Con riguardo alle revocatorie di rimesse bancarie instaurate secondo la nuova formulazione dell’art 67, comma 3, L. Fall. non opera più la distinzione tra conto scoperto e conto passivo e tra funzione ripristinatoria e solutoria dato che l’unico criterio è costituito dal rientro finalizzato a ridurre l’esposizione debitoria nei confronti della banca

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Tribunale Piacenza, civile Sentenza 23 dicembre 2014, n. 928

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FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, il fallimento (…) s.r.l., in persona del curatore, dopo aver premesso che, con sentenza n 51, emessa in data 23 dicembre 2005, il Tribunale di Piacenza aveva dichiarato il fallimento della società, esponeva che, all’esito dell’esame della documentazione bancaria nella disponibilità della Curatela, era emersa l’esistenza di un conto corrente acceso dalla stessa presso la filiale di S.p.A. dall’esame della quale aveva appreso che nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento la società aveva eseguito rimesse per l’importo complessivo di Euro 98.753,37 fino a raggiungere l’azzeramento della propria esposizione debitoria.

Ancora assumeva che, subito prima del periodo sospetto, la fallita aveva effettuato ulteriori rimesse, rispettivamente in data 4 giugno 2005, per Euro 48.000,00 e in data 7 giugno 2005, per Euro 24.000,00, evidentemente in adempimento di un accordo finalizzato al rientro delle esposizioni, concordato con la convenuta.

Poiché all’epoca sussistevano molteplici elementi univocamente significativi della conoscenza in capo alla banca del grave stato di dissesto della società, come ben desumibile dai bilanci relativi al 2003 e al 2004, nonché come indicato dalle schede rischi dell’epoca, la Curatela esponeva che, nel caso di specie, sussistevano tutti i presupposti di legge per richiedere la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti dei pagamenti indicati per una somma complessiva pari alle rimesse in contestazione.

A detta dell’attrice, inoltre, la convenuta aveva indotto la società a eseguire una serie di rimesse in favore del conto corrente intestato a T.M., suo amministratore di fatto, l’esposizione del quale non era garantita, minacciando altrimenti l’immediata revoca del fido concesso, con la conseguenza che sussisteva l’ulteriore diritto della Procedura di richiedere, a titolo di risarcimento del danno, la restituzione di tutti gli importi affluiti sul conto del medesimo per una somma pari ad Euro 53.008,00.

Nel giudizio si costituiva la BANCA contestando le opposte argomentazioni.

Non ammesse dal Giudice le prove orali dedotte, attesto il contenuto documentale del procedimento, all’udienza del giorno 23 dicembre 2014 le parti precisavano le rispettive conclusioni e procedevano alla discussione orale, ai sensi della previsione di cui all’art. 281 sexies c.p.c., al termine della quale veniva emessa la decisione.

Nell’ambito del presente giudizio la difesa della Curatela del Fallimento della società (…) s.r.l., dichiarato dal Tribunale di Piacenza con sentenza pubblicata in data 23 dicembre 2005, ha svolte tre distinte domande: la prima e la seconda, ai sensi della previsione di cui all’art. 67 comma 2 L. Fall., con riferimento alla revoca di una serie di rimesse affluite sul conto corrente della società sia nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento, sia poco prima, nonché la terza relativa al risarcimento per asseriti danni subiti dalla convenuta.

Tanto premesso, si osserva che al procedimento indicato si applica la previsione di cui all’art. 67 riformato, essendo intervenuto il fallimento in epoca successiva alla data del 17 marzo 2005 con la conseguenza che grava sulla Curatela fornire prova della conoscenza dello stato di decozione della fallita da parte della convenuta nel periodo sospetto, ridotto dal Legislatore ai sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento e, pertanto, nel caso di specie, con riferimento al periodo dal 23 giugno 2005 al 23 dicembre 2005. Oltre a ciò grava sempre sulla Curatela fornire prova che le rimesse revocabili abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca, la quale deve, invece, eccepire tempestivamente, all’esito dell’assolvimento di tali oneri a carico della Procedura, il limite previsto dal successivo art. 70 che pone il cosiddetto criterio differenziale, introdotto con DLGS n 169 del 2007.

