L’indicazione della persona onorata della disposizione testamentaria, fatta dal testatore in modo impreciso o incompleto, non rende nulla la disposizione qualora dal contesto del testamento o da univoci dati obiettivi sia possibile determinare in modo certo e senza possibilità di equivoci la persona che il testatore ha voluto beneficiare. Invero, solamente laddove dall’esegesi complessiva della scheda testamentaria viene in rilievo la mancanza di una chiara e seria volontà dell’autore, può farsi luogo alla successione legittima, diversamente dovendo essere rispettata la volontà del testatore.

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Eredità e successione ereditaria

Corte d’Appello Napoli, Sezione 2 civile Sentenza 27 gennaio 2017, n. 350

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli – seconda sezione civile, in persona dei Magistrati:

dott.ssa Rosaria Papa Presidente

dott.ssa Etisia Gaviano Consigliere

dott.ssa Maria Teresa Onorato Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 49/2011 R.G. riservata in decisione all’udienza del 12 ottobre 2016 e vertente

TRA

Ba.Vi., De.Fl., e De.Gi., tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato An.Sc. con cui elettivamente domiciliano in Napoli alla via (…) presso lo studio dell’Avvocato Ge.Me., giusta mandato a margine della citazione in appello

APPELLANTI

CONTRO

De.Ni., e De.Co., entrambe rappresentate e difese dall’Avvocato St.Fu. con cui elettivamente domiciliano in Napoli alla via (…) presso lo studio dell’Avvocato Em.Ci., giusta mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale

APPELLATE – APPELANTI INCIDENTALI

OGGETTO: appello avverso sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 536/2010 del 8 dicembre 2009, depositata in data 16 febbraio 2010 e notificata il 3 dicembre 2010 in materia di impugnazione di testamento per violazione dell’art. 692 c.c. e apertura di successione legittima; cautela sociniana ai sensi dell’art. 550 c.c.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione regolarmente notificata Ni. e Co.De. evocavano la madre Ba.Vi. e i germani De.Fl. e Gi. dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere esponendo che il 19 marzo 2006 era deceduto in Caserta il genitore De.Vi. lasciando a sé il coniuge e i quattro figli. Aggiungevano che, con testamento olografo pubblicato l’8 marzo 2007 per notar Fa., il de cuius aveva nominato erede universale la consorte, disponendo che nessuno dei figli potesse intervenire se non dopo la morte di costei, assegnando poi a costoro gli appartamenti in Aversa. Ciò premesso, eccepivano la nullità del testamento per violazione dell’art. 692 ultimo comma c.c. ravvisando nella disposizione un’ipotesi di sostituzione fidecommissaria vietata ovvero per violazione dell’art. 549 c.c. Ad ogni modo, dichiaravano ai sensi dell’art. 550 c.c. di abbandonare la nuda proprietà della porzione disponibile assegnata loro con testamento per ottenere la porzione loro spettante in quanto legittimarie.

Per l’effetto concludevano come segue: “accertarsi e dichiararsi che il testamento olografo del defunto De.Vi., pubblicato in data 08.03.2007 rep. n. 45896 rep., notaio Do.Fa. di Aversa, è nullo perché prevede un’ipotesi di sostituzione fedecommissaria vietata dall’art. 692 ultimo comma c.c. o, in subordine, perché viola l’art. 549 c.c. e non è possibile dare esecuzione diversa alla volontà testamentaria o, in ulteriore subordine, per essere comunque lo stesso incomprensibile e contraddittorio …; accertarsi conseguentemente, sussistendone i presupposti, il diritto delle attrici De.Ni. e De.Co. a succedere quali eredi legittime al defunto genitore De.Vi.; previo accertamento dell’asse ereditario relitto da De.Vi., comprensivo del relictum e del donatum, operata la collazione, tenuto anche conto dei frutti civili ricavati dal godimento esclusivo dei beni da parte degli altri eredi, disporsi la divisione dell’asse ereditario tra i coeredi Ba.Vi., De.Fl., De.Gi., De.Ni. e De.Co., attribuendosi alle attrici in proprietà esclusiva, previo conguaglio e divisione delle somme di denaro, i beni immobili corrispondenti alle loro rispettive quote quali eredi legittime sull’eredità relitta da De.Vi.; in via subordinata, dato atto che De.Co. e De.Ni. intendono abbandonare ai sensi dell’art. 550 c.c. la nuda proprietà dei beni a loro assegnati con il testamento olografo del defunto padre De.Vi. pubblicato in data 08.03.2007 n. 45896 rep., notaio Do.Fa. di Aversa, attribuirsi ala predette De.Co. e De.Ni. la rispettiva quota di legge quali legittimane sull’eredità predetta; previo accertamento dell’asse ereditario relitto da De.Vi., comprensivo del relictum e del donatum, operata la collazione, tenuto anche conto dei frutti civili ricavati dal godimento esclusivo dei beni da parte degli altri eredi, disporsi la divisione dell’asse ereditario tra i coeredi Ba.Vi., De.Fl., De.Gi., De.Ni. e De.Co., attribuendosi alle attrici in proprietà esclusiva, previo conguaglio e divisione delle somme di denaro, i beni immobili corrispondenti alle loro rispettive quote quali eredi legittime; in ogni caso, condannarsi Ba.Vi., De.Fl. e De.Gi. a trasmettere a De.Ni. e De.Co. il possesso sui beni immobili rispettivamente assegnati in proprietà esclusiva a queste ultime ed eventualmente detenuti dai primi; condannarsi Ba.Vi., De.Fl. e De.Gi. a rendere il conto per l’utilizzazione dei beni relitti dal de cuius dal giorno della morte (19.03.2006) al giorno della divisione dei beni stessi tra i coeredi e, quindi, a pagare alle attrici la somma che verrà riconosciuta di giustizia, previo espletamento di C.T.U.; con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre IVA, CIP, percentuale 12,5% spese generali rifuse”.

