Ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno della capacita’ di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non puo’ ignorare il contenuto del testamento medesimo e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serieta’, normalita’ e coerenza delle relative disposizioni, nonche’ ai sentimenti e ai fini che risultano averle ispirate.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|14 settembre 2022| n. 26984

Data udienza 8 luglio 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10408-2019 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4389/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8/07/2022 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Lette le memorie della ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. In data 14 luglio 2010 era deceduto (OMISSIS), il cui testamento olografo del 15/11/2000 era pubblicato il 15/11/2010, con il quale il de cuius lasciava alla figlia (OMISSIS) l’appartamento in cui viveva e tutte le altre sostanze al figlio (OMISSIS). In data 30/07/2010 era stato gia’ pubblicato il successivo testamento olografo datato 02/04/2005, con cui il de cuius istituiva erede universale la figlia (OMISSIS), consentendo, dietro il pagamento di un canone alla sorella, al figlio (OMISSIS) di continuare a occupare la casa da lui abitata.

(OMISSIS) conveniva in giudizio la sorella, dinanzi al Tribunale di Lecco, affinche’ fosse accertata l’invalidita’ del testamento olografo del 02/04/2005, a causa della non veridicita’ della data apposta, o, in subordine, per dolo, violenza, errore o captazione. Chiedeva quindi che fosse dichiarato valido il testamento olografo datato 15/11/2000 e che si procedesse alla divisione dei beni in base alle disposizioni ivi contenute. Nella denegata ipotesi in cui fosse stata riconosciuta la validita’ del testamento del 02/04/2005, chiedeva la reintegrazione della sua quota di legittima.

Si costituiva la convenuta, chiedendo il rigetto delle domande e, nell’ipotesi in cui il Tribunale avesse accertato la lesione della quota di legittima del fratello, di tener conto di quanto da questi ricevuto in vita dal de cuius.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Lecco, con la sentenza n. 120 del 01/03/2017, annullava, ex articolo 602 c.c., comma 3 e articolo 591 c.c., commi 2 e 3, il testamento olografo del 02/04/2005 e conseguentemente disponeva che la delazione dell’eredita’ di (OMISSIS) avvenisse sulla base del testamento olografo del 15/11/2000.

In primo luogo, il Tribunale rigettava l’eccezione della convenuta ex articolo 75 c.p.p., comma 1, relativa alla asserita rinuncia agli atti del giudizio da parte del fratello (OMISSIS) a seguito della sua costituzione di parte civile nel procedimento penale, scaturito a seguito della denuncia formulata dal medesimo nei confronti della sorella, per il reato di circonvenzione di incapace, per aver influenzato il de cuius nella redazione del testamento del 02/04/2005.

A sostegno dell’invalidita’ del testamento del 02/04/2005, il Tribunale, superando l’esito della CTU e valorizzando le conseguenze della malattia del de cuius, rilevava che il testamento non poteva essere stato redatto nel 2005, posto che denotava uno stato di totale incapacita’ naturale del de cuius. Atteso che gli accertamenti clinici eseguiti sul de cuius al 29 novembre 2007 rivelavano uno stato di decadimento psico-fisico e un deficit di attenzione, il Giudice individuava la data di redazione del testamento verso la fine del 2007, quando gia’ la sua condizione psichica non gli consentiva di apprezzare quanto stesse facendo.

Proponeva appello (OMISSIS), deducendo l’erroneita’ della decisione, con il primo motivo, nella parte in cui non aveva accolto l’eccezione ex articolo 75 c.p.p.; con il secondo motivo, nella parte in cui aveva annullato il testamento del 02/04/2005, nonostante non fosse stata raggiunta la prova dell’incapacita’ del testatore, la quale, anzi, doveva ritenersi smentita da plurime risultanze istruttorie. Tra queste, il fatto che la malattia del de cuius non avesse intaccato le sue facolta’ intellettive e cognitive, non potendo l’incerta elaborazione grafica del testamento ascriversi a una redazione inconsapevole, bensi’ alle condizioni meramente fisiche; il fatto che la TAC del 2007 fosse ininfluente ai fini della decisione; le deposizioni dei testi escussi, chiare e univoche nel senso di escludere che il testatore fosse incapace, essendo rimasto lucido fino a pochi mesi prima della morte; l’erronea valorizzazione della testimonianza della signora (OMISSIS), nonostante fosse contraddittoria.