Sul punto anche questo Giudice ritiene di condividere la valutazione espressa a riguardo dalla Corte di Legittimità, la quale ha affermato che, attesa la portata interpretativa e non innovativa, della modifica indicata, essa opera anche con riferimento alle dichiarazioni di fallimento intervenute in epoca precedente alla sua entrata in vigore risalente alla data del 1 gennaio 2008, come avvenuto nel caso di specie (Cass. sez. I, 7 ottobre 2010, 20834; Tribunale Bologna, 4 agosto 2011, 2167; Tribunale di Udine, 24 ottobre 2012; Tribunale Milano, 21 luglio 2009; Tribunale Milano, 27 marzo 2008).

Ed, invero, la disposizione indicata ben può essere considerata come un chiarimento dato dal Legislatore ad un principio già esistente nella precedente normativa del 2005 potendosi ricomprendere nell’espressione “rapporti continuativi e reiterati” richiamata nella dizione dell’art. 70 L. Fall. nella sua prima versione, anche il conto corrente bancario con la conseguenza che detto limite di restituzione riguardava fin dall’origine anche le rimesse bancarie, avendo il Legislatore del 2007 svolto solamente un intervento appunto chiarificatore ma non innovativo.

Ciò chiarito, si osserva, con riguardo alla domanda articolata da parte attrice, finalizzata ad ottenere la revoca anche delle rimesse intervenute in epoca precedente al 23 giugno 2005, per l’importo complessivo di Euro 72.000,00 che in realtà nessuno spazio residua per un suo accoglimento sorretto, ad avviso della Curatela sull’assunto dell’esistenza nel caso di specie di un medesimo programma di rientro dalle esposizioni concordato all’epoca dalla società con la BANCA.

È, infatti, sufficiente considerare come la norma indicata abbia circoscritto in modo perentorio il periodo sospetto rilevante ai fini della revocatoria ai sei mesi precedenti alla dichiarazione di fallimento, secondo una scelta del Legislatore a favore degli istituti di credito, perché ne consegua come nessun argomento possa giustificare, a fronte di tale dato testuale, l’estensione di tale lasso temporale oltre al termine indicato, apparendo del tutto irrilevante indagare in relazione all’esistenza o meno di accordi intercorsi tra le parti per favorire un rientro dell’esposizione in modo programmato nel tempo anche in epoca pregressa.

Ne consegue che, risalendo le rimesse indicate agli inizi del mese di giugno del 2005, l’azione svolta non può essere utilmente esperita a riguardo per insuperabili limiti temporali.

Se, dunque, ogni valutazione deve essere ricondotta al solo periodo sospetto, si osserva come ampiamente documentato dalla difesa della banca, che, diversamente da quanto prospettato dalla Curatela, le somme che sono affluite sul conto corrente in esame in tale arco temporale non sono state pari ad Euro 98.753,37, comprensivo dell’importo di Euro 81.696,99 con l’accredito del quale sarebbe stato chiuso il conto ed azzerata l’esposizione in data 14 ottobre 2005, ma sono state pari al ben minore importo di Euro 17.056,38 quale sommatoria di sei rimesse affluite sul conto rispettivamente in data 28 giugno 2005, per Euro 3.600,00, in data 11 agosto 2005, per Euro 1.425,57, in data 23 agosto 2005, per Euro 1.873,37, in data 23 agosto 2005, per Euro 3.252,00, in data 14 settembre 2005, per Euro 6.564,48 e in data 21 settembre 2005, per Euro 340,96.

Ed, invero, dalla documentazione prodotta dalla convenuta è ben emersa la circostanza secondo la quale alla data del 14 ottobre 2005, diversamente da quanto prospettato da parte attrice, non è intervenuta una ulteriore rimessa per Euro 81.696,99 ma si è verificato il passaggio a sofferenza, su apposito distinto conto, dell’importo indicato, mai ripianato, avendo la banca comunicato alla società e ai garanti T.M. e T.P. l’immediata revoca dei fidi fino a quel momento concessi.

