La distinzione fra rimesse ripristinatorie della disponibilità e rimesse solutorie non ha più alcun rilievo, posto che il termine rimesse utilizzato dal legislatore prescinde dalla distinzione fra atti e pagamenti, con la conseguenza che l’esposizione debitoria va riferita al debito che il correntista ha verso la banca a prescindere dall’utilizzo o meno di linee di credito formalmente accordate ovvero di semplici tolleranze di scoperto o fidi di fatto

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Tribunale Udine, Sezione 2 civile Sentenza 24 ottobre 2012
Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI UDINE

SEZIONE SECONDA CIVILE

il giudice unico dr. GIANFRANCO PELLIZZONI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. (OMISSIS) R.A.C.C. promossa con atto introduttivo notificato in data 3.07.2010, Cron. (OMISSIS) Uff. giud. Unep. Del Tribunale di Udine

da

CURATELA DEL FALLIMENTO A S.r.l. con il proc. e dom. l’avv., per procure speciale a margine dell’atto di citazione,

attrice

contro

BANCA B S.p.A. con il proc. e dom. avv. ti per mandato in calce alla comparsa di risposta

convenuta;

Oggetto: azione revocatoria fallimentare.

FATTO E DIRITTO

L’attrice ha convenuto in giudizio la Banca B S.p.A. chiedendo la revoca delle rimesse affluite sul conto corrente di corrispondenza n. (…) intrattenuto dalla fallita società A S.r.l. con l’istituto di credito in questione nel periodo sospetto dei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento (20.05.2007 – 20.11.2007), che avevano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria della banca, quantificate nell’importo di Euro 239.184,68 – nei limiti del massimo scoperto – sull’assunto che la stessa conosceva lo stato di dissesto in cui versava la debitrice.

Nel costituirsi in giudizio la convenuta resisteva alla domanda negando la sussistenza dei presupposti per l’esperimento dell’azione revocatoria, sia in riferimento alle rimesse che non possedevano i requisiti richiesti dalla legge, sia in riferimento alla conoscenza dello stato di dissesto della debitrice nel periodo in questione.

La domanda è fondata e va pertanto accolta.

L’attrice ha impugnato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lett. b L. fall. le rimesse effettuate sul conto corrente della società fallita, nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, che erano andate a ridurre in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria della società nei confronti del convenuto istituto, individuate in sede di precisazione delle conclusioni nel complessivo importo di Euro 163.384,68, tenuto conto che il massimo scoperto del periodo in questione era ammontato secondo la sua ricostruzione a Euro 226.046,61 e che il conto risultava affidato per l’importo di Euro 5.000,00.

Va in primo luogo osservato come il nuovo art. 67, terzo comma, lett. b) L. fall. individui le rimesse revocabili, in base all’eccezione alla regola generale della irrevocabilità delle rimmesse su “conto corrente bancario” (vale a dire su conto corrente ordinario, che è il conto disponibile per il cliente), come quelle che abbiano nel periodo sospetto ridotto in maniera “consistente e durevole” l’esposizione debitoria.

Tale disposizione che fa riferimento in maniera atecnica alle “rimesse” affluite sul conto corrente ordinario che sono andate a ridurre” l’esposizione debitoria “ha dato immediatamente luogo a non pochi dibattiti circa la rilevanza o meno della distinzione utilizzata dalla giurisprudenza sotto il vigore della prededente disciplina della legge del 1942 fra conto passivo e conto scoperto, che individuava come revocabili le sole rimesse affluite su conto corrente scoperto e non anche quelle su conto passivo, e quindi solo quelle rimesse che erano andate a ripianare esposizioni oltre il limite del fido concesso dalla banca al cliente e non quelle che erano andate a ripianare la mera provvista e la distinzione fra saldi passivi computati secondo il criterio disponibile, o secondo il creterio contabile o per valuta, essendosi la giurisprudenza di merito divisa fra chi ritiene ancora rilevante tale distinzione (cfr. per tale prima posizione Trib. Milano, 27.03.2008., in Fall., 2008, 1213, id. 21.07.2009 e da ultimo Trib. Udine 16.04.2011, in (…) e anche se pur in maniera più ambigua con un obiter dictum Cass. 7.10.2010, n. 20834, che sembra affermare la revocabilità delle rimesse anche non consistenti e durevoli affluite su conto scoperto) e chi invece ritiene del tutto irrilevante e superato tale aspetto (cfr. per tale secondo orientamento Trib. Udine, 24.02.2011, in Fall., 2011, 688 e in (…), Trib. Milano, 25.05.2009, in Dir. banc., 2009, I, 447 e Trib. Monza, 3.09.2008, id, 2009, I, 91).