Si costituivano i convenuti i quali in primo luogo rilevavano come le attrici avessero accettato puramente e semplicemente l’eredità, confermando le disposizioni testamentarie eventualmente nulle, sia con l’avere delegato – in data 14 aprile 2006 – la comune genitrice alla chiusura del conto corrente il cui residuo era stato impiegato per il pagamento di un debito ereditario afferente rata di mutuo, sia con l’avere concorso alle spese funerarie. Reputavano valida e non inficiata da alcuna nullità la disposizione testamentaria che, a loro dire, conterrebbe il lascito dell’usufrutto alla coniuge e della nuda proprietà degli immobili ai figli. Negavano l’ipotesi dell’art. 549 c.c. stante l’esistenza di debiti ereditari concorrenti – avendo il genitore disposto in favore dei figli anche della quota disponibile su cui sono ammessi pesi ed oneri – da conteggiare nel valore della quota attribuita a ciascun figlio affinché sia accertato che questo sia pari al valore della quota legittima.

Rammentavano come il principio di intangibilità di quest’ultima debba intendersi in senso quantitativo e non qualitativo. Quanto alla invocata cautela sociniana, ritenevano autolesionista simile determinazione. Quanto – poi – alla valutazione dell’asse ereditario, escludevano che potessero considerarsi donazione indiretta i canoni non corrisposti a fronte del godimento degli appartamenti occupati da De.Fl. e De.Gi., sussistendo occupazione a titolo di comodato e difetto di legittimazione attiva delle stesse attrici, spettando il potere di disporne esclusivamente in capo all’usufruttuaria Ba.Vi. Al contrario, indicavano i debiti ereditari nella somma di Euro 65.000,00, attinta da beni personali della Ba., per estinguere il mutuo contratto con tale Ra.Gi.; nell’ulteriore di Euro 16.884,25, sborsata ugualmente dalla Ba. per rimborsare il prestito acceso con la Cr. al giugno 2005; nell’ulteriore somma di Euro 22.962,58 (da cui detrarre Euro 2.819,72 prelevati dal c/c del de cuius) impiegata per il rimborso del mutuo ipotecario contratto con Ba.In.; ancora in Euro 9.489,48 per imposte ipotecarie e catastali. Per l’effetto, rassegnavano le seguenti conclusioni: “rigettare la domanda siccome inammissibile, improcedibile e infondata; in via riconvenzionale accertare e dichiarare che nell’asse ereditario sono ricompresi i debiti tutti sopra indicati per un ammontare di Euro 111.516,59 già pagati, oltre le rate ancora a scadere dei due mutui bancari … condannare le attrici al pagamento di Euro 22.303,32 ciascuna … oltre interessi sino all’effettivo soddisfo”, vinte le spese.

Concessi i termini di cui all’art. 183 VI comma c.p.c., ritenute superflue le richieste istruttorie articolate da ambo le parti, con sentenza n. 536/2010 del 8 dicembre 2009, depositata in data 16 febbraio 2010, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava la nullità della disposizione testamentaria per la parte in cui sostanzia “fedecommesso assistenziale” confermando la piena validità del testamento con riferimento all’istituzione di Ba.Vi. quale erede universale, assorbendo tutte le ulteriori doglianze e compensando integralmente le spese.

Per quel che rileva il Tribunale escludeva che le condotte osservate dalle attrici con l’autorizzazione data alla madre di chiudere il conto corrente e il pagamento delle spese funerarie, in quanto anteriori alla pubblicazione del testamento olografo, potessero considerarsi confermative di questo, ai sensi dell’art. 590 c.c.

Indagata la struttura e gli elementi costitutivi della sostituzione fedecommissaria (ossia la doppia vocazione, l’ordo successivus e l’obbligo dell’istituto di conservare e restituire), richiamati i precedenti della Suprema Corte sull’interpretazione delle disposizioni testamentarie ed in tema di attribuzione successiva o simultanea (di usufrutto e nuda proprietà), riteneva violato il divieto in ragione nell’iniziale dicitura della scheda testamentaria “nomino erede universale mia moglie” e la precisazione seguente “e nessuno dei miei quattro figli (Fl., Gi., Ni. e Co.) potrà intervenire se non dopo la sua morte”. Valutava – dunque – le assegnazioni in favore dei figli posticipate al tempo

successivo alla morte della consorte. Riteneva, quindi, nulla la sostituzione, ma non così anche la istituzione di erede di Ba.Vi. Giudicava – infine – assorbite le ulteriori doglianze perché basate su una diversa interpretazione del testamento. Avverso la sentenza hanno proposto appello principale Ba.Vi., De.Fl. e De.Gi., licenziando i motivi di seguito articolati e rassegnando le seguenti conclusioni: “in riforma della sentenza … rigettare la domanda attrice, siccome inammissibile, improcedibile e infondata; in via riconvenzionale accertare e dichiarare che nell’asse ereditario sono ricompresi i debiti tutti sopra indicati per un ammontare di Euro 111.516,59 già pagati, oltre le rate scadute nel corso del giudizio di primo grado e quelle ancora a scadere dei due mutui bancari … condannare le attrici al pagamento di Euro 22.303,32 ciascuna … oltre interessi sino all’effettivo soddisfo”, vinte le spese del doppio grado del giudizio.

