nella vendita di partecipazioni sociali, la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all’art. 1497 cod. civ., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto. Pertanto, il diritto del compratore all’indennizzo, fondato su detta clausola, non è soggetto alla prescrizione annuale ex artt. 1495 e 1497 cod. civ., bensì alla prescrizione ordinaria decennale.

 

Tribunale Ferrara, civile Sentenza 7 giugno 2018, n. 446

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI FERRARA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice Marianna Cocca

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 1865/2015, promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GA.GI., elettivamente domiciliato presso il difensore avv. GA.GI.

ATTORE/I

contro

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. GA.GA. e dell’avv. TO.MA. elettivamente domiciliato presso i difensori

CONVENUTO/I

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. BE.CA., elettivamente domiciliato presso il difensore

TERZO CHIAMATO

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Il sig. (…) ha convenuto in giudizio la signora (…) e, all’esito dell’istruttoria svolta, ha chiesto in via principale, dichiararsi la sig.ra (…) erede puro e semplice della madre sig.ra (…), nata a V. M. (F.) il (…) e deceduta in Ferrara in data 23.12.2012, con conseguente responsabilità ultra vires della convenuta per i debiti ereditari, per essere quest’ultima decaduta dal beneficio d’inventario a causa delle omissioni compiute nella redazione dell’inventario del 20.5.2013 in morte della madre nonché a causa della compiuta alienazione dei beni ereditari in violazione del disposto di cui all’art. 493 c.c.; in via principale previo accertamento dell’indebito pagamento da parte del sig. (…) in favore della sig.ra (…), quantomeno nella misura di complessivi Euro 65.097,32 (Euro 57.074,45 + Euro 8.022,87+ 284.88) del prezzo di cessione del patrimonio sociale dell’azienda Società agricola (…) s.r.l., attuata attraverso la cessione dell’intero capitale sociale del 13.12.2012, accertarsi e dichiararsi la responsabilità della sig.ra (…), quale erede della sig.ra (…), per l’indebita percezione di detto corrispettivo, quantomeno nella misura pro quota di Euro 32.689,11 e per l’effetto condannarsi la medesima convenuta alla restituzione in favore del sig. (…) della citata somma di Euro 32.689,11, in atti meglio specificata, e/o di quella diversa somma anche maggiore che risulterà accertata in corso di causa, maggiorata degli interessi di legge dalla data del 13.12.2012 all’effettivo saldo.

Si è costituita (…), chiedendo di chiamare in causa (…) e formulando le seguenti conclusioni, tenuto conto della domanda riconvenzionale svolta dal terzo chiamato nei suoi confronti: ha chiesto di rigettare tutte le domande avanzate dal Sig. (…) nei confronti della Sig.ra (…) perché infondate in fatto e in diritto; dichiarare il difetto di legittimazione all’istanza di decadenza dal beneficio di inventario; accertate le responsabilità del Dott. (…) nella sua qualità di professionista della Azienda Agricola (…) e della compianta (…), dichiarare il Dott. (…), obbligato e tenuto a manlevare e tenere integralmente indenne la convenuta da qualsivoglia pretesa pecuniaria avanzata da parte attrice; accertare e dichiarare altresì che nessuna somma è dovuta da (…) a favore del chiamato Dr. (…) a nessun titolo, e conseguentemente respingere la domanda riconvenzionale svolta.

Il terzo chiamato, nel costituirsi ha concluso chiedendo, in via preliminare, dichiarare la nullità della citazione per chiamata di terzo notificata da (…) nei confronti di (…), per carenza dei requisiti di esposizione della causa petendi ex art. 164 comma 4 c.p.c., con ogni conseguenza di Legge. Nel merito: ha chiesto di rigettare ogni domanda proposta dalla convenuta nei confronti del terzo chiamato, perché infondata in fatto e in diritto e, in via riconvenzionale, accertare e dichiarare l’inadempimento da parte di (…) dell’obbligazione di pagamento, in favore del dott. (…) dell’onorario dovuto per la prestazione professionale di assistenza e consulenza durante le trattative e negoziazioni finalizzate alla cessione di quote dell’azienda agricola (…) e per l’effetto condannare la stessa al pagamento in favore del dott. (…) della somma complessiva di Euro 15.939,93 o della maggiore o minor somma che risulterà in corso di causa, oltre ad interessi dalla domanda al saldo.