Tale distinzione fra rimesse ripristinatorie dei limiti del fido e rimesse solutorie – ad avviso di questo giudicante – non appare più avere alcuna rilevanza, posto che il termine “rimesse” utilizzato dal legislatore prescinde dalla distinzione fra atti e pagamenti, con la conseguenza che l’esposizione debitoria va riferita al debito che il correntista ha verso la banca a prescindere dall’utilizzo o meno di linee di credito formalmente accordate o di semplici tolleranze di scoperto o fidi di fatto, con un giudizio ex post, volto a valutare se le rimesse in questione unitariamente considerate abbiano determinato una situazione di riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria, mentre in precedenza era necessario valutare ex ante la natura delle singole rimesse onde accertare se si trattasse o meno di pagamenti revocabili, vale a dire di rimesse affluite su un conto scoperto e come tale immediatamente esigibile dalla banca, oppure di rimesse che erano andate semplicemente a ripristinare la provvista nei limiti del fido concesso o di rimesse che erano state immediatamente utilizzate dal correntista per effettuare dei pagamenti a terzi (come nel caso delle c. d. partite bilanciate).

Sotto il vigore della legge del 1942 infatti era necessario qualificare le singole annotazioni in conto (o rimesse) come atti solutori per poter pervenire ad un giudizio di revocabilità dei pagamenti liquidi ed esigibili e si era pertanto distinto fra rimesse solutorie che erano andate a ripianare un conto scoperto superiore al limite del fido e quindi immediatamente esigibile e rimesse aventi carattere ripristinatorio della provvista nei limiti del fido concesso – esigibile – a differenza del primo caso solo a scadenza o revoca, con la conseguenza che non tutte le rimesse derivanti dalla sommatoria delle annotazioni in conto potevano essere revocate, ma solo quelle che avevano natura solutoria, essendo andate a ripianare una esposizione immediatamente esigibile dalla banca, in riferimento alla situazione del conto nel momento in cui era stata effettuata.

La citata giurisprudenza di legittimità correttamente intesa aveva infatti affermato che erano revocabili non tanto i debiti esigibili alla data del pagamento, quanto piuttosto i debiti liquidi ed esigibili alla data del fallimento, qualificando come “pagamenti” le sole rimesse affluite su conto scoperto e non quelle affluite su conto passivo, entro i limiti della provvista.

Con la modifica introdotta dalla riforma il legislatore ha invece recuperato il criterio del saldo contabile, che era stato abbandonato dalla giurisprudenza più recente, prevedendo la revocabilità della sommatoria delle singole rimesse che abbiano ridotto l’esposizione debitoria in maniera consistente e durevole, a prescindere dalla riduzione o meno dell’esposizione extra fido che appare aver perso qualsiasi rilevanza, dato che quello che conta è il risultato finale al momento della chiusura del rapporto.

È infatti evidente sotto tale profilo che anche una rimessa affluita su mero conto passivo, pur ripristinando la provvista, può comportare un rientro definitivo della banca, quando il correntista non possa più utilizzare la disponibilità in questione per il congelamento del rapporto o per il recesso dal contratto o perché il rapporto si chiuda per il fallimento del correntista e per converso come una rimessa affluita su conto scoperto non comporti un rientro durevole o definitivo della banca, quando il correntista riutilizzi le somme affluite sul conto.