Hanno resistito all’appello e – a loro volta – impugnato incidentalmente De.Ni. e De.Co. le quali hanno concluso come segue: “rigettare l’appello principale proposto da Ba.Vi., De.Gi. e De.Fl. in quanto infondato in fatto ed in diritto ed, in ogni caso, non provato per le motivazioni indicate in narrativa e, per l’effetto, ed in accoglimento dell’appello incidentale ed in riforma dell’impugnata sentenza, accertarsi e dichiararsi che il testamento olografo del defunto De.Vi., pubblicato in data 08.03.2007 rep. n. 45896 rep., notaio Do.Fa. di Aversa, è nullo perché prevede un’ipotesi di sostituzione fedecommissaria vietata dall’art. 692 c.c. o per essere comunque lo stesso incomprensibile e contraddittorio per i motivi esposti e per l’effetto, accertarsi conseguentemente, sussistendone i presupposti, il diritto delle attrici De.Ni. e De.Co. a succedere quali eredi legittime al defunto genitore De.Vi. e, conseguentemente, previo accertamento dell’asse ereditario relitto da De.Vi., comprensivo del relictum e del donatum, operata la collazione, estinti eventuali debiti da attribuirsi al de cuius, tenuto anche conto dei frutti civili ricavati dal godimento esclusivo dei beni da parte degli altri eredi, disporsi la divisione dell’asse ereditario tra i coeredi Ba.Vi., De.Fl., De.Gi., De.Ni. e De.Co., attribuendosi alle attrici in proprietà esclusiva, previo conguaglio e divisione delle somme di denaro, i beni immobili corrispondenti alle loro rispettive quote quali eredi legittime sull’eredità relitta da De.Vi.; in via subordinata, e nella denegata ipotesi di accoglimento dell’appello principale in relazione alla interpretazione del testamento di attribuzione di usufrutto vitalizio alla madre e di nuda proprietà ai figli, dichiarare nullo il testamento del sig. De.Vi. per violazione dell’art. 549 c.c. e dichiarare aperta la successione legittima. Il tutto previo accertamento dell’asse ereditario relitto da De.Vi. comprensivo del relictum e del donatum, operata la collazione, estinti eventuali debiti da attribuirsi al de cuius, tenuto anche conto dei frutti civili ricavati dal godimento esclusivo dei beni da parte degli altri eredi, disporsi la divisione dell’asse ereditario tra i coeredi Ba.Vi., De.Fl., De.Gi., De.Ni. e De.Co., attribuendosi alle attrici in proprietà esclusiva, previo conguaglio e divisione delle somme di denaro, i beni immobili corrispondenti alle loro rispettive quote quali legittimarle. Sempre in via subordinata e nella denegata ipotesi di accoglimento dell’appello principale in relazione alla interpretazione del testamento di attribuzione di usufrutto vitalizio alla madre e di nuda proprietà ai figli, dare atto che le sig.re De.Co. e De.Ni. intendono abbandonare ai sensi dell’art. 550 c.c. la nuda proprietà dei beni a loro assegnati con il testamento olografo del defunto padre De.Vi. pubblicato in data 08.03.2007 n. 45896 rep., notaio Do.Fa. di Aversa, attribuirsi ala predette De.Co. e De.Ni. la rispettiva quota di legge quali legittimarie sull’eredità predetta, come dalle stesse dichiarato già con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Il tutto previo accertamento dell’asse ereditario relitto da De.Vi., comprensivo del relictum e del donatum, operata la collazione, tenuto anche conto dei frutti civili ricavati dal godimento esclusivo dei beni da parte degli altri eredi, disporsi la divisione dell’asse ereditario tra i coeredi Ba.Vi., De.Fl., De.Gi., De.Ni. e De.Co., attribuendosi alle attrici in proprietà esclusiva a ciascuna di esse, previo conguaglio e divisione delle somme di denaro, i beni immobili corrispondenti alle loro rispettive quote quali eredi legittime; condannarsi, in ogni caso, Ba.Vi., De.Fl. e De.Gi. a trasmettere a De.Ni. e De.Co. il possesso sui beni immobili rispettivamente assegnati in proprietà esclusiva a queste ultime ed eventualmente detenuti dai primi; condannarsi Ba.Vi., De.Fl. e De.Gi. a rendere il conto per l’utilizzazione dei beni relitti dal de cuius dal giorno della morte (19.03.2006) al giorno della divisione dei beni stessi tra i coeredi e, quindi, a pagare alle attrici la somma che verrà riconosciuta di giustizia, previo espletamento di C.T.U.”, vinte le spese, con attribuzione al O procuratore antistatario.

Acquisito il fascicolo del primo grado del giudizio, all’udienza del 12 ottobre 2016, sulle conclusioni rassegnate a verbale, la Corte ha assunto la causa in decisione concedendo i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dato atto dell’errore che inficia il dispositivo della sentenza laddove contiene l’espressione “fedecommesso assistenziale” che, all’evidenza, è ipotesi diversa da quella in oggetto, avendo la contestazione delle allora attrici, condivisa dalla curia, riguardato piuttosto un caso di sostituzione vietata ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 692 c.c. proprio in quanto prevista al di fuori dell’ipotesi tipizzate a tutela di incapaci e minori. Del resto, lo stato di interdizione di Ba.Vi. non è stato giammai dedotto, né dimostrato nel giudizio, quindi è evidente come le disposizioni di ultima volontà di De.Vi. ne prescindono assolutamente.

