In tema di spese giudiziali civili, il principio della soccombenza, in forza del quale si attribuisce l’onere di pagamento delle spese, deve essere apprezzato in base all’esito finale della lite, alla stregua di una valutazione globale ed unitaria, senza considerare le varie fasi o i vari gradi del giudizio, sicche’ non puo’ considerarsi (nemmeno in minima parte) soccombente la parte la cui domanda sia stata integralmente accolta, pur dopo (e nonostante) il rigetto di una istanza cautelare formulata in corso di causa.

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Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Ordinanza|17 novembre 2022| n. 33925

Data udienza 11 ottobre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16441/2020 R.G. proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), in difetto di domicilio eletto in ROMA, domiciliata per legge ivi presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 255/2020 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA, depositata il giorno 28 gennaio 2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2022 dal Consigliere ROSSI RAFFAELE.

FATTI DI CAUSA

1. Il giorno 31 luglio 2012 (OMISSIS) e (OMISSIS) sottoscrissero innanzi l’Organismo di mediazione forense presso il Tribunale di Bassano del Grappa un accordo, rubricato “divisione di un immobile in comproprieta’ ed altresi’ divisione di beni mobili (nella fattispecie mobili di antiquariato)”, nel quale, oltre all’obbligo di stipulare contratto definitivo di compravendita dell’immobile, era contenuta, circa i beni mobili, la seguente pattuizione: “in riferimento alla divisione dei beni mobili di cui all’allegato elenco le parti dichiarano di aver gia’ concordato la divisione con le modalita’ in esso concordate”.

2. In forza di detto accordo, omologato ai sensi del Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28, articolo 12 dal Tribunale di Bassano del Grappa, (OMISSIS) intimo’ a (OMISSIS) precetto per la consegna di beni mobili.

3. L’intimata reagi’ proponendo opposizione ex articolo 615 c.p.c., comma 1, assumendo l’inesistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata e l’impignorabilita’ di alcuni beni.

4. L’opposizione e’ stata accolta in ambedue i gradi di merito.

5. Avverso la decisione resa in appello in epigrafe indicata ricorre per cassazione (OMISSIS), affidandosi a tre motivi, cui resiste, con controricorso, (OMISSIS).

6. Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 112, 277 e 480 c.p.c., dell’articolo 1372 c.c. e del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 12, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ad avviso del ricorrente, il verbale di mediazione (di cui “il precetto era figlio”), sottoscritto dalle parti e corredato dell’elenco dei beni da dividere, ha efficacia di titolo esecutivo, per effetto della disposta omologa, in alcun modo giudizialmente contestata, con l’effetto di rendere “inoppugnabile” il titolo esecutivo ed incontestabile il precetto.

1.1. La censura non puo’ trovare accoglimento.

Per scolastica nozione, costituisce titolo esecutivo il provvedimento o l’atto incluso nel catalogo, tassativo e tipico, contemplato dall’articolo 474 c.p.c. e da altre specifiche disposizioni di legge (c.d. extravagantes) che incorpori un diritto certo, liquido ed esigibile.

Non (soltanto) dunque la veste formale del documento, ma (anche e soprattutto) il contenuto dello stesso, in quanto rappresentativo di una pretesa creditoria munita delle predette caratteristiche, rileva ai fini dell’idoneita’ esecutiva: in specie, per la qualificazione come titolo esecutivo ed in ossequio al principio di autosufficienza, il documento deve imprescindibilmente individuare – in maniera esatta e compiuta e tale da escludere la necessita’ di ulteriori attivita’ di accertamento cognitivo – il comando da attuare, l’obbligo da realizzare o il bene giuridico da conseguire in via coattiva.

1.2. Nella vicenda, la gravata sentenza ha escluso la natura di titolo esecutivo dell’accordo posto a base dell’opposto precetto.

Cosi’ testualmente argomenta la Corte lagunare: “nel verbale di mediazione (…) con riguardo ai mobili, si da’ atto solo di quali sono i beni mobili oggetto della divisione e del fatto che le parti hanno gia’ raggiunto un accordo sulla loro divisione. Nel testo del verbale di conciliazione non vi e’ il contenuto di questo accordo divisionale riferito ai mobili: non e’ detto a quale tra i due litiganti siano stati assegnati i mobili in elenco, ne’ in tale elenco sono indicati (…) i termini dell’accordo per la divisione dei beni (…) L’unico punto sul quale il verbale 31.7.12 da’ atto che le parti hanno raggiunto un accordo, quanto ai mobili, e’ il fatto che i mobili da dividersi sono quelli in elenco: cio’, evidentemente, non significa che l’appellante possa fondare sul verbale di mediazione la pretesa di ricevere tutti o parte dei beni compresi nell’elenco”.