Tale conclusione trova d’altro canto conforto nello stesso art. 70 L. fall., che nell’individuare il limite massimo di revocabilità delle rimesse facendo riferimento al rientro della banca dall’esposizione massima verificatasi nel periodo sospetto, prescinde completamente dallo sconfinamento o meno dai limiti del fido, guardando piuttosto al flusso degli accreditamenti e degli addebiti.

Con il termine rimesse poi il legislatore non ha inteso fare riferimento a tutte le annotazioni in conto (vale a dire a tutti gli accreditamenti e addebitamenti annotati sul conto), ma solo a quelli che siano andati ad incidere sul patrimonio del debitore.

Va in secondo luogo osservato come la nuova formulazione legislativa ancori la revocabilità delle rimesse alla circostanza che le stesse abbiano ridotto in maniera “consistente e durevole l’esposizione debitoria” e come tale indicazione non sia di facile interpretazione.

Sotto il profilo della consistenza una prima lettura del testo normativo ha portato parte della dottrina e anche della giurisprudenza a valutare in maniera atomistica le singole rimesse revocabili, pervenendo alla conclusione (invero non appagante ed anzi ad avviso di questo giudicante del tutto fuorviante rispetto allo spirito della riforma) che possano essere revocabili solo le singole rimesse che con un criterio quantitativo in termini percentuali (e quindi relativo e non assoluto) siano andate a ridurre l’esposizione debitoria (cfr. Trib. Milano, 27.03.2008, cit. che considera consistente una riduzione dell’esposizione debitoria operata da una singola rimessa pari al 10% della differenza fra la massima esposizione e il saldo finale, ma anche Trib. Monza citato, che individua nel 7% tale percentuale).

Tale soluzione è tuttavia apparsa subito non adeguata a afferrare l’effettivo meccanismo di rientro dall’esposizione debitoria da parte della banca, in danno degli altri creditori, non solo perché porterebbe a ritenere rientranti nell’esenzione anche quelle rimesse atomisticamente considerate che pur avendo durevolmente ridotto l’esposizione della banca non abbiano un rilevanza quantitativamente significativa, dimenticando tuttavia che ciò che conta – secondo una acuta e condivisibile osservazione di alcuni commentatori – non è l’ammontare della singola operazione, ma il risultato solutorio finale, ma anche perché come risulta dimostrato dalle prime pronunzie giurisprudenziali consegna all’arbitrio del singolo giudice la decisione su quale sia la soglia quantitativa “rilevante” con un margine di discrezionalità francamente non solo eccessivo, ma perfino irrazionale e contrario a quella che era lo spirito della riforma, volta a consentire di individuare con ragionevole certezza per tutti gli operatori coinvolti la fenomenologia delle rimesse revocabili onde poter gestire la crisi delle imprese in maniera soddisfacente per il sistema economico.

Sotto tale profilo appare corretta quella notazione di parte della dottrina che una tale interpretazione non può che portare a conseguenze aberranti e financo lesive del principio fissato dall’art. 3 della Costituzione essendo evidente che tutti i pagamenti liquidi ed esigibili intervenuti nel periodo sospetto sono revocabili, quando abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione nel suo complesso a prescindere dall’entità delle singole rimesse, non dipendendo l’inefficacia di un atto lesivo dall’entità della lesione stessa.

In tale prospettiva di visione olistica della riduzione dell’esposizione bancaria il termine consistente utilizzato dal legislatore non può essere disgiunto dal termine durevole e tale requisito esplicitato dalla norma va considerato piuttosto sotto il profilo qualitativo come mero rafforzativo del termine durevole, nel senso che la formula consistente non esprime un diverso concetto rispetto al termine durevole, ma rappresenta una endiadi che vale a rinforzare quest’ultimo aspetto che è quello realmente rilevante (ed è rappresentato dall’alterazione del ritmo di movimentazione del conto rispetto ai parametri normali di utilizzo dello stesso) e “consistente” significa pertanto “non effimero” o che persiste stabilmente nel tempo, avendo consentito un rientro della banca se non definitivo comunque persistente e tale da poter essere qualificato come pagamento di un debito liquido e esigibile.