Si costituiva (OMISSIS) Brambilla chiedendo il rigetto dell’appello.

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 4389/2018 pubblicata il 09/10/2018, rigettava l’appello, con condanna dell’appellante alla refusione delle spese di lite.

Quanto al primo motivo di appello, la Corte riteneva che le argomentazioni dell’appellante dovessero ritenersi infondate, in quanto ostava alla rinuncia ex lege agli atti, in virtu’ del trasferimento dell’azione civile in sede penale, proprio il fatto che non vi fosse coincidenza tra la domanda proposta in sede civile e l’azione civile esercitata in sede penale.

Confermando la decisione del Tribunale, non riteneva sussistente l’identita’ di petitum nei due giudizi, dibattendosi, nell’uno, dell’annullabilita’ del testamento per incapacita’ naturale o in subordine della nullita’ del testamento per violenza, errore, dolo o captazione (non necessariamente dovuti all’attivita’ della sorella); nell’altro, del reato di circonvenzione di incapace commesso dalla sorella, con conseguente richiesta di sua condanna al risarcimento dei danni.

Parimenti sottolineava la diversita’ dell’ambito di accertamento, ben potendo quello relativo all’annullabilita’ per incapacita’ prescindere dall’esistenza di un pregiudizio, requisito, invece, necessario ai fini del perfezionamento del reato di circonvenzione di incapace.

Quanto al secondo motivo, la Corte confermava la sentenza del giudice di prime cure, nella parte in cui aveva ritenuto che il secondo testamento non fosse stato redatto il 02/04/2005.

All’esito della CTU medico-grafologica, era stato accertato che il testamento recante la data del 02/04/2005, scritto e sottoscritto dal sig. (OMISSIS), fosse compatibile con le patologie riscontrate sul de cuius solo a partire da novembre 2007, e pertanto non poteva essere considerata veritiera la data ad esso apposta, dovendosi considerare redatto in un momento successivo, nel quale erano manifesti i danni cerebrali dovuti alla patologia. E cio’ era confermato dalla consulenza, che aveva messo in rilievo le differenze sintattiche e grafologiche rispetto al testamento del 2000 (omissione di parole, sostituzione con parole incongrue, ripetizioni inutili, cancellazioni).

Il fatto che la patologia fosse stata riscontrata soltanto a partire dalla fine del 2007 era confermato anche dai testi escussi.

La Corte, pur avendo il CTU concluso nel senso che la forma e la sostanza del testamento fossero indicative non di una totale incapacita’, ma di una alterazione della capacita’ di intendere e di volere, tuttavia, valorizzando la valutazione psichiatrica dell’ausiliario del CTU, dalla quale emergeva che la patologia del de cuius lo aveva condotto a perdere ogni controllo delle facolta’ mentali, nonche’ la documentazione medica ulteriore, attestante un rapido e continuo peggioramento del disturbo neuro-cognitivo, confermava la sentenza del Tribunale nel senso che il de cuius si trovasse in uno stato di incapacita’ naturale al momento della redazione della seconda scheda testamentaria.

In tal senso, valorizzava una serie di ulteriori circostanze indiziarie: l’omesso riferimento al primo testamento nel momento in cui mutava le sue ultime volonta’; la consegna della scheda testamentaria alla signora (OMISSIS), che non aveva stretti legami con il de cuius, ma solo con la figlia (OMISSIS); la mancata informazione di (OMISSIS), depositaria della prima scheda testamentaria, circa il mutamento delle sue ultime volonta’, cosi’ da consentirle di distruggere o restituire la prima scheda; il fatto che nessun evento accaduto giustificasse un simile mutamento della volonta’ testamentaria.

La Corte non ravvisava elementi probatori volti a confermare la tesi secondo cui (OMISSIS) avrebbe ricevuto la sua parte quando il de cuius era ancora in vita, emergendo soltanto la prova del possesso di due autovetture nell’arco di diciassette anni e di due viaggi all’estero. Sfornita di prova era, altresi’, la circostanza che (OMISSIS) avesse esercitato violenza nei confronti della sorella e dei suoi figli.