Per l’effetto la Corte deve procedere alla relativa correzione, essendo palese che di solo errore materiale trattasi non avendo il Tribunale giammai sindacato simile istituto, né risolto questioni ad esso relative in conseguenza delle domande delle parti. Con il primo motivo di appello principale Ba.Vi., De.Fl. e De.Gi., oltre la contestazione sul fedecommesso assistenziale di cui giammai sarebbero stati evocati – e dimostrati – i presupposti, hanno lamentato l’inesatta interpretazione del testamento eseguita dal Tribunale nel ritenere le espressioni “nomino erede universale mia moglie” e “nessuno dei miei quattro figli … potrà intervenire se non dopo la sua morte” incompatibili con la volontà di attribuire a costei esclusivamente l’usufrutto degli immobili successivamente assegnati alla prole. Si sono altresì doluti della svalutazione dell’elemento dell’attribuzione dei singoli beni a ciascuno dei figli e dell’omessa considerazione della parte finale del testamento in cui è contenuta una “raccomandazione” a costoro, a fronte di quanto loro “lasciato”. Hanno – quindi – escluso che la volontà del testatore fosse quella di imporre alla Ba. l’obbligo di custodire i beni per restituirli ai sostituti e – pur consapevoli della possibilità di farlo implicitamente – hanno stigmatizzato l’impiego del tempo al passato per riferire del lascito ai figli, la qual V cosa dimostrerebbe come questo fosse già avvenuto, vivente la genitrice. Hanno quindi inteso il monito all’impossibilità per i figli di intervenire sui beni immobili ereditari come affermazione che il godimento attuale è loro precluso, competendo naturalmente all’usufruttuaria, la cui istituzione generale sarebbe compatibile con la qualifica di “erede universale”. Hanno – poi – precisato che simili disposizioni sono in tutto pedisseque alle tradizioni del mezzogiorno d’Italia di lasciare l’uso, la gestione e i frutti del patrimonio immobiliare al coniuge affinché possa condurre un’esistenza dignitosa e mantenere unita ed integra la famiglia. Hanno dedotto un ulteriore vizio logico nell’interpretazione del testamento quale eseguita dal Tribunale che, a loro dire, non avrebbe né osservato il principio della lettura conservativa, né assolto al canone dell’analisi della finalità che il testatore intendeva perseguire che, nel caso presente, era operare una chiamata simultanea di moglie e figli all’eredità e giammai imporre alla prima alcun obbligo di conservazione, come evidentemente apparso allo stesso notaio che lo ricevette per la pubblicazione. Prima d’ogni altra cosa va dichiarato il difetto di interesse all’impugnazione in capo a Ba.Vi.

Invero, in costei, ritenuta dalla sentenza gravata erede universale, difetta il presupposto della soccombenza in quanto, non essendo stata affatto invalidata la disposizione che la riguarda, anzi essendo stata riconosciuta titolare dell’intera massa immobiliare, con assorbimento di ogni diversa pretesa delle figlie al tempo attrici, di nulla può dolersi. Per l’effetto, il suo gravame va dichiarato inammissibile per carenza di interesse (in argomento, Cassazione civile, sez. III, 13.01.2015, n. 300) Il motivo proposto dagli ulteriori appellanti è infondato.

Conviene premettere il tenore esatto della scheda testamentaria, pubblicata in data 8 marzo 2007.

In essa si legge: “con la presente scrittura privata da valere quale atto pubblico a tutti gli effetti di legge, io sottoscritto Vi.De., nato (…) ed ivi residente in viale (…) n. 92, capace di intendere e di volere, redigo le mie ultime volontà inerenti la mia situazione patrimoniale. Innanzi tutto nomino erede universale mia moglie Ba.Vi. di tutto quanto a me intestato e nessuno dei miei quattro figli (Fl., Gi., Ni. e Co.) potrà intervenire se non dopo la sua morte.

A Fl. assegno il primo piano (due appartamenti unificati) dello stabile in viale (…) ad Aversa, oltre allo scantinato, scantinato più prossimo alla scala che porta al piano rialzato, inoltre metà giardino retrostante allo stabile (l’altra metà è del fratello Gi.) con annesso metà cantinola; assegno ancora in via (…) tutto il pianterreno composto di quattro vani ed accessori, compreso il vano prospiciente la via (…), contrassegnato col numero civico 11 e precisamente trovarsi a destra di chi entra nel portone con il numero civico 15;

A Gi. assegno l’intero piano rialzato (due appartamenti unificati) dello stabile in viale (…) n. 92 con garage e scantinato oltre all’altra metà del giardino e alla metà cantinola da dividere in tutto con la sorella Fl.; assegno inoltre l’intero primo piano del fabbricato in via (…) composto da vani cinque (piano sovrastante a quello assegnato alla sorella Fl.);

a Ni. assegno nello stabile in viale (…) l’appartamento al secondo piano che affaccia sulla strada e la mansarda a sinistra di chi sale le scale, nonché mezza terrazza di fronte alla stessa mansarda; in via (…) assegno i due appartamenti (uno grande e uno piccolo alla sinistra di chi entra dal portone numero civico 15 al primo piano);

A Consiglia assegno in viale (…) l’appartamento che col balcone affaccia sul giardino retrostante e la mansarda che, salendo la scala si trova sul lato destro, confinante con quella della sorella Ni. così come la metà della terrazza; assegno inoltre i due appartamenti in via (…) (uno grande e uno piccolo) sottostanti quelli assegnati alla sorella Ni. che affacciano anche sulla strada con i numeri civici 17, 19, 21.