Tutte le parti hanno chiesto la vittoria delle spese.

Nelle more del giudizio, a seguito di decesso del procuratore di parte convenuta, il processo veniva riassunto dall’attore (…); istruita la causa con l’acquisizione dei documenti depositati dalle parti e con interrogatorio formale e prova testi, è stata trattenuta in decisione all’udienza del 6/12/2017. La domanda è fondata e va accolta per le ragioni che seguono.

Risulta che in data 16.2.2012 le parti hanno siglato un contratto preliminare, in cui è previsto che: “la società cedente dichiara che entro la data fissata per la notarile stipulazione libererà l’azienda da ogni situazione debitoria anche fiscale, libera da dipendenti, ad eccezione del mutuo contratto nel 2010 con (…), ad oggi gravante sugli immobili sopra indicati”, oltre che una ulteriore clausola di garanzia, di cui meglio si dirà in prosieguo.

La cessione è stata effettivamente rogitata in data 13.12.2012: si provvedeva quindi alla cessione dell’intero capitale sociale della Società agricola (…) s.r.l. dal valore nominale di Euro 155.000,00 per un corrispettivo di Euro 628.154,52.

In punto di diritto, appare utile premettere che la consistenza patrimoniale della società nell’ambito della cessione di quote od azioni di quest’ultima rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente. Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, difatti, la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta.

Tale premessa rileva ai nostri fini in quanto le carenze o i vizi relativi alla consistenza e alle caratteristiche dei beni ricompresi nel patrimonio sociale possono giustificare la risoluzione del contratto di cessione solo se sono state fornite a tale riguardo dal cedente specifiche garanzie contrattuali: si veda da ultimo Cass., Sez. Seconda Sentenza n. 16963 del 24/07/2014, che ha chiarito che “nella vendita di partecipazioni sociali, la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all’art. 1497 cod. civ., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto”

In buona sostanza, in linea generale il cessionario di quote può contestare solo vizi relativi alla qualità dei diritti e degli obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire: le tutele apprestate dalla legge – sia nella fase genetica (vizi della volontà) sia in quella dell’esatta e corretta esecuzione del contratto – proteggono l’interesse del compratore rispetto a discrepanze che riguardano le partecipazioni compravendute, non il patrimonio sociale. Il valore economico difatti non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti. Tali valutazioni assumono però rilievo giuridico, allorché, in relazione alla consistenza economica della partecipazione, siano state previste esplicite garanzie contrattuali.

È quindi ammissibile che, per accordo delle parti, la cessione della quota sia attuata sul presupposto di una determinata consistenza patrimoniale della società: ciò inquadrandosi nell’ambito di un complesso regolamento negoziale, il quale abbia per oggetto non solo l’acquisizione di un generico status socii, ma anche ulteriori obblighi, a carico del cedente (cfr., Cass., Sez. Terza, 19 luglio 2007, n. 16031).

Non vi è quindi alcuna “rilevanza automatica” del patrimonio sociale (come pure parte minoritaria della giurisprudenza aveva ipotizzato) in quanto oggetto della cessione restano le quote e quindi occorre valutare solo la qualità dei diritti e degli obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia in grado di assicurare quale espressione dell’insieme dei diritti patrimoniali ed amministrativi che qualificano lo status di socio: la differente consistenza dei beni patrimoniali della società non incide sull’oggetto del contratto, o sulla qualità della partecipazione, e la sopravvenienza di passività o la minusvalenza di cespiti attivi, per effetto dei quali il valore del patrimonio sociale risulti diminuito, “non possono costituire un vizio rilevante ai sensi della disposizione prevista dall’art. 1490 c.c., qualora l’alienante non abbia espressamente assunto la garanzia circa la consistenza del patrimonio sociale” (Tribunale Roma Sez. spec. in materia di imprese, Sent., 05/10/2015; Tribunale Milano, 10 maggio 2006, n. 5414).

La garanzia assunta dal cedente può assumere le più varie declinazioni, tra cui, appunto quella di ricollegare la partecipazione ceduta ad un determinato valore economico, risultante dal bilancio (o, comunque, da una situazione patrimoniale) ad una certa data, garantendo l’effettiva consistenza delle poste attive ed l’inesistenza di passività ulteriori.