A fronte di cio’, gli elementi istruttori offerti dalla difesa dovevano considerarsi inattendibili o inconsistenti, attesa la contraddittorieta’ della testimonianza (OMISSIS), circa i modi e tempi della consegna del testamento da parte del de cuius.

Viceversa, andava valorizzata la testimonianza di (OMISSIS), che riferiva del fatto che il de cuius aveva raccontato a suo marito di come volesse disporre in morte delle sue sostanze, lasciando l’appartamento a (OMISSIS) e tutto il resto a (OMISSIS), nonche’ della consegna del testamento da custodire a suo marito, avvenuta in sua presenza, e delle richieste di (OMISSIS) di attendere a pubblicare il testamento.

(OMISSIS) propone ricorso per la cassazione di tale sentenza sulla base di due motivi, illustrati da memoria.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’articolo 75 c.p.p., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4, per non avere la Corte applicato i principi relativi alla ricaduta processuale della costituzione di parte civile nel processo penale. La sentenza sarebbe errata nella parte in cui non ha tenuto conto che con la costituzione di parte civile, avvenuta il 05/11/2013 quando il giudizio civile era in pieno svolgimento in primo grado, l’attore abbia inteso trasferire nel procedimento penale l’azione civile, con conseguente rinuncia agli atti del giudizio civile, in virtu’ dell’articolo 75 c.p.p. e articolo 306 c.p.c., con effetto immediato e definitivo.

L’identita’ delle due azioni emergerebbe dalle conclusioni presentate dalla difesa del signor (OMISSIS) all’udienza penale del 18 gennaio 2016, per la dichiarazione della falsita’ del testamento olografo ex articolo 537 c.p.p..

Inoltre, essendo tutto l’impianto accusatorio nel giudizio civile e penale rivolto contro (OMISSIS), sarebbe erronea la conclusione della Corte secondo cui nel giudizio civile non era chiesto l’accertamento che l’azione induttiva fosse stata perpetrata proprio da (OMISSIS).

Infine, la richiesta risarcitoria in sede penale denoterebbe la volonta’ di trasferire l’intera azione in ambito penale.

Il motivo e’ infondato.

Questa Suprema Corte, se pure con riferimento all’articolo 24 c.p.p., previgente, norma riprodotta sostanzialmente in quella di cui all’articolo 75, comma 1, del vigente codice (circostanza che giustifica l’applicazione dei medesimi principi), ha affermato che la regola di cui all’articolo 24 citato, secondo cui il trasferimento dell’azione civile in sede penale comporta di diritto la rinuncia dell’attore al giudizio civile che di conseguenza va dichiarato estinto anche d’ufficio, postula che tra le due azioni vi sia identita’ di oggetto, in relazione alla causa petendi e al petitum e di soggetti, il cui accertamento – che prescinde dall’esame della fondatezza dell’azione esperita con la costituzione di parte civile – e’ rimesso all’apprezzamento di fatto del giudice di merito, come tale incensurabile in sede di legittimita’ ove non siano dedotti vizi di motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7633 del 16/05/2012; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6293 del 18/04/2003; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3439 del 25/05/1981).

Del resto, alla luce del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 introdotto dalla L. n. 134 del 2012, l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale e’ assoggettabile al controllo di legittimita’ limitatamente al caso in cui l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014).

Nel caso in esame, la valutazione compiuta dal giudice di merito circa l’identita’ delle due azioni e’ adeguatamente motivata sulla scorta del puntuale esame delle domande proposte dall’attore nel giudizio civile e nel procedimento penale. La Corte d’Appello ha interamente confermato la decisione del giudice di primo grado, che aveva evidenziato la differenza in termini di petitum tra le due azioni (da una parte, annullabilita’ del testamento per incapacita’ naturale o sua nullita’ per violenza, errore, dolo o captazione – non necessariamente dovuti all’attivita’ della sorella – dall’altra, reato di circonvenzione di incapace imputato alla sorella), mettendo in evidenza anche le differenze degli accertamenti necessari nelle due azioni, ben potendo il primo prescindere dal requisito del pregiudizio. Rilevava anche il fatto che solo nella costituzione di parte civile nel procedimento penale fosse stata avanzata la domanda risarcitoria nei confronti della sorella, assente nel giudizio civile.