In particolare risulta (doc 1 convenuta) che la BANCA, nell’occasione, revocava l’affidamento concesso fino all’importo di Euro 50.000,00 da utilizzare come castelletto di smobilizzo crediti e passava a sofferenza l’importo di Euro 81.697,00 (doc. 7 convenuta) oltre interessi di mora, con riguardo ai quali, con ricorso depositato innanzi al Tribunale di Bologna il successivo 18 maggio 2006, proponeva richiesta di ingiunzione di pagamento a carico dei garanti, richiesta accolta dal Tribunale, con il provvedimento monitorio del successivo 22 maggio 2006.

Se, dunque, qualsivoglia indagine in ordine alle rimesse intervenute nel periodo sospetto deve essere circoscritta agli importi indicati, di Euro 17.056,38, pari alla differenza tra Euro 98.753,37 ed Euro 81.696,99, importo quest’ultimo che, si ripete, non è mai affluito sul conto corrente della società ma che è stato passato a sofferenza con evidenza contabile riportata con la dicitura “azzeramento saldo per estinzione”, si osserva che parte attrice, dopo la costituzione della banca convenuta, nulla ha obiettato con riferimento a tale drastica riduzione quantitativa delle rimesse da valutare, avendo solo osservato, a propria giustificazione, come tali spiegazioni non le fossero state fornite in precedenza.

Sul punto pare sufficiente considerare, come evidenziato dalla convenuta, che essa risulta aver ricevuto la lettera di richiesta di restituzione da parte della Curatela solo in data 2 dicembre 2008 con notifica dell’atto di citazione il successivo 19 dicembre 2008 perché appaia evidente come, atteso il brevissimo lasso temporale intercorso, neppur fosse ipotizzabile da parte sua lo svolgimento di approfondite ed immediate ricerche della documentazione del caso per rispondere alle richieste della Curatela che, peraltro, avrebbe dovuto già avere a sua disposizione anche tale documentazione pervenuta alla società.

Così delimitato il tema del contendere, si deve, ancora, osservare che, ai sensi della disposizione invocata, di cui all’art. 67 comma 2 L. Fall. “sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati,se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento”.

Il successivo comma 3, in particolare, precisa che “non sono soggetti all’azione revocatoria….b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”.

Da tale formulazione ben emerge, in primo luogo, come sia onere della Curatela, interessata ad ottenere la revocatoria di rimesse fornire la prova, sotto il profilo soggettivo, della conoscenza dello stato di insolvenza della fallita, all’epoca delle stesse da parte della banca, nonché, sotto il profilo oggettivo, come le rimesse medesime abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito.

Ad avviso del Tribunale tale onere non può prescindere da una compiuta allegazione da parte della Procedura delle ragioni e delle circostanze idonee a connotare di tali elementi le rimesse in esame, all’esito di una attenta ricostruzione delle movimentazioni del conto corrente.

Nel caso di specie nulla di tutto ciò risulta essere stato operato dall’attrice non appena si consideri come, a fronte delle produzioni della convenuta, si è limitata a riproporre anche in memoria conclusionale le stesse identiche argomentazioni svolte in atto di citazione senza neppur tentare di analizzare in qualsivoglia modo il conto corrente in contestazione con riferimento al periodo sospetto.

Se, dunque, si pone, comunque, la necessità di una valutazione delle risultanze documentali, occorre evidenziare come, analogamente con quanto già ritenuto da altra giurisprudenza di merito, e, sia pure in modo incidentale dalla Corte di Cassazione con sentenza del 7 ottobre 2010 n 20834, peraltro relativa ad una fattispecie disciplinata dalla normativa ante 2005, la nuova formulazione dell’art. 67 L. Fall. mostri il superamento della tradizionale e precedente distinzione, ai fini della qualifica di una rimessa come revocabile o meno, tra conto scoperto e conto passivo, intendendosi revocabili le rimesse volte a ridurre l’esposizione oltre il fido ovvero effettuate su un conto non affidato, rispetto alle rimesse volte a ridurre un conto passivo, cioè nei limiti del fido, avendo in tale ipotesi la rimessa effetti meramente ripristinatori e non solutori del conto medesimo.