Venendo al dato contrattuale nel caso di specie, viene in rilievo il preliminare stipulato in data 16.2.2012 in cui si legge: “garantisce la parte promittente venditrice inoltre, che al momento della stipulazione, la suddetta Società non sarà gravata da passività, né avrà prestato fideiussioni a favore di terzi”.

Al preliminare è allegata una ulteriore scrittura del 10.03.2012 in cui pure si legge che “la società cedente dichiara che entro la data fissata per la notarile stipulazione libererà l’azienda da ogni situazione debitoria anche fiscale, libera da dipendenti, ad eccezione del mutuo contratto nel 2010 con (…), ad oggi gravante sugli immobili sopra indicati”.

Dunque, dal contratto si evince l’assunzione da parte della parte venditrice di una garanzia in ordine all’effettivo valore della partecipazione, così da rendere lo stesso sostanzialmente immune dall’incidenza negativa di sopravvenienze passive, purché riferite a periodi precedenti al perfezionamento della cessione.

Che vi sia stata la volontà di assumere tale garanzia da parte della parte cedente è stato confermato anche dalla signora (…), la quale, in sede di interrogatorio formale all’udienza del 2 marzo 2017, ha confermato che da marzo a novembre 2012, già in fase di trattative, alle quali lei stessa partecipò le parti si accordavano di cedere l’azienda agricola (…) attraverso la cessione della totalità delle quote appartenenti alla sig.ra (…) in favore del sig. (…), determinando il prezzo di cessione “sulla scorta dell’ammontare dei debiti iscritti a ruolo a carico della società, nonché dei cespiti attivi e passivi indicati negli ultimi bilanci sociali”.

Anche la teste (…), escussa all’udienza del 18/05/2017, ha confermato che al rogito del (…) davanti al notaio Al., “le parti venditrici in quella data si obbligavano ad estinguere le passività maturate e maturande sino alla data del 13.12.2012”.

La garanzia assunta dalla cedente di “liberare l’azienda da ogni situazione debitoria anche fiscale” è stata assunta dalla parte cedente.

Il cessionario (…), odierno attore, ha provato di aver ricevuto cartelle esattoriali, per debiti fiscali e previdenziali e sanzioni varie, notificate successivamente al rogito del (…), mai contestate, e qui di seguito riepilogate, relativi a debiti antecedenti al rogito stesso.

La documentazione depositata (docc. 3-11 e 20-23) non è stata contestata da parte convenuta: l’ammontare complessivo dei debiti della società ceduta antecedenti al rogito risulta essere pari ad Euro 65.382,20: la natura di tali poste debitorie verrà meglio esaminata nel prosieguo.

Sussiste quindi ed è quantificabile in questa misura una discrasia rispetto al valore economico della partecipazione ceduta: ciò posto, occorre esaminare come debba essere declinata la garanzia prestata dalla parte cedente.

Si può dire che in giurisprudenza sono stati prospettati essenzialmente due orientamenti: uno che configura detta garanzia in termini di obbligazione autonoma, che deve essere valutata sotto il profilo dell’inadempimento ex art. 1218 c.c., ed un secondo che invece si richiama alla normativa sulla vendita ed in particolare alla disciplina sulla mancanza nella cosa venduta delle qualità promesse (art. 1497 c.c.): si tratta di una questione non puramente accademica, stanti gli innegabili risvolti pratici, connessi all’applicazione o meno della disciplina sulla decadenza e prescrizione ex art. 1495 c.c.

Tale duplice impostazione è stata, tuttavia, recentemente rimeditata dalla giurisprudenza di legittimità: la Suprema Corte ha difatti chiarito che “nella vendita di partecipazioni sociali, la clausola con la quale il venditore si impegna a tenere indenne il compratore dalle sopravvenienze passive nel patrimonio della società ha ad oggetto una prestazione accessoria e non rientra, quindi, nella garanzia di cui all’art. 1497 cod. civ., che attiene, invece, alle qualità intrinseche della cosa, esistenti al momento della conclusione del contratto. Pertanto, il diritto del compratore all’indennizzo, fondato su detta clausola, non è soggetto alla prescrizione annuale ex artt. 1495 e 1497 cod. civ., bensì alla prescrizione ordinaria decennale”. (Cass. Sez. Seconda Sentenza n. 16963 del 24/07/2014)

Conseguentemente, con la garanzia assunta nel caso di specie le parti, al fine di assicurare che il prezzo pattuito corrisponda al valore della società di cui siano trasferite le quote di partecipazione, hanno previsto una prestazione accessoria al trasferimento del diritto oggetto del contratto, con un oggetto diverso da quella prevista dagli artt. 1490 e 1497 c.c. e di natura squisitamente contrattuale.