Circostanza, questa, che, di per se’, sarebbe idonea ad escludere l’applicabilita’ dell’articolo 75 c.p.p., che, alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte, presuppone che sia stata esperita un’azione di danni in sede civile e sia poi stata trasferita in sede penale.

In tal senso si veda quanto affermato da Cass. n. 26332/2011 secondo cui, in tema di sospensione necessaria del processo civile, ove l’azione esercitata riguardi non gia’ il risarcimento dei danni derivati dal reato per cui pende il processo penale, ma l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, ai sensi dell’articolo 2932 c.c., il rapporto tra il giudizio civile sospeso ed il giudizio penale non puo’ essere disciplinato dall’articolo 75 c.p.p. (cfr. altresi’ Cass., Sez. U, Sentenza n. 6538 del 18/03/2010; Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18918 del 15/07/2019; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 5224 del 10/03/2006; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20823 del 26/10/2005).

E’ stata, cosi’, congruamente valutata la mancata sussistenza del presupposto dell’identita’ delle due azioni.

In ogni caso, la doglianza della ricorrente non sarebbe sorretta da alcun interesse dal momento che allo stato attuale non potrebbe essere dichiarata l’estinzione del giudizio, proprio perche’, come sostenuto dalla stessa ricorrente, il procedimento penale e’ giunto al termine, con sentenza di proscioglimento dell’imputata. A tale riguardo, le sezioni unite di questa Suprema Corte hanno affermato che il trasferimento dell’azione civile nel processo penale, regolato dall’articolo 75 c.p.p., determina una vicenda estintiva del processo civile riconducibile al fenomeno della litispendenza, e non a quello disciplinato dall’articolo 306 c.p.c., in quanto previsto al fine di evitare contrasti di giudicati. Ne consegue che detta estinzione e’ rilevabile anche d’ufficio, ma puo’ essere dichiarata solo se, nel momento in cui il giudice civile provvede in tal senso, persista la situazione di litispendenza e non vi sia stata pronuncia sull’azione civile in sede penale (cfr. Cass., Sez. U, ordinanza interlocutoria n. 8353 del 05/04/2013; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17639 del 18/07/2013; si veda anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15995 del 21/07/2011, che ha escluso l’estinzione del giudizio civile laddove, al momento della declaratoria, nel frattempo, il processo penale si sia concluso senza una pronuncia sull’azione civile).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 602 c.c., comma 3 e articolo 591 c.c., comma 2, articolo 115 e 116, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, per non avere la Corte riconosciuto i principi in materia di annullamento del testamento per incapacita’ del testatore, che impongono l’accertamento di una incapacita’ assoluta al momento della redazione dell’atto di ultima volonta’.

La Corte d’Appello si sarebbe limitata a desumere l’incapacita’ totale da erronee presunzioni svolte dal Tribunale, senza tenere conto di altri elementi, essenziali e incontrovertibili, che attesterebbero l’insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge ai fini della declaratoria di annullamento per incapacita’. Tra questi, il fatto che il CTU avesse espressamente dichiarato che la forma e la sostanza del testamento fossero indicativi non di totale incapacita’, ma di una alterazione della capacita’ di intendere e di volere; le testimonianze (tra cui quella del sacerdote) che confermavano che il de cuius fosse autonomo e capace di autodeterminarsi fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta a luglio 2010; la documentazione medica dalla quale risultava che almeno fino al 2009 il signor (OMISSIS) fosse adeguatamente compos sui.

La sentenza sarebbe erronea anche nella parte in cui ha ritenuto che il testamento fosse stato redatto in un momento successivo, individuato a fine 2007, senza analizzare tutti gli scritti di comparazione grafologica, da cui emergeva un quadro involutivo del de cuius a livello grafico non progressivo, a conferma del fatto che nel 2005 il signor (OMISSIS), ancora in grado di intendere e di volere e capace di autodeterminarsi, scrivesse con un tratto piu’ involuto e meno strutturato rispetto agli anni precedenti. Significativo sarebbe poi il documento allegato al testamento, nel quale il de cuius si scusava per la cattiva grafia e ortografia.