Il cortile dello stabile di viale (…) 92 è condominiale eccettuato la discesa del garage che è esclusivamente di Gi.

Alla mia morte i soldi ed eventuali debiti saranno equamente divisi tra i quattro figli e la stessa mia moglie.

I miei funerali saranno a carico dei figli. Nell’assegnazione penso di non aver fatto torto a nessuno, credo di essere nel giusto, se ho sbagliato in qualche cosa chiedo perdono.

Un’ultima raccomandazione a voi figli, generi e nuora di rispettare mia moglie e di farla rispettare, quello che vi ho lasciato è anche frutto dei suoi sacrifici”.

Va immediatamente osservato che il ritenere una sostituzione fedecommissaria con chiamata successiva della moglie e dei figli piuttosto che l’attribuzione alla consorte dell’usufrutto e ai figli della nuda proprietà è stato frutto di attività interpretativa che ha valorizzato le espressioni iniziali con cui De.Vi. ha istituito sua erede universale la moglie e ammonito che “nessuno dei miei quattro figli… potrà intervenire se non dopo la … morte” di costei. Ebbene, in tema di interpretazione di un testamento, la volontà del testatore, alla stregua del principio generale di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c., va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria e non di ciascuna singola disposizione, sicché il giudice di merito può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, purché non contrastante e antitetico (Cassazione civile, sez. II, 28.07.2015, n. 15931). Invero, prioritario interesse dell’esegeta di un atto unilaterale mortis causa è ricercare quale sia stata l’effettiva volontà del testatore, comunque espressa (Cassazione civile, 2.07.1991, n. 7267; Cassazione civile, 10.01.1995, n. 243; Cassazione civile, 17.04.2001, n. 5604; Cassazione civile, 24.02.2009, n. 4435), considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico, salvaguardando altresì il rispetto del principio di conservazione del testamento (Cassazione civile, sez. II, 21.02.2007 n. 4022), in primis interpretando l’atto nel senso in cui esso possa avere un qualche effetto giuridico piuttosto che nel senso in cui non ne avrebbe alcuno (Cassazione civile, 28.08.1986 n. 5278; Cassazione civile, 30.05.1987 n. 4814). Osserva, ancora, il Collegio che la sostituzione fedecommissaria – che è, in generale, dichiarata nulla dall’art. 692 comma 5A c.c. (salvi i casi eccezionali di sua validità come previsti nei precedenti commi della stessa disposizione normativa, sostituiti per effetto della Legge di riforma del diritto di famiglia 19 maggio 1975, n. 151, art. 197) – contiene più istituzioni, di cui la posteriore deve avere effetto dopo la morte dell’istituto che, prima di allora, ha l’obbligo di conservare l’eredità onde poterla restituire, così come gli è pervenuta, all’erede sostituito.

Gli elementi che, dunque, la identificano, ricordati anche dal Tribunale, sono tre:

1) occorre, anzitutto, una doppia vocazione testamentaria, nel senso, cioè, che deve contenere due o più disposizioni dei medesimi beni in proprietà a favore di due o più persone chiamate a succedere l’una dopo l’altra, di modo che al sostituito è devoluta l’eredità del testatore non già direttamente da costui, ma indirettamente a mezzo del chiamato anteriore, che è gravato dall’obbligo della restituzione, e al quale, pertanto, egli – quale erede successivo del testatore – non si sostituisce, come nella sostituzione ordinaria, ma sussegue;

2) è necessario, in secondo luogo, che il testatore abbia imposto al primo chiamato l’obbligo di conservare e restituire i beni formanti oggetto della disposizione, precisandosi che tale obbligo può risultare da un’espressa disposizione del testamento, o dal contesto di esso, ovvero desumersi dalla circostanza che la disposizione non può ricevere la sua esecuzione che mediante la conservazione e la restituzione dei beni, o anche desumersi dal divieto di alienazione;

3) infine, l’ultimo requisito si sostanzia nel c.d. ordo successivus il quale implica che l’istituito è tenuto a conservare i beni per tutta la vita, onde restituirli alla sua morte a titolo di successione al sostituito, che viene così a succedere indirettamente al testatore.

L’interpretazione di una disposizione testamentaria per stabilire se la reale volontà del testatore fosse disporre una sostituzione fedecommissaria o una costituzione testamentaria di usufrutto deve muovere dalla ricerca del se questi intendesse impartire disposizioni dirette e simultanee ovvero in ordine successivo. Solo nel primo caso, posto che i chiamati non succedono l’uno all’altro, ma direttamente al testatore, e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisce un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà, alcun divieto sarebbe integrato.

Ebbene, l’obiezione di parte appellante è che il Tribunale non avrebbe accertato la possibilità di riconoscere effetti giuridici alla volontà del testatore, né esteso la sua attività ermeneutica all’intero testo della scheda, nella quale sarebbero presenti espressioni polisense e passibili di dimostrare la istituzione cumulativa di coniuge e figli, ciascuno nella titolarità di diritti reali differenti.

Invero, la previsione dell’attribuzione simultanea (ancorché separata), a distinti soggetti, della nuda proprietà e dell’usufrutto dei beni ereditari in luogo della ritenuta sostituzione fedecommissaria, indipendentemente dalla terminologia usata, si evidenzierebbe dalle espressioni sintomatiche del fatto che De.Vi. volesse far succedere immediatamente i figli (quali eredi) nel suo patrimonio.

