l’utilizzazione individuale del bene comune e’ consentita qualora, per le concrete modalita’ in cui viene attuata, essa non si traduca nell’esclusione delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari. In tema di condominio, e’ legittimo, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalita’ particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purche’ nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso piu’ intenso della cosa, purche’ non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. In tema di condominio negli edifici, non e’ automaticamente configurabile un uso illegittimo della parte comune costituita dall’area di terreno su cui insiste il fabbricato e posano le fondamenta dell’immobile, in ipotesi di abbassamento del pavimento e del piano di calpestio eseguito da un singolo condomino, dovendosi a tal fine accertare o l’avvenuta alterazione della destinazione del bene, vale a dire della sua funzione di sostegno alla stabilita’ dell’edificio, o l’idoneita’ dell’intervento a pregiudicare l’interesse degli altri condomini al pari uso della cosa comune.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 27 settembre 2018, n. 23389

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10748-2014 proposto da:

(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n.338/2013 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 14/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 13.3.2003 (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano innanzi il Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Clusone, (OMISSIS) e (OMISSIS), deducendo di essere proprietari di un immobile avente accesso da una strada privata in comunione con i convenuti e lamentando l’esecuzione, da parte di questi ultimi, di lavori di interramento di alcune tubature lungo la predetta strada, in asserita violazione delle norme di cui agli articoli 1102 e 1108 c.c., nonche’ l’utilizzazione della strada come parcheggio. Inoltre, gli attori esponevano che la strada, che avrebbe dovuto avere una larghezza di metri 4, sarebbe stata ristretta in conseguenza della realizzazione, da parte dei convenuti, del muro di recinzione della loro proprieta’ esclusiva.

Gli attori invocavano quindi la condanna dei convenuti alla rimozione delle tubature interrate lungo la strada, con ripristino dei luoghi, alla cessazione dell’uso della stessa come parcheggio, all’arretramento del muro di confine della loro proprieta’ e al risarcimento del danno.

Si costituivano in giudizio i convenuti resistendo alla domanda ed eccependo che la riduzione della larghezza della carreggiata era da ascrivere al fatto che gli attori avessero edificato il muro di recinzione della loro proprieta’ invadendo in parte il sedime della strada. Invocavano quindi, in via riconvenzionale, la condanna degli attori all’arretramento del loro muro.

Il Tribunale accoglieva la domanda degli attori ordinando ai convenuti la rimozione delle tubature interrate lungo la strada, inibendo l’uso della stessa a parcheggio, ordinando il ripristino della sua larghezza di metri 4 e condannando i predetti convenuti al risarcimento del danno in misura di Euro 500.

Interponevano appello (OMISSIS) e (OMISSIS) e la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata n. 338/2013, accoglieva l’appello respingendo le domande proposte in prime cure da (OMISSIS) e (OMISSIS); confermava il rigetto della domanda riconvenzionale proposta dagli appellanti in prima istanza; compensava per un terzo le spese di ambo i gradi, ponendo i restanti due terzi a carico di (OMISSIS) e (OMISSIS); poneva le spese di CTU a carico delle parti in misura paritetica.

A sostegno della propria decisione, la Corte territoriale riteneva che l’interramento di tubature lungo la strada comune alle parti non costituisse atto eccedente i limiti di cui all’articolo 1102 c.c., non avendo l’ (OMISSIS) e la (OMISSIS) neanche dedotto che le predette condutture avessero occupato l’intera larghezza della strada predetta, ne’ che l’opera impedisse in concreto analoga utilizzazione del sottosuolo della strada da parte degli appellati. Riteneva inoltre che l’istruttoria avesse dimostrato che gli appellanti utilizzavano la strada solo per brevi soste dei loro veicoli, e che anche tale comportamento non violasse l’articolo 1102 c.c. Respingeva pertanto la domanda risarcitoria proposta dall’ (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), ritenendola connessa al dedotto uso improprio della strada comune.

La Corte territoriale riteneva inoltre che le parti, con le contrapposte domande da loro proposte in relazione al ripristino della larghezza della strada, avessero inteso introdurre un’azione di accertamento del confine corrente tra i rispettivi fondi di proprieta’ esclusiva e la strada in comune, facendo riferimento ad un frazionamento del 28.11.1955 ed asserendone la non esatta corrispondenza allo stato dei luoghi.

Secondo la Corte bresciana, detto frazionamento non indicava la larghezza della strada, ne’ risultava, dai diversi titoli prodotti dalle parti, una specifica previsione circa l’asserita larghezza di 4 metri della strada stessa. Peraltro, il Tribunale aveva omesso di rilevare che gli attori (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano contestato la minor larghezza della via di accesso solo nel secondo tratto, recintato nel 1995, e non anche nel primo, delimitato da un vecchio muro di contenimento, ed aveva quindi pronunciato oltre la domanda, nella parte in cui aveva ordinato ai convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) l’arretramento dell’intera recinzione della loro proprieta’. Inoltre, secondo la Corte di Appello il primo giudice aveva errato nel non tener conto della domanda di usucapione introdotta dai convenuti, che era risultata fondata alla luce dell’istruttoria.