In caso contrario non si potrebbe tener conto di una strategia di rientro progressiva rappresentata dalla sommatoria di molteplici rimesse di modesto importo, susseguitesi nel tempo, che tuttavia abbiano progressivamente ridotto l’esposizione debitoria considerata nel suo complesso nell’arco temporale sospetto.

Come osservato dallo stesso ctu nella presente vertenza, in senso critico nei confronti della posizione atomistica (v. ctu prof. Ru. pagg. 16 e ss.) l’aver posto l’attenzione da parte del legislatore della riforma al singole rimesse e alla loro capacità di ridurre – singolarmente considerate – l’esposizione in maniera consistente e durevole può impedire di cogliere il processo di rimborso nella sua interezza e lo sviluppo della complessiva relazione.

A ciò si aggiunga – come notato acutamente dal ctu – che la considerazione della singole rimesse potrebbe stimolare comportamenti elusivi, ove la banca nel rapporto con un’impresa in difficoltà che possa sfociare in uno stato di insolvenza, potrebbe influenzare la dinamica del conto suggerendo alla controparte un frazionamento delle rimesse in entrata e una certa diluizione temporale delle stesse, al fine di rientrare nell’esenzione contemplata dalla norma.

Per quanto attiene poi al termine “durevole” si deve ritenere che l’espressione utilizzata dal legislatore abbia voluto indicare non tanto o non solo una riduzione definitiva dell’esposizione, quanto piuttosto una riduzione dell’esposizione che tenga conto dell’andamento del rapporto, dovendo essere di volta in volta verificato se la riduzione abbia assunto un carattere (a prescindere dal caso ovvio della definitività) di durevolezza nel tempo o meno, tale da configurarsi come una alterazione della normale alternanza di operazioni di addebito e di accredito, in modo che successivi nuovi utilizzi distanziati nel tempo possano rappresentare in qualche modo una autonoma concessione di credito.

La riduzione dell’esposizione “consistente e durevole” è pertanto solo quella che si verifica quando le rimesse che hanno diminiuto l’esposizione non siano state quasi immediatamente neutralizzate da nuovi utilizzi da parte del correntista per le esigenze dell’impresa, secondo quello che è il ritmo normale di utilizzo del conto, con la conseguenza che sono escluse dalla revocatoria quelle variazioni del conto che siano collegabili alle ordinarie esigenze di cassa del correntista e tale previsione ben si lega con il criterio del massimo scoperto inserito dall’art. 70, terzo comma, L. fall., che limita la revocabilità alla differenza fra la punta massima dell’esposizione e l’ammontare residuo alla data di apertura del concorso, in modo da evitare che la sommatoria delle rimesse revocabili superi il limite dell’effettivo rientro.

Non va infatti dimenticato che (come osservato anche da autorevole e condivisibile dottrina) le ragioni dell’esenzione introdotta dal legislatore vanno individuate nell’esigenza di assicurare una ordinaria attività dell’impresa con l’espletamento del servizio di cassa che è una delle specifiche funzione del rapporto di conto corrente ordinario, per cui le variazioni in un senso e nell’altro legate alle diverse e specifiche esigenze di cassa succedutesi in un breve arco temporale non potranno considerasi né consistenti, né durevoli, mentre saranno considerate revocabili le variazioni che siano andate ad alterare le fisiologiche movimentazioni del conto riducendo in maniera significativa l’esposizione in un arco temporale sufficientemente lungo e tale da aver alterato il ritmo abituale dei flussi finanziari legati alle esigenze di cassa del correntista.

In tal senso anche una progressiva riduzione dell’esposizione debitoria che sia persistita in un arco sufficientemente ampio di tempo, pur con versamenti di modesto importo, ma che abbia portato ad una consistente riduzione dell’esposizione complessiva va considerata “consistente e durevole” dovendo essere valutata nel suo complesso, quando sia andata ad alterare il normale utilizzo del conto, pur potendosi ipotizzare che a significativa distanza di tempo la banca abbia consentito dei nuovi utilizzi per non paralizzare la vita dell’impresa, attuando una strategia di rientro graduale dall’esposizione e non una strategia di rientro radicale e definitivo.