La Corte rinviene tali espressioni nelle seguenti:

– l’avere dettagliato le assegnazioni individuali in maniera puntuale, impiegando il tempo presente (“assegno”);

– l’avere previsto che il cortile dello stabile comprendente gli appartamenti assegnati sia condominiale, ad esclusione della rampa di accesso al garage disposta – sempre con tempo presente (“è”) – esclusivamente in favore del figlio Gi.;

– l’avere disposto un’equa divisione dei soldi e di eventuali debiti tra tutti i soggetti istituiti fin dal tempo della morte, ossia dall’apertura della successione e l’avere gravato le spese funerarie, tipico peso ereditario, a carico dei figli, quindi già eredi;

– l’avere ritenuto di non aver commesso torti nelle assegnazioni;

– l’avere raccomandato ai figli (oltre che ai rispettivi coniugi) di “di rispettare mia moglie e di farla rispettare, quello che vi ho lasciato è anche frutto dei suoi sacrifici”, ove l’impiego del tempo passato a dimostrazione dell’avvenuta disposizione è stato già stigmatizzato.

L’esame complessivo e coordinato delle diverse disposizioni della scheda testamentaria non consente di individuare la volontà del testatore nel senso perorato da parte appellante.

In alcuna parte sono contenute limitazioni ai diritti sui beni in capo alla Ba. prima della sua morte che possano far intendere che costei ha esclusivamente i diritti previsti dall’art. 981 c.c.

La tesi di parte appellante secondo la quale l’espressione “erede universale” sarebbe compatibile con l’attribuzione testamentaria dell’usufrutto generale su tutti i beni, non contempla sufficientemente il fatto che questo, per non scadere nel fedecommesso, dovrebbe rimanere nei termini di un legato, ossia di una disposizione a titolo particolare da cui non consegue qualità di erede, la quale, infatti, dovrebbe appartenersi all’ulteriore gruppo di successori: coloro che il Tribunale a torto avrebbe ritenuto i “sostituiti” perché destinatari dei beni solamente alla morte dell’istituita loro madre.

Il fatto che l’istituzione di erede universale sia avvenuto con riguardo a “tutto quanto a me intestato”, su cui nessuno dei figli potrà intervenire “se non dopo la sua morte” fa ritenere che la disposizione in favore della Ba. sia stata effettuata “vita naturai durante” di costei. Ebbene, la durata della vita del beneficiario assume rilievo sia nel caso in cui sia attribuito il diritto di usufrutto, sia nell’ipotesi in cui venga conferito il diritto di proprietà piena a favore dell’istituto nella sostituzione fedecommissaria, atteso che la durata della vita dell’usufruttuario costituisce la misura temporale del diritto reale conferito ed è al termine della vita dell’onorato che diventa operante la chiamata dei sostituiti nella sostituzione fedecommissaria (Cassazione civile, sez. II, 18.07.2005, n. 15130).

Sennonché questo è il solo argomento favorevole all’ipotesi dell’usufrutto generale. Nell’assenza assoluta di indicatori lessicali da cui evincere che si sia voluto dare luogo ad uno jus in re aliena, il fatto che in capo alla Ba. siano stai posti – sebbene in misura concorrente – anche i pesi ereditari e che a lei sia stato conferito un titolo potenzialmente idoneo ad estendersi su ogni bene, configura un’istituzione di erede vera e propria. Ma ancor prima, ritiene la Corte che ove il De. avesse inteso costituire per testamento l’usufrutto ne avrebbe certamente impiegato il termine; esso può certamente dirsi rientrante nella cultura comune di una persona di normale istruzione, quale la forma espositiva e la proprietà lessicale dell’atto di ultima volontà dimostra essere stato il de cuius. È quindi lecito ritenere che ove il De. avesse voluto lasciare alla moglie l’usufrutto dei suoi beni, l’avrebbe detto con chiarezza.

Ancora, si osserva che tra i poteri in capo alla Ba., su cui effettivamente nessuno dei figli “potrà intervenire se non dopo la sua morte” è – all’evidenza – escluso quello di alienare, attesa la coincidenza tra i beni nel patrimonio del disponente e quelli assegnati singolarmente ai figli. Dunque, è stato implicitamente previsto l’obbligo per l’erede di custodire per lasciare nei termini disposti dal testatore.

In questo contesto il riferimento di cui sopra assume chiaramente la funzione di porre un termine finale al diritto di proprietà (in senso tecnico) lasciato alla moglie, in quanto alla morte di costei, lo stesso diritto è attribuito dal testatore ai figli.

Tale interpretazione è confermata dall’avverbio con cui ha inizio l’atto di disposizione: “innanzitutto” che di per sé suggerisce una consecuzione, anche temporale, nei lasciti. Il dettaglio delle assegnazioni che seguono non è in sé idoneo a dimostrare l’attualità della disposizione. Effettivamente, poi, essa è fatta al tempo della testazione, ma da valere solo a morte dell’istituita. Ciò spiega sia il tempo presente nelle assegnazioni, sia il tempo passato (in logica consecutio) nella raccomandazione.

Invero, perché le disposizioni possano resistere al divieto di cui all’art. 692 c.c. alla disposizione di due diritti diversi: rispettivamente di godimento, ancorché dell’intero compendio dei beni ereditari, all’una, e di nuda proprietà agli altri, eredi dovrebbero ravvisarsi esclusivamente i nudi proprietari, i quali – quindi – potrebbero esercitare i relativi poteri fin dal momento dell’apertura della successione.