Infine, la Corte territoriale confermava il rigetto della riconvenzionale proposta dai convenuti, avente ad oggetto l’arretramento della recinzione degli attori, condividendo le misurazioni effettuate dal C.Testo Unico e ritenendo inammissibili i nuovi documenti prodotti dagli appellanti soltanto in secondo grado.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione (OMISSIS) e (OMISSIS) affidandosi a sei motivi. Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1102 e 1117 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, perche’ la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che l’interramento delle tubature lungo la strada comune rappresenta un fatto idoneo a costituire un diritto di servitu’ sulla cosa comune, come tale eccedente i limiti dell’uso consentito di cui all’articolo 1102 c.c.

Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano da un lato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, e dall’altro la violazione e falsa applicazione degli articoli 1102 e 1117 c.c., sempre in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che, una volta dimostrata la sosta dei veicoli lungo la strada, spettava ai convenuti fornire la dimostrazione della natura occasionale e temporanea di detta sosta; in difetto, la Corte bresciana avrebbe dovuto ritenere dimostrato l’uso della cosa comune eccedente il limite di cui all’articolo 1102 c.c.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano ulteriormente da un lato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, e dall’altro la violazione e falsa applicazione degli articoli 1102 e 1117 c.c., sempre in riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente respinto la domanda risarcitoria da loro proposta in riferimento all’uso illecito della cosa comune.

Le prime due censure, tutte attinenti all’utilizzazione della strada comune da parte dei controricorrenti, possono essere trattate congiuntamente e sono inammissibili. Infatti con esse i ricorrenti invocano una rivalutazione del giudizio di merito proposto dalla Corte territoriale, proponendo una ricostruzione dei dati di fatto e delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio alternativa rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale, senza considerare che “Con il ricorso per cassazione la parte non puo’ rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiche’ la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi e’ preclusa in sede di legittimita’” (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n.29404 del 07/12/2017, Rv.646976; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n.4916 del 15/04/2000, Rv.535737).

Infatti, in continuita’ con il precetto contenuto nella sentenza delle S.U. di questa Corte n.24148 del 25/10/2013 (Rv.627790), va riaffermato che il motivo di ricorso non puo’ mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione”.

Le doglianze non sfuggono alla censura di inammissibilita’ neanche per quanto attiene all’inquadramento della domanda fatto proprio dal giudice di merito, posto che “L’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, e’ incensurabile in sede di legittimita’ e, pertanto, la Corte di cassazione e’ abilitata all’espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorche’ il giudice di merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda, ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine” (Cass. Sez. 1, Sentenza n.5876 del 11/03/2011, Rv.617196). L’unico caso in cui si ammette il sindacato sull’interpretazione della domanda, infatti, e’ rappresentato dall’ipotesi in cui il processo interpretativo si rifletta in una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, perche’ il petitum che vincola il giudice va necessariamente determinato con riferimento al bene della vita che l’attore intende conseguire ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto (Cass. Sez. 2, Sentenza n.11289 del 10/05/2018, Rv.648503; conformi, Cass. Sez. 5, Ordinanza n.25259 del 25/10/2017, Rv.646124; Cass. Sez. L, Sentenza n.12022 del 08/08/2003, Rv.565844).

Inoltre, va osservato che il tema relativo alla dedotta violazione dell’articolo 1117 c.c. non risulta esser mai stato proposto nel corso del giudizio di merito, posto che i ricorrenti si erano limitati a prospettare la diversa questione del superamento dei limiti dell’uso consentito della cosa comune, facendo espresso riferimento soltanto agli articoli 1102 e 1108 c.c. Sotto questo profilo, non si ravvisa un rapporto di necessaria correlazione tra le predette disposizioni, posto che non tutti gli usi eccedenti il limite di cui all’articolo 1102 c.c. sono idonei a costituire un diritto di servitu’, e non ogni ipotesi di costituzione di diritto di servitu’ si traduce in un uso non consentito della cosa comune.

Il principio fondamentale, invero, e’ quello secondo cui l’utilizzazione individuale del bene comune e’ consentita qualora, per le concrete modalita’ in cui viene attuata, essa non si traduca nell’esclusione delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari. In proposito, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5753 del 12/03/2007 (Rv. 598216), secondo cui “In tema di condominio, e’ legittimo, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalita’ particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purche’ nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso piu’ intenso della cosa, purche’ non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno”; nonche’, per un caso specifico di utilizzazione del sottosuolo, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19915 del 22/09/2014 (Rv. 632907), la quale ha affermato il principio secondo cui “In tema di condominio negli edifici, non e’ automaticamente configurabile un uso illegittimo della parte comune costituita dall’area di terreno su cui insiste il fabbricato e posano le fondamenta dell’immobile, in ipotesi di abbassamento del pavimento e del piano di calpestio eseguito da un singolo condomino, dovendosi a tal fine accertare o l’avvenuta alterazione della destinazione del bene, vale a dire della sua funzione di sostegno alla stabilita’ dell’edificio, o l’idoneita’ dell’intervento a pregiudicare l’interesse degli altri condomini al pari uso della cosa comune”.