Se alla luce di tali considerazioni si passa ad esaminare il rapporto di conto corrente controverso in una visione olistica del rientro operato dalla banca, le conclusioni cui è pervenuto il ctu, che d’altro canto ha seguito la falsariga della ricostruzione del rapporto operata dalla curatela fallimentare – pur mettendo giustamente in evidenza la criticità di una tale ricostruzione, che non individuava il reale progressivo rientro della banca dall’esposizione – sono solo parzialmente condivisibili, in quanto lo stesso ha esaminato le sole rimesse consistenti (vale a dire che avevano comportato un rientro dall’esposizione pari o superiore al 10% in percentuale), valutando poi se tali rimesse avevano ridotto l’esposizione in maniera durevole e pervenendo ad un giudizio positivo per due sole rimesse.

Tale impostazione (peraltro dubitativa dello stesso ctu che ha demandato al giudice la valutazione definitiva delle rimesse revocabili evidenziando la criticità di una tale soluzione nel caso concreto) non appare tuttavia – per i motivi esposti – corretta, in quanto quello che conta è la riduzione consistente e durevole verificatasi nel periodo sospetto in base all’analisi dell’andamento del rapporto nel suo complesso e del suo scostamento da quello che può essere considerato un andamento fisiologico del servizio di cassa del correntista.

In tal senso lo stesso ctu ha rilevato che “nella fattispecie la complessiva dinamica del conto nel periodo sospetto fornisce chiara evidenza di un progressivo rimborso del debito in conto corrente a carico della A srl, il quale ha raggiunto un picco effettivo di Euro 176.046,41 in data 7.07.2007 per azzerarsi in soli tre mesi al 10.10.07, anteriore alla data di fallimento. La dinamica è palese pur in presenza di addebitamenti e accreditamenti che attribuiscono ai saldi una certa variabilità, tipica di un conto corrente, con al sua natura di strumento di pagamento”, confermando indirettamente che una visione atomistica delle singole rimesse non coglie in alcun modo nel segno e non è in gradi di afferrare il fenomeno del “rientro” dall’esposizione debitoria, che il più delle volte – e segnatamente nel caso in esame – ha andamento graduale e progressivo e non immediato.

Va preliminarmente osservato come sia pienamente condivisibile l’affermazione del ctu che il massimo scoperto del periodo ammonti a Euro 176.046,41 e non all’importo di Euro 226.046,61 inizialmente indicato dalla curatela, in quanto le due rimesse di Euro 25.000,00 ciascuna di data 7.06.07 sono sostanzialmente contestuali ad un addebito di Euro 50.904,50 ed erano ragionevolmente servite per costituire la necessaria provvista con conseguente azzeramento delle due partite bilanciate.

Scendendo poi all’esame delle rimesse revocabili si deve rilevare che la prima rimessa considerata dalla curatela di Euro 26.908,05 di data 8.06.2007 – come giustamente osservato dal ctu – non può essere considerata durevole, in quanto non ha ridotto stabilmente l’esposizione scesa in tale data da Euro 168.502,25 a Euro 141.594,20, atteso che l’esposizione in data 15.06.2007 era poi risalita all’importo di Euro 142.081,69, mantenendosi sostanzialmente costante fino al 4.07.07 alla cui data ammontava a Euro 157.567,57, con una punta di Euro 167.681,35 al 19.06.2007 (v. ctu e grafico dell’andamento del conto).

Parimenti non revocabile appare la rimessa di data 5.07.2007 di Euro 40.000,00 che aveva ridotto l’esposizione da Euro 157.567,57 a Euro 117.567,57, in quanto anche in questo caso l’esposizione era poi risalita nel giro di pochi giorni in data 9.07.07 a Euro 148.662,09 con continui flussi debitori e creditori indicatori di un normale svolgimento del sistema di cassa (v. grafico con l’analisi dei flussi).