Tale distinzione, invero, appare superata (in termini Tribunale Torino, 21 febbraio 2014; Tribunale Udine, 24 ottobre 2012; Tribunale Ferrara, 14 maggio 2012; Tribunale Bologna, 4 agosto 2011; Tribunale Siracusa, 20 aprile 2011; Tribunale Udine, 24 febbraio 2011; Tribunale Milano, 25 maggio 2009; Tribunale Monza, 3 settembre 2008;) non appena si consideri come la nuova formulazione faccia riferimento come criterio ad un rientro operato dal correntista sul proprio conto tale da ridurne l’esposizione debitoria nei confronti della banca, concetto che sembra prescindere dalla distinzione tra atti e pagamenti, evidenziando solo la situazione di debito del correntista che, a seguito del rientro, sia stata ridotta.

A riguardo, con argomentazione condivisibile, si è sottolineato come il riferimento quale unico elemento di importanza, all’esposizione debitoria del correntista indipendentemente dall’essere o meno il conto affidato, emerga anche dalla dizione del successivo art. 70 che, ponendo un tetto massimo di importo revocabile, fa riferimento alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dell’esposizione e l’ammontare residuo della stessa all’esito dei singoli rientri.

Se, dunque appare superata la distinzione tra conto scoperto e conto passivo, si deve ancora considerare come la dizione dell’art. 67 L. Fall. abbia voluto circoscrivere le rimesse revocabili, intese come somme affluite sul conto, esclusivamente a quelle caratterizzate da una ben determinata efficacia causale; esse, per poter giustificare sotto il profilo oggettivo la revoca, devono aver ridotto durevolmente e in maniera consistente l’esposizione debitoria del fallito verso la banca.

Il duplice riferimento alla durevolezza e alla consistenza indicato può anche essere inteso come riferimento a una riduzione dell’esposizione che permanga durevole, cioè che sia di importo e di durata tale da attestare come il rientro non sia fisiologico alla vita di un conto attivo per la vita della società, cioè caratterizzato da continue movimentazioni, ma sia divenuto di fatto funzionale a soddisfare il credito della banca che si riduca stabilmente con rientri consistenti anche se non necessariamente definitivi, non potendo, invece, operare la previsione nella differente ipotesi, ad esempio, di un conto corrente congelato.

In tale ottica pare corretto a questo Giudice che, in linea generale, la verifica necessaria da svolgere debba essere fatta caso per caso, e non secondo criteri strettamente percentuali fissi, come anche proposti da altri Tribunali secondo i quali la rimesse revocabile è, ad esempio, quella pari al 10% del differenziale di cui all’art. 70 L. Fall. qualora il rientro non sia stato seguito da addebiti immediatamente successivi a distanza di pochi giorni dall’accredito in esame.

La valutazione indicata, deve necessariamente essere tendenziale, cioè rapportata all’andamento del conto nel periodo di osservazione, peraltro molto contenuto, di soli sei mesi, secondo un criterio non circoscritto all’esame delle singole rimesse, ma al loro andamento complessivo, tenuto anche conto dell’importo medio di esse rapportato, ad esempio all’importo medio dell’esposizione debitoria del correntista.

Nel caso di specie si osserva, anche all’esito dell’esame della documentazione prodotta dalla Curatela, che non ha richiesto approfondimenti di sorta, che alla data di inizio del periodo sospetto il conto corrente della società fallita presentava un saldo debitore di Euro 87.250,81 (Euro 159.250,81 – 72.000,00) e, all’atto della chiusura del conto, pari ad Euro 81.696,99.

Emerge, quindi, che, nell’arco temporale indicato, la società effettuava sei rimesse per un importo complessivo pari ad Euro 17.056,38 e per un valore medio di ciascuna di esse pari ad Euro 2.842,73 a fronte di addebiti consistiti tutti in spese di competenze per la gestione del conto, ovvero per commissioni per complessivi Euro 11.502,56 ,ad eccezione di un importo di Euro 30.000,00 in uscita e entrata nella stessa data.

Dall’esame di tali risultanze appare evidente, da un lato come il conto corrente a far tempo dalla metà del mese di giugno del 2005, non abbia avuto più alcuna vitalità o movimentazione per la vita sociale, e, dall’altro, come il saldo medio debitori sia stato di Euro 84.473,90 (Euro 87.250,81 + 81.696,99:2) rispetto al quale il rapporto percentuale tra le rimesse medie e il saldo medio risulta essere stato assolutamente contenuto pari a circa il 3%.