I richiamati principi, affermati da questa Corte con riferimento a controversie condominiali, ben possono applicarsi anche alla comunione ordinaria di una striscia di terreno, soprattutto qualora -come nel caso di specie- essa sia asservita in concreto ad uno scopo di servizio a vantaggio delle proprieta’ esclusive dei comproprietari, con un rapporto di strumentalita’ del tutto analogo a quello esistente tra le parti comuni dell’edificio e le proprieta’ individuali dei singoli condomini.

Ancora, va osservato che non sussiste alcun profilo di omesso esame, non avendo da un lato i ricorrenti neanche chiarito quale sarebbe il fatto, o i fatti, decisivi per il giudizio la cui valutazione la Corte territoriale avrebbe pretermesso; e, d’altro canto, tenuto conto che la censura in esame non puo’ estendersi alla deduzione della mancata, o scorretta, valutazione di singoli elementi di prova, indipendentemente dalla loro natura, dalla loro consistenza e dal fatto che essi siano stati acquisiti nell’ambito del giudizio ovvero di procedimenti diversi (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 8621 del 09/04/2018, Rv. 647730; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13922 del 07/07/2016, Rv. 640530; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3960 del 19/02/2018, Rv.647419).

Infine, con specifico riferimento al terzo motivo, con il quale i ricorrenti lamentano il mancato accoglimento della domanda risarcitoria, va precisato che il rigetto dei primi due motivi, attinenti alla domanda presupposta, comporta l’assorbimento della doglianza, posto che l’esclusione della dedotta illiceita’ dell’uso del bene comune esclude il danno, e quindi -per logica conseguenza- il relativo risarcimento.

Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4 nonche’ l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente valutato la domanda avente ad oggetto il ripristino dell’ampiezza della strada comune, valorizzando il periodo in cui i convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano realizzato, rispettivamente, il primo ed il secondo tratto del muro di recinzione della loro proprieta’ esistente lungo la strada stessa, senza considerare che la domanda originaria era tesa al rispetto delle risultanze del frazionamento del 28.11.1955, indipendentemente dal tempo in cui la predetta recinzione era stata in concreto realizzata.

La censura va esaminata congiuntamente al sesto motivo, con il quale i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 nonche’ l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato, sempre con riguardo alla recinzione realizzata dagli odierni controricorrenti, le risultanze della testimonianza (OMISSIS).

Anche in questo caso, i motivi sono inammissibili perche’ si risolvono in una richiesta di riesame del merito della controversia. Ne’ sussiste alcun omesso esame di fatto decisivo, posto che la Corte territoriale ha valutato sia il frazionamento del 1955, ritenendolo difforme dallo stato dei luoghi, sia le altre risultanze istruttorie, tra cui la testimonianza (OMISSIS), ed ha ritenuto che detto mezzo di prova, in particolare, avesse dimostrato che la recinzione eseguita da (OMISSIS) e (OMISSIS) nel 1995 seguiva “la linea del leggero dislivello che gia’ prima separava la quota della strada dalla quota del giardino (OMISSIS)- (OMISSIS)” (cfr. pag.13 della sentenza impugnata).

Inoltre, ambedue le censure in esame non colgono la ratio della decisione impugnata, posto che la Corte bresciana ha, nel caso di specie, ritenuto provato, anche mediante la riferita testimonianza (OMISSIS), l’intervenuto acquisto ad usucapionem della proprieta’ della striscia di terreno posta all’interno della recinzione dei convenuti. Non essendo stata detta ratio specificamente attinta dai motivi in esame, essi vanno ritenuti ulteriormente inammissibili per difetto di interesse concreto all’impugnazione.

Infine, con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la nullita’ della sentenza in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, nonche’ la violazione e falsa applicazione degli articoli 180 e 167 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello avrebbe ritenuto tempestiva l’eccezione di usucapione proposta dai convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS), senza considerare che essa era stata proposta in prime cure soltanto con la memoria ex articolo 180 c.p.c., mentre avrebbe dovuto essere formulata nel rispetto dei termini di cui all’articolo 167 c.p.c., trattandosi di eccezione non rilevabile d’ufficio.

La censura e’ infondata, posto che “La decadenza dalla proposizione di domanda riconvenzionale di usucapione, per inosservanza del termine stabilito dall’articolo 166 c.p.c., non impedisce alla stessa di produrre gli effetti di una semplice eccezione di usucapione, mirante al rigetto della pretesa attrice, sempre che la costituzione sia comunque avvenuta nel termine utile per proporre le eccezioni (ovvero, nella specie, entro quello di cui all’articolo 180 c.p.c., comma 2, secondo il testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla sostituzione operata dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80)” (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10206 del 19/05/2015, Rv.635409; conforme, Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n.26884 del 29/11/2013, Rv.628956; Cass. Sez. 2, Sentenza n.22552 del 23/10/2009, Rv.610633; Cass. Sez. 2, Sentenza n.20330 del 27/09/2007, Rv.599365).

La formulazione dell’eccezione di usucapione con la memoria ex articolo 180 c.p.c. va quindi considerata tempestiva.

In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del grado, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poiche’ il ricorso per cassazione e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ respinto, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 3.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.