Con tale argomentazione, il giudice dell’opposizione ex articolo 615 c.p.c., nello svolgere attivita’ di interpretazione del documento assunto come titolo esecutivo, ha – con apprezzamento tipicamente di merito, incensurabile in sede di legittimita’ se esente, come nella specie, da vizi logici o giuridici – ritenuto che il verbale di mediazione non individuasse un obbligo di restituzione dei beni mobili, esattamente e compiutamente determinato nell’an e nell’oggetto della prestazione, sicche’ (e per logica consequenzialita’) ha negato la forzosa azionabilita’ della pretesa fatta valere con il precetto opposto.

1.3. Siffatta valutazione non risulta scalfita dal motivo in esame.

Parte ricorrente invoca, infatti, l’idoneita’ a fini esecutivi dell’accordo di mediazione in quanto oggetto di decreto di omologa giudiziale non impugnato, ascrivendo ad un provvedimento del genere (recte, alla sua mancata contestazione) l’effetto di rendere “inoppugnabile” il titolo esecutivo ed “incontestabile” il relativo precetto.

La doglianza cosi’ articolata e’, per un verso, inammissibile e, comunque e per altro verso, destituita di fondamento.

1.3.1. E’ inammissibile per novita’: il ricorrente non ha specificato con quali atti ed in quali termini abbia introdotto nel thema decidendum del giudizio di merito la questione della valenza del decreto di omologa ne’ dalla gravata sentenza si inferisce la trattazione di essa.

Orbene, secondo il principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, i motivi di ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilita’, questioni gia’ comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto oppure di contestazioni che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio.

Grava pertanto sul ricorrente, onde evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, l’onere non solo di specificare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (sul tema, tra le tantissime, Cass. 30/01/2020, n. 2193; Cass. 13/08/2018, n. 20712; Cass. 31/07/2018, n. 20313; Cass. 06/06/2018, n. 14477).

1.3.2. E’ in ogni caso infondata in diritto.

Il decreto di omologa giudiziale previsto dal Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 12 sottende, per espresso dettato positivo, un controllo di mera regolarita’ formale sull’accordo (dovendo cioe’ il giudice verificare la sottoscrizione ad opera delle parti e di un mediatore inserito in un organismo accreditato) e di generale non contrarieta’ dello stesso alle norme imperative ed all’ordine pubblico: salve queste valutazioni, il decreto non concerne in alcun modo il contenuto delle pattuizioni convenute dalle parti e la coattiva realizzabilita’ di eventuali obblighi assunti, sicche’ non preclude successive ed eventuali contestazioni in a’mbito giudiziale (da far valere con i pertinenti strumenti di tutela) in ordine alla validita’ oppure all’efficacia dell’accordo.

2. Il secondo motivo lamenta violazione o falsa applicazione degli articoli 112, 132, 277 e 480 c.p.c. e del Decreto Legislativo n. 28 del 2010, articolo 12, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Affastellando plurime doglianze afferenti differenti aspetti della vicenda controversa, parte ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia valutato la mutatio libelli operata dalla controparte, benche’ oggetto di rituale eccezione; deduce inoltre che il precetto era legittimo nella parte in cui recava l’intimazione delle spese per la procedura di omologa, sicuramente dovute.

2.1. Le doglianze sono inammissibili.

2.1.1. Ribadito, in linea generale, che l’omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza rappresenta mera irregolarita’ formale, assumendo valenza inficiante soltanto in caso di omissione di pronuncia su domande o eccezioni (v. Cass. 09/05/2018, n. 11150; Cass. 04/02/2016, n. 2237; Cass. 18/09/2015, n. 18609), in ordine alla mancata considerazione della asserita mutatio libelli il ricorso in esame non soddisfa il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilita’ dall’articolo 366, comma 1, num. 3, del codice di rito.