Orbene, in tale contesto non pare sostenibile, come peraltro neppur ipotizzato dalla stessa Curatela, che le sei rimesse in esame abbiano ridotto in modo consistentemente durevole l’esposizione debitoria della fallita, non appena si consideri che tre di esse sono addirittura ampiamente inferiori alla media indicata (rimesse per Euro 1.425,57, per Euro 1.873,37 e per Euro 340,96) e le altre tre, pari ad Euro 3.600,00, ad Euro 3.252,00 e ad Euro 6.564,48 hanno comunque inciso percentualmente sul saldo medio in misura comunque minima secondo un criterio di natura economica.

Ne consegue, pertanto, il rigetto delle domande articolate dall’attrice anche sul punto per mancata sussistenza del requisito oggettivo richiesto per la revoca, apparendo evidente come il criterio ulteriore posto dall’art. 70 L. Fall. che stabilisce un tetto massimo di revocabilità, pari nel caso di specie ad Euro 5.553,82 non possa comunque operare in mancanza della prova della consistente durevolezza dei rientri eseguiti nell’arco dei sei mesi del periodo sospetto.

Passando, da ultimo, all’esame della domanda a contenuto risarcitorio articolata dalla Curatela, si osserva che essa ha chiesto la condanna della convenuta a corrispondere in suo favore l’importo complessivo di Euro 53.008,00, pari agli importi che risultano affluiti su un conto corrente personale intestato a T.M. con addebito a carico della società poi fallita. In particolare, secondo la Curatela, dette somme sarebbero state accreditate sul conto di T.M. a seguito di una attività di vera e propria costrizione svolta dalla banca la quale, interessata ad ottenere il ripianamento di notevoli esposizioni raggiunte da T.M. sul conto a lui intestato e non garantito, avrebbe all’epoca prospettato alla società il rischio che, qualora non avesse ripianato tale esposizione con una provvista proveniente dal conto corrente a lei intestato, avrebbe revocato gli affidamenti dei quali ancora godeva la società.

Ritiene il Tribunale che anche la domanda così articolata non abbia trovato in atti fondamento di sorta. Dall’esame dei documenti prodotti dalla banca emerge, in primo luogo, come tutti i versamenti in esame siano originati dal pagamento da parte della società poi fallita di fatture emesse da T.M. nei suoi confronti per attività fornite in suo favore. Se, dunque tali dati già da soli smentiscono qualsivoglia prospettazione in ordine alla mancanza di idonea causa giustificativa degli accrediti in contestazione, si deve, ancora rilevare, come documentato dalla banca, che il conto corrente di T.M. è stato alimentato da importi provenienti dal conto della società poi fallita che costituivano i primi pagamenti eseguiti sullo stesso, subito dopo che esso era stato affidato in data 23 gennaio 2004.

Come evidenziato dalla convenuta la Curatela a riguardo non ha in alcun modo provato l’assunto secondo il quale all’epoca il conto corrente di T.M. fosse già in condizioni di esposizione verso di lei, con la conseguenza che la prospettazione svolta è rimasta a livello puramente astratto.

Per completezza si rileva, infine, come nessun maggior elemento di prova sia desumibile neppure dalle dichiarazioni rese da T.P., legale rappresentante della società fallita (doc 5 attrice) non appena si consideri come nell’occasione T.P. abbia reso una deposizione assolutamente generica, relativa ad asserite pressioni esercitate da Ca. sulla società al fine di ottenere il rientro delle esposizioni di T.M., senza mai contestualizzare le sue affermazioni, peraltro ampiamente interessate attesa la sua posizione di coimputata per il reato di bancarotta preferenziale definito con applicazione della pena, e relativo a condotte del tutto differenti ascritte ad entrambi, consistite nella distrazione di ingenti somme a fine 2005 concesse al medesimo dalla società a titolo di finanziamento.

All’esito delle risultanze esposte si impone, pertanto, anche sul punto il rigetto della domanda di parte attrice.

In considerazione della novità e delicatezza delle questioni trattate sussistono, comunque, gravi motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE DI PIACENZA definitivamente pronunciando così provvede

RIGETTA

tutte le domande articolate dal FALLIMENTO della società (…) s.r.l. in persona del Curatore nei confronti di BANCA in persona del legale rappresentante pro tempore;

DICHIARA

integralmente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Piacenza il 23 dicembre 2014.

Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2014.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.