Per contro certamente revocabili appaiono le rimesse di data 10.07.07 rispettivamente di Euro 14.360,67 e di Euro 32.383,65 in quanto le stesse globalmente considerate avevano ridotto l’esposizione del giorno precedente da Euro 134.301,42 a Euro 101.917,77 in maniera durevole dato il successivo andamento del conto, che aveva presentato una esposizione alla data del 18.07.07 di Euro 105.638,76, così come le rimesse di data 24.07 e di data 25.07.07 rispettivamente di di Euro 12.000,00 e di Euro 16.000,00 che unitariamente considerate avevano durevolmente ridotto l’esposizione a Euro 77.640,26, esposizione che si era mantenuta costante fino al 3.08.07 ove ammontava a Euro 80.550,62 evidenziando un progressivo e ininterrotto graduale rientro della banca dal massimo scoperto del giorno 8.06.07 di Euro 176.166,61 (v. ancora ctu).

Non revocabile appare invece l’impugnata rimessa del 6.08.07 di Euro 30.000,00 in quanto come notato del ctu pur avendo la stessa ridotto considerevolmente l’esposizione debitoria a Euro 50.550,62, mancava il requisito della durevolezza, dato che l’esposizione era poi immediatamente risalita al 7.08.07 a Euro 75.657,72 evidenziando ancora una volta un normale andamento del servizio di cassa del conto corrente ordinario.

Per contro revocabile va considerata – conformerete alle considerazioni del ctu – la rimessa di Euro 34.092,98 di data 8.08.2007 che aveva ridotto stabilmente l’esposizione da Euro 47.035,32 a Euro 12.942,34, ma anche le altre tre rimesse di pari data rispettivamente di Euro 10.000,00, di Euro 12.760,88, di Euro 5.861,52, in quanto tali accrediti unitariamente considerati insieme alla prima rimessa avevano ridotto stabilmente l’esposizione da Euro 75.657,72 a Euro 12.942,34, esposizione che non era più risalita nel periodo successivo oltre l’importo di Euro 16.599,89, successivamente sceso fino a zero, con un conto positivo a partire dal 1.10.07, fino all’estinzione, salvo un breve periodo dal 3.10. al 5.10.07 in cui il conto era tornato passivo fino a Euro 3.891,00, evidenziando anche in questo caso un progressivo durevole rientro dall’esposizione massima raggiunta nel periodo (v. ancora ctu e relativi grafici dell’andamento del conto).

Alla stregua di tali considerazioni l’importo delle rimesse revocabili ammonta a Euro 137.459,7, comunque inferiore al massimo scoperto del periodo sospetto pari a Euro 176.046,61 (rappresentante il limite dell’obbligazione restitutoria della banca) e alla richiesta della curatela ammontante a Euro 163.384,68, che aveva preso in considerazione anche una serie di rimesse che non avevano durevolmente ridotto l’esposizione, a nulla rilevando ai fini della corrispondenza fra quanto richiesto e pronunziato, che la curatela non avesse indicato nella sua ricostruzione contabile altre rimesse, che invece unitariamente considerate possedevano tale requisito, avendo concorso stabilmente a ridurre progressivamente l’esposizione della banca rispetto al massimo scoperto del periodo sospetto.

La curatela ha infatti impugnato le rimesse revocabili nel periodo in questione nell’ammontare globale di Euro 163.384,68, pari alla riduzione dell’esposizione debitoria da lei prospettata, spettando poi al giudice, nei limiti di tale somma massima, di individuare di volta in volta quali fossero le rimesse in concreto revocabili, in quanto rispondenti ai citati criteri di consistenza e durevolezza in riferimento all’andamento globale del rapporto di conto corrente.