Difetta, in particolar modo, l’illustrazione – mancante pure in forma sintetica – del contenuto dell’originario atto di opposizione della odierna controricorrente, da cui poter inferire i presupposti di fatto e le ragioni di diritto a suffragio della domanda, cioe’ a dire, in sintesi, la causa petendi della opposizione intentata; difetta, altresi’ e del pari, l’illustrazione delle argomentazioni, fattuali e giuridiche, svolte nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6.

La descritta lacunosita’ impedisce a questa Corte una conoscenza chiara ed esaustiva del fatto processuale fonte della doglianza, occorrente per apprezzare il presupposto del supposto error iuris del giudice di merito, cioe’ a dire l’esistenza di una mutatio libelli, la cui verifica richiederebbe, in presenza di un cosi’ generico motivo di ricorso, un (inammissibile per il giudice di legittimita’) accesso agli atti del processo (sul tema, cfr., ex plurimis, Cass. 08/03/2022, n. 7579; Cass. 03/11/2020, n. 24432; Cass. 12/03/2020, n. 7025; Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 28/05/2018, n. 13312; Cass. 24/04/2018, n. 10072).

Ne’ mutatio libelli non valutata dal giudice di merito ed inficiante la decisione puo’ riscontrarsi sulla base del raffronto tra le conclusioni rassegnate nell’atto di opposizione e quelle definitivamente precisate all’esito della udienza ad hoc fissata, dacche’ la domanda formulata (e poi accolta) di declaratoria della inesistenza del diritto a procedere esecutivamente e’ rimasta immutata, mentre sulla differente richiesta di nullita’ dell’omologazione (presente soltanto nelle conclusioni finali) non risulta emessa pronuncia alcuna.

2.1.2. Circa l’intimazione di spese per l’omologa dell’accordo, la gravata sentenza ha cosi’ motivato: “Nel precetto non e’ specificamente indicata una voce relativa alle spese per il procedimento di omologa. Se si tratta di spese comprese tra le spese per il precetto esse non sono dovute in conseguenza della caducazione del precetto stesso”.

A fronte di tale duplice ratio decidendi, il ricorrente:

– da un lato, ancora una volta con carente esposizione del fatto nonche’ in violazione dell’ulteriore requisito della specifica indicazione degli atti processuali su cui il ricorso si fonda (articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), omette di riportare o trascrivere in ricorso (ma anche di precisare la collocazione dell’atto nel fascicolo di ufficio: Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34469) il contenuto dell’atto di precetto, limitandosi a postulare, in frontale ed anapodittica contrapposizione con la sentenza gravata, una separata ed autonoma menzione delle spese per il procedimento di omologa;

– d’altro lato, non attinge criticamente l’ulteriore ragione di non spettanza delle spese (l’intervenuta caducazione del precetto), distinta ed autonoma rispetto alla prima ed ex se giuridicamente idonea e sufficiente a giustificare la decisione adottata.

Queste le cause dell’inammissibilita’ in parte qua del motivo.

3. Il terzo motivo prospetta violazione o falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., articolo 92 c.p.c., comma 2, e articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo il ricorrente, l’opponente non poteva essere considerata totalmente vittoriosa, attesa la reiezione della istanza di sospensione dell’esecutivita’ del titolo, sussistendo invece soccombenza reciproca tra le parti, tale da imporre la compensazione delle spese di lite.

3.1. La doglianza e’ infondata.

In tema di spese giudiziali civili, il principio della soccombenza, in forza del quale si attribuisce l’onere di pagamento delle spese, deve essere apprezzato in base all’esito finale della lite, alla stregua di una valutazione globale ed unitaria, senza considerare le varie fasi o i vari gradi del giudizio, sicche’ non puo’ considerarsi (nemmeno in minima parte) soccombente la parte la cui domanda sia stata integralmente accolta, pur dopo (e nonostante) il rigetto di una istanza cautelare formulata in corso di causa.

Di tale regula iuris ha fatto buon governo il giudice territoriale, il quale, accogliendo l’opposizione di (OMISSIS), ha reputato quest’ultima interamente vittoriosa ai fini del regolamento delle spese di lite, non considerando integrante ragione di soccombenza reciproca il rigetto, in corso di causa, della istanza cautelare di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo posto a base dell’opposto precetto.

4. Il ricorso e’ rigettato.

5. Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza.

6. Atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

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