La Corte non avrebbe poi attribuito rilievo al fatto che la CTU avesse evidenziato perplessita’ rispetto al testamento del 2000, sospettato di essere frutto di etero-determinazione e suggestione, per essere stato redatto con un linguaggio del tutto logico e appropriato, proprieta’ linguistica e ricercatezza nell’uso dei termini, in modo, cioe’, del tutto sorprendente, tenuto conto che il de cuius non aveva conseguito il diploma di quinta elementare ed era abituato a parlare in dialetto.

Del tutto illogica sarebbe poi la sentenza nella parte in cui desumeva dalla mancata revoca esplicita delle precedenti disposizioni un elemento indiziario dell’assenza di capacita’ del testatore, omettendo di considerare la contraddittorieta’ della testimonianza di (OMISSIS).

Errata sarebbe anche la valutazione delle risultanze istruttorie, da cui emergeva che il de cuius fosse intimorito dal figlio (OMISSIS) e che tale fosse la ragione del contegno di riservatezza sull’esistenza della seconda scheda testamentaria, per evitare una reazione violenta del figlio, laddove ne fosse venuto a conoscenza.

Le testimonianze confermavano l’aggressivita’ e violenza della condotta di (OMISSIS) nei confronti di tutti i componenti della famiglia, circostanze che di per se’ spiegherebbe il motivo del mutamento delle disposizioni di ultima volonta’ del de cuius. Per la stessa ragione la signora (OMISSIS) non sarebbe stata informata della redazione della seconda scheda testamentaria.

Il motivo e’ destituito di fondamento.

La ricorrente deduce la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., lamentando che il giudice abbia mal esercitato il proprio prudente apprezzamento delle prove.

Tuttavia, per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016; Cass. S.U. n. 20867/2020).

La censura della ricorrente non e’ ammissibile neppure ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che nell’interpretazione di questa Corte ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133).

Quanto alla violazione degli articoli 591 e 602 c.c. preme osservare che in tema di capacita’ naturale del testatore trovano applicazione le regole ordinarie circa la valutazione delle prove e la formazione del convincimento da parte del giudice di merito, i cui apprezzamenti di fatto non sono censurabili in sede di legittimita’ se sorretti da congrua motivazione (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1851 del 19/03/1980).

Questa Suprema Corte ha affermato ripetutamente che in tema di annullamento del testamento, nel caso di infermita’ tipica, permanente e abituale, l’incapacita’ del testatore si presume e l’onere della prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi ne afferma la validita’ (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 27351 del 23/12/2014); qualora, invece, detta infermita’ sia intermittente o ricorrente, poiche’ si alternano periodi di capacita’ e incapacita’, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacita’ deve essere data da chi impugna il testamento (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3934 del 19/02/2018; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 25053 del 10/10/2018).

In ogni caso l’incapacita’ naturale di testare non si identifica in una generica alterazione del normale processo di formazione ed estrinsecazione della volonta’, ma richiede che, a cagione di una infermita’ transitoria o permanente o di altra causa perturbatrice, il soggetto, al momento della redazione del testamento, sia assolutamente privo della coscienza dei propri atti ovvero della capacita’ di autodeterminarsi, cosi’ da versare in condizioni analoghe a quelle che, con il concorso dell’abitualita’, legittimano la pronuncia di interdizione (Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3934 del 19/02/2018; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 27351 del 23/12/2014; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1444 del 30/01/2003).

Sulla scorta di questi principi, la sentenza della Corte d’Appello risulta esente da vizi tali da giustificare la sua cassazione, avendo ritenuto che, per effetto delle circostanze evidenziate dalla CTU, il testamento fosse compatibile con le patologie riscontrate nel paziente a partire dalla fine del 2007, essendo espressione di decadimento cognitivo e di deficit di attenzione, come confermato anche dal parziale decadimento grafico.