Parimenti provato appare il secondo aspetto richiesto dall’art. 67 L. fall. per la revocatoria delle rimesse e relativo alla conoscenza dello stato di insolvenza nel periodo sospetto da parte dell’accipiens, sulla base dei dati di bilancio conoscibili dalla banca convenuta (cfr. Cass. n. 10208 del 03/05/2007, secondo cui: “In tema di prova della “scientia decoctionis” nella revocatoria fallimentare, non viola il divieto di “praesumptio de praesumpto” il giudice di merito il quale, ritenuta, in base alle circostanze, presuntivamente provata la conoscenza, da parte della banca creditrice, del bilancio della società debitrice, poi fallita, al momento del pagamento, ne evinca, altresì, la conoscenza dello stato di insolvenza palesato dal documento contabile, la quale costituisce una mera implicazione della ritenuta conoscenza del bilancio: sicché si è al cospetto di un’unica presunzione, sia pure articolata su autonome circostanze di fatto”; nonché Cass. n. 4762 del 28/02/2007, secondo cui: “In tema di azione revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore da parte del terzo contraente dev’essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo non già la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche dell’imprenditore, bensì la concreta situazione psicologica del terzo al momento della stipula dell’atto impugnato, la quale può essere desunta anche da semplici indizi, aventi l’efficacia probatoria delle presunzioni semplici ed in quanto tali soggetti a concreta valutazione da parte del giudice di merito, da compiersi in applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. A tal fine, dovendosi conferire rilievo ai presupposti ed alle condizioni in cui il terzo si è trovato ad operare nella specifica situazione, la circostanza che esso rivesta la qualità di istituto bancario non è di per sé determinante, neppure se correlata al parametro (del tutto teorico) del creditore avveduto, ma viene in considerazione solo in presenza di concreti collegamenti con i sintomi conoscibili dello stato d’insolvenza, quali notizie di stampa, risultanze di bilancio, protesti, procedure esecutive, etc.; è soltanto in quest’ambito, infatti, che può attribuirsi rilevanza anche all’attività professionale esercitata dal terzo, nonché alle regole di prudenza ed avvedutezza che, indipendentemente da ogni doverosità, caratterizzano concretamente l’operare della categoria di appartenenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza impugnata, che aveva desunto la conoscenza dello stato d’insolvenza, oltre che dall’esistenza di ingiunzioni, precetti ed istanze di fallimento, dai rapporti di conto corrente intercorsi direttamente tra la banca ed il fallito”).

Sotto tale profilo il ctu ha evidenziato che gli ultimi tre bilanci della società fallita relativi al triennio 2004 -2006 avevano fatto emergere un risultato operativo negativo, con un indicatore ROS (return on sales) costantemente con valori negativi, a testimonianza dell’incapacità dei ricavi di fornire copertura dei costi della gestione caratteristica e tutta una serie di altri indici da cui emergeva una redditività costantemente negativa, oltre ad un aggravamento della situazione di indebitamento con oneri finanziari che avevano ulteriormente aggravato la già precaria condizione economica.

Il ctu ha concluso la sua analisi affermando inoltre che nel bilancio al 31.12.2006 vi era stata una riclassificazione dei crediti di fatto inesigibili che aveva aggravato ulteriormente il quadro, per cui tutti gli indicatori economici, finanziari e patrimoniali desumibili dal bilancio, rappresentavano una situazione per quanto già critica, anche meno grave di quanto fosse in realtà, concludendo la sua relazione sul punto con la netta affermazione che “… sulla base dei bilanci degli ultimi tre anni prima del fallimento … può affermarsi che uno stato di insolvenza prefallimentare era conoscibile dalla banca fin dall’inizio del periodo sospetto in data 20.05.07, a maggior ragione se si considera che la prima rimessa revocabile era stata effettuata in data 10.07.07, quando realisticamente anche il bilancio al 31.12.2007 era conoscibile”.

La convenuta va pertanto condannata al pagamento della somma di Euro 137.459,7, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo.

Il pagamento delle spese – liquidate come in dispositivo – segue la soccombenza.

La sentenza di condanna consequenziale a pronunzia costitutiva, va dichiarata immediatamente esecutiva ex lege.

P.Q.M.

Il Tribunale definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, istanza ed eccezione reietta:

dichiara l’inefficacia delle impugnate rimesse, condannato la banca al pagamento della somma di Euro 137.459,7, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo;

condanna la convenuta al pagamento delle spese del giudizio a favore dell’attrice, che liquida in Euro 12.200,00 per compensi, oltre a Euro 527,00 per spese, cna e iva, se dovuta e alle spese di ctu liquidate come in atti;

dichiara la presente sentenza immediatamente esecutiva.

Così deciso in Udine il 24 ottobre 2012.

Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2012.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.