A contrario la giurisprudenza ha in più occasioni ritenuto l’istituzione con sostituzione fedecommissaria qualora il testatore, pur adoperando – e non è il caso di specie – la terminologia corrispondente ad una attribuzione separata di usufrutto e di nuda proprietà, abbia attribuito all’onorato dell’usufrutto diritti ed obblighi incompatibili con la qualità di usufruttuario e spettanti invece all’erede (nel caso presente si è già segnalato il concorso nei debiti ereditari).

Vi è motivo di ritenere che nell’intenzione del testatore istituiti eredi siano sia il coniuge sia i figli, ma di graduare nel tempo le successioni, rendendo immediata quella della coniuge, in maniera universale, e a “sua morte” quella dei figli, pur da subito onerati delle spese funerarie e delle attribuzioni del denaro e dei debiti.

Se ne ricava l’impressione di un intento unitario di regolamentare la sorte del proprio patrimonio anche per l’epoca successiva al decesso della moglie.

In tal modo, tuttavia, è stata operata la vietata sostituzione in quanto la Ba. – beneficiata con l’universum jus e “raccomandata” ai sostituiti perché è grazie anche al suo sacrificio che costoro potranno ricevere i beni assegnati – è stata sostanzialmente privata del diritto di disporre liberamente dei beni.

In conclusione, giova osservare che la locuzione “erede” utilizzata dal testatore con riferimento alla moglie, valorizzata dal Tribunale, ha un significato univoco in ogni ceto sociale, intendendosi così significare il subentro del chiamato nel complesso dei rapporti giuridici del de cuius, laddove se il De. avesse voluto esternare la volontà su cui insistono gli appellanti ben avrebbe potuto esprimersi in termini di “usufruttuaria” o, quanto meno, fornire elementi certi da cui evincere detta qualità.

Per percorrere la tesi dell’immanenza di diritti diversi in capo ai soggetti destinatari dei lasciti sarebbe occorsa la prova, qui carente, circa il fatto che a) le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo; b) i chiamati non succedono l’uno all’altro, ma direttamente al testatore; c) la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà.

All’esito del superiore ragionamento la Corte esclude che sussistano le superiori condizioni la cui prova, certamente, non sarebbe potuta darsi tramite elementi esterni alla stessa scheda testamentaria. Per conseguenza, ogni attività di prova orale è stata giustamente pretermessa, senza possibilità di regressione in istruttoria in questo grado di giudizio.

Con il secondo motivo di appello è stata lamentata l’erroneità della decisione nella parte in cui il Tribunale escludeva nelle condotte osservate dalle allora attrici gli estremi dell’accettazione tacita del testamento comunque loro noto, ancorché non conosciuto. Detta notorietà pregressa hanno chiesto di dimostrare con la prova orale ilio tempore articolata.

Il motivo è infondato.

A prescindere dalla possibilità di ritenere convalidabile – per di più in maniera tacita – una disposizione testamentaria nulla perché affetta da contrarietà all’ordine pubblico (sul tipo di vizio nel fedecommesso, sia pure de residuo, Cassazione civile, 5.11.1973, n. 2874; Cassazione civile, 19.02.1970, n. 389), nelle condotte enunciate dagli allora convenuti ed odierni appellanti (autorizzazione alla chiusura di un conto corrente; pagamento delle spese funerarie) non è ravvisabile alcuna esecuzione delle disposizioni testamentarie nulle. Si tratta – infatti – di comportamenti, rispetto a queste ultime totalmente neutri che non si pongono in contraddizione con la volontà di impugnare l’atto e far valere i propri diritti successori. Inoltre, come osservato dal Tribunale, all’epoca il testamento neppure era stato pubblicato e, quindi, il suo vizio non pienamente noto e conosciuto, a prescindere dal fatto che le germane De. potessero averne avuto sentore o potessero averlo letto. Si conferma l’inutilità della prova orale sul punto.

Con il terzo motivo di appello si è cautelativamente resistito ai motivi che il Tribunale ha ritenuto assorbiti.

Essi vanno trattati congiuntamente con i motivi di gravame incidentale di cui conviene anticipare la trattazione.

Con il primo di questi le germane Ni. e Consiglia De. hanno censurato la sentenza nella parte in cui, dopo avere dichiarato la nullità del testamento riguardante la sostituzione fedecommissaria disposta in violazione di legge, non ha esteso la comminatoria all’intera scheda testamentaria e non ha – per conseguenza – applicato le norme regolanti la successione legittima. A loro dire, la pronuncia mancata sarebbe stata doverosa per ragioni sia giuridiche sia fattuali: l’essere il testamento nel suo complesso frutto di una volontà insanabilmente viziata, costituendo il fedecommesso parte sostanziale della determinazione.

Il motivo è infondato.

Nelle disposizioni d’ultima volontà vigono le regole d’ermeneutica proprie dei contratti nei limiti di compatibilità.

Avendo la disposizione testamentaria istituito la Ba. erede universale senza contaminazione dalle determinazioni a seguire quanto alle assegnazioni successive, non v’era ragione per far luogo all’apertura della successione legittima.

I legittimari non hanno – infatti – agito a tutela della propria quota di legittima, se non per conseguenza della lamentata lesione ad opera del fedecommesso. Per l’effetto, la successione di De.Vi. va regolamentata per testamento. Trova applicazione il principio utile per inutile non vitiatur e il dovere dell’Autorità giudiziaria di pronunciare esclusivamente sulle domande proposte.

