.

La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta con rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che provvedera’ alla determinazione dei frutti civili alla luce dei principi sopra illustrati.

Al giudice di rinvio e’ demandata, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.