Questo significa che al momento della redazione del secondo testamento il de cuius era affetto da un’infermita’ tale da giustificare, a parere della Corte, la conclusione per cui la redazione doveva essere avvenuta dopo il 2007, quando era gia’ insorta la patologia incapacitante. A tal fine la Corte valorizzava quanto riferito dall’ausiliario del CTU, Dott. (OMISSIS), in ordine all’accertamento del disturbo DNC Vascolare Maggiore, malattia che causava alterazioni delle funzioni cognitive superiori, tra cui la pianificazione, il processo decisionale, la memoria, l’attenzione complessa, si’ da rendere il soggetto non piu’ autonomo e incapace di autodeterminarsi, con compromissione della capacita’ di compiere atti e negozi. Cio’ era poi confermato dall’ulteriore documentazione medica in atti (verbale di pronto soccorso dell’Azienda Ospedaliera di Lecco del 29/11/2007, documentazione della commissione medico-legale della ASL della Provincia di Lecco del 26/03/2009).

La Corte superava espressamente la conclusione del CTU, a parere del quale la forma e la sostanza del testamento erano indicativi non di totale incapacita’, ma di una alterazione della capacita’ di intendere e di volere, valorizzando una serie ulteriore di elementi, a conferma del fatto che la patologia lo condusse alla perdita di ogni controllo delle facolta’ mentali (tra questi la valutazione psichiatrica del Dott. (OMISSIS), allegata alla CTU, inerente al rilevamento da parte di un medico di pronto soccorso di una sintomatologia neuropsicologica caratteristica), con un continuo peggioramento del disturbo neurocognitivo (gia’ la TAC del 2007 evidenziava lesioni patognomiche di demenza e sintomi clinici di declino cognitivo; certificazione specialistica neuropsicologica di demenza a carattere degenerativo di gennaio 2009;

successiva conferma della diagnosi con peggioramento dei test neuropsicologici a maggio 2009 e accertamento dell’invalidita’ civile).

La Corte, infine, ha individuato una serie di elementi che confermerebbero l’assunto secondo il quale, anche a voler ritenere che il testamento fosse stato redatto prima del 2007, comunque denotava uno stato di incapacita’ di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione della scheda testamentaria.

Questi elementi sono ravvisati nell’omissione del riferimento al precedente testamento, la consegna del secondo testamento a persona con cui non aveva rapporti stretti (a differenza della figlia); il mancato avvertimento della nipote, consegnataria della prima scheda, in ordine al mutamento della sua volonta’ testamentaria, nonche’ la mancata richiesta di restituzione o distruzione del primo testamento; nessun accadimento esteriore che giustificasse un mutamento tale della volonta’ testamentaria; la mancata prova di quanto (OMISSIS) avrebbe ricevuto in vita (eccetto due macchine e due viaggi); la mancata prova di violenze e minacce da quest’ultimo perpetrate ai danni del padre e della sorella.

Cosi’ facendo, la Corte d’Appello ha dato seguito alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui, ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno della capacita’ di intendere e di volere del de cuius al momento della redazione del testamento, il giudice del merito non puo’ ignorare il contenuto del testamento medesimo e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serieta’, normalita’ e coerenza delle relative disposizioni, nonche’ ai sentimenti e ai fini che risultano averle ispirate (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 230 del 05/01/2011; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5620 del 22/05/1995).

La Corte ha, altresi’, motivato in ordine all’inattendibilita’ e inconsistenza delle prove fornite dalla difesa, a causa della contraddittorieta’ della testimonianza (OMISSIS), rispetto ai modi e tempi della consegna del testamento e della carta d’identita’ per la pubblicazione del testamento, inattendibile in quanto compiacente agli interessi dell’appellante.

Ha valorizzato, al contrario, la testimonianza (OMISSIS), che riferiva delle intenzioni del de cuius di lasciare l’appartamento alla figlia (OMISSIS) e tutto il resto al figlio (OMISSIS); nonche’ della circostanza della consegna del testamento al marito affinche’ lo custodisse e delle circostanze strane della pubblicazione del testamento.

In definitiva, la censura si risolve nel tentativo di sostituire, a quella fatta propria dal giudice di merito, la propria alternativa ricostruzione dei fatti, il che ne impone il rigetto.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza, con attribuzione all’avvocato (OMISSIS) dichiaratasene anticipataria.

5. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’avv. (OMISSIS), dichiaratasene distrattaria.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.