Una volta condivisa, quindi, la doglianza per la quale l’istituzione successiva dei figli integra fedecommesso vietato dalla legge, perché non compreso tra i casi tassativamente previsti dall’art. 692 c.c., correttamente il primo giudice ha limitato la declaratoria di nullità alla sola disposizione viziata.

Con il secondo motivo di appello incidentale è stata lamentata la mancata dichiarazione di nullità integrale del testamento per essere lo stesso “comunque contraddittorio”, anche in questo caso con la conseguente necessità di far luogo alla successione legittima. Tale contraddizione – a dire delle germane De. – sarebbe stata dedotta ben oltre l’ipotesi di ritenuto accoglimento della tesi avversaria della costituzione dell’usufrutto generale in capo alla genitrice e l’attribuzione ai figli in nuda proprietà dei cespiti come individuati. Il conflitto tra disposizioni testamentarie non consentirebbe di comprendere la reale volontà del de cuius e la stessa impossibilità di attuare il testamento, relegando in secondo piano l’operatività del principio di conservazione del testamento. Il motivo è infondato. La contraddizione rilevata non sussiste.

Piuttosto sussiste il vizio lamentato con l’atto di citazione, anche se per una finalità che – evidentemente–evidentemente – la statuizione non ha soddisfatto: quella di determinare che la successione di De.Vi. sia disciplinata dalla legge piuttosto che dalla volontà di costui.

Senonché detta volontà si è pienamente esternata nella istituzione quale erede universale della consorte, rispetto alla quale è coerente la raccomandazione che chiude la scheda, anche a volerla ritenere semplice codicillo. Invero, l’istituzione è spiegata con la considerazione per l’operato della Ba. la quale, con il suo sacrificio personale, ha r concorso nella creazione del patrimonio al fine destinato alla prole.

Ripetutamente la Suprema Corte si è espressa nel senso che l’interpretazione invalidante tout court è illegittima (in argomento, Cassazione civile, sez. II, 14.10.2013, n. 23278; Cassazione civile, sez. II, 11.04.2013, n. 8899 secondo cui “L’indicazione della persona onorata della disposizione testamentaria, fatta dal testatore in modo impreciso o incompleto, non rende nulla la disposizione qualora dal contesto del testamento o da univoci dati obiettivi sia possibile determinare in modo certo e senza possibilità di equivoci la persona che il testatore ha voluto beneficiare”; Cassazione civile, sez. II, 22.03.2012, n. 4617 per l’applicazione del principio nel caso di più testamenti successivi).

Invero, solamente laddove dall’esegesi complessiva della scheda testamentaria viene in rilievo la mancanza di una chiara e seria volontà dell’autore, può farsi luogo alla successione legittima, diversamente dovendo essere rispettata la volontà del testatore (Cassazione civile, sez. II, 22.04.2002, n. 5871).

Al canone della conservazione, naturalmente, è impossibile accedere esclusivamente nel caso – qui né dedotto né verificato – in cui sia positivamente accertato che non è configurabile una sopravvivenza del contenuto superstite del testamento a fronte delle mutilazioni derivanti dalla comminatoria di nullità.

Con il terzo motivo di appello incidentale è stata formulata istanza subordinata per cui – ove mai la Corte dovesse condividere la tesi avversa secondo la quale si sarebbe avuta attribuzione di usufrutto vitalizio alla madre e di nuda proprietà ai figli – dovranno considerarsi le domande già proposte nel corso del primo grado, ai sensi dell’art. 549 c.c. e dell’art. 550 c.c.

Il motivo è assorbito nel rigetto dell’appello principale.

Analoga è la sorte del terzo motivo di appello principale sopra accennato Del tutto correttamente il Tribunale ha osservato che sia l’invocazione del divieto di imporre pesi o condizioni sulla quota dei legittimari, sia l’invocazione della cautela sociniana a garanzia della legittima (del tutto autonoma ed incompatibile con la proposizione dell’azione di riduzione che – come già detto – è affatto mancata) presuppongono un’interpretazione della scheda testamentaria contraria a quella ritenuta, ossia di attribuzione di usufrutto vitalizio alla madre e di nuda proprietà ai figli.

Naturalmente altrettanto assorbita è ogni considerazione sui frutti civili e sui possessi dei beni ereditari, essendo le attrici odierne appellanti incidentali del tutto carenti della legittimazione sostanziale riguardo ad essi. Lo stesso dicasi riguardo ai debiti ereditari. Le superiori ragioni rendono all’evidenza superflua l’ammissione delle istanze istruttorie formulate nel corso del primo grado del giudizio e puntualmente riproposte in appello. La soccombenza reciproca di appellanti principali e incidentali, unitamente al difetto di interesse ad impugnare in capo alla Ba., oltre alla qualità della questione dedotta impone l’integrale compensazione delle spese anche del grado di appello.

P.Q.M.

la Corte di Appello di Napoli – seconda sezione civile, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto e tra le parti ivi indicate, così provvede:

– dichiara il difetto di interesse di Ba.Vi. ad impugnare la sentenza del data 16 febbraio 2010;

– rigetta l’appello principale di De.Fl. e De.Gi. nonché l’appello incidentale di De.Ni. e De.Co. avverso la medesima sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 536/2010 del 8 dicembre 2009, depositata in data 16 febbraio 2010;

– ordina la correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 536/2010 del 8 dicembre 2009, depositata in data 16 febbraio 2010, nel senso che l’aggettivo “assistenziale” sia eliminato;

– compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Così deciso in Napoli il 18 gennaio 2017.

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2017.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.