La parte cedente deve essere quindi condannata ad adempiere all’obbligo contrattualmente assunto di tenere indenne il (…) dalle sopravvenienze passive documentate, nella misura sopra detta.

Come detto, parte cedente è deceduta e il (…) agisce facendo valere la responsabilità della sig.ra (…), ex artt. 493 c.c. e 494 c.c., essendo la stessa decaduta dal beneficio di inventario per non aver inserito i proventi della cessione del 13.12.2012 nell’inventario dell’eredità e per aver disposto dei beni ereditari senza l’autorizzazione giudiziaria (cfr. doc. 19), avendo conferito un mandato senza rappresentanza al sig. D.M. a vendere un bene ereditario.

La (…) contesta il primo profilo deducendo che dei proventi della cessione ha disposto la de cuius in vita e gli stessi non sono entrati in successione e, sotto il secondo aspetto, deduce che l’atto in questione non rientrerebbe tra quelli di cui all’art. 493 c.c.

Posto che sussiste certamente la legittimazione del creditore a far valere la responsabilità ultra vires dell’erede (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 06-08-2015, n. 16514), i rilievi di parte convenuta non possono trovare accoglimento, posto anzitutto che la stessa non ha fornito alcuna prova che nei dieci giorni intercorsi tra il rogito e il decesso di (…) quest’ultima abbia disposto della quota. Non sono documentate né donazioni né pagamenti effettuati dalla de cuius in relazione alla considerevole cifra incassata dall’ultraottantenne (…) a dieci giorni dalla morte. A ciò si aggiunga che anche l’atto di cui al doc. 19 appare idoneo a determinare la decadenza della convenuta (…) dal beneficio di inventario: vero è che trattasi di mandato ad alienare ma nel documento, peraltro esplicitamente denominato “mandato ad alienare con contestuale trasferimento di beni al mandatario”, si esplicita che “la signora (…) dichiara di trasferire, con effetto traslativo immediato, al signor (…) che accetta ed acquista il diritto di comproprietà per la quota indivisa di 1/2 (un mezzo) sopra i seguenti beni”.

L’atto è dunque idoneo a realizzare una alienazione di un bene ereditario, che andava autorizzato ai sensi dell’art. 493 c.c., con la conseguenza che (…) va dichiarata erede pura e semplice, con la conseguenza che la stessa potrà essere chiamata a rispondere ultra vires.

Dunque, la convenuta (…) sarà tenuta, essendo incontestato che le eredi della (…) sono la stessa convenuta e la sorella (la quale ha peraltro transatto il debito), al pagamento all’attore pari alla metà della somma complessiva, nella misura di Euro 32.689,11. Su questa somma saranno dovuti gli interessi al tasso legale dalla data del 13.12.2012 all’effettivo saldo, non essendovi stata peraltro alcuna contestazione sulla debenza degli interessi.

Va quindi esaminata la domanda di manleva proposta da (…) contro (…).

La convenuta chiede di accertare le responsabilità del Dott. (…) nella sua qualità di professionista della Azienda Agricola (…) e della compianta (…) e dichiarare il Dott. (…), obbligato e tenuto a manlevare e tenere integralmente indenne la convenuta da qualsivoglia pretesa pecuniaria avanzata da parte attrice.

Va respinta l’eccezione di nullità della domanda formulata dal terzo chiamato, essendo chiara dall’allegazione dei fatti svolta dalla convenuta la causa petendi fatta valere, vale a dire l’assunto secondo cui la responsabilità per l’errata quantificazione dei debiti della società (…) sarebbe del commercialista che ne gestiva la contabilità.

Il chiamato (…) si difende peraltro compiutamente sul punto, evidenziando che il debito portato dalle cartelle esattoriali prodotte da parte attrice è attinente per la maggior parte, se non in toto, a debiti previdenziali, mentre il suo studio gestiva adempimenti fiscali di diversa natura.

Rigettata quindi l’eccezione di nullità la domanda è però infondata.

È incontestato che il dott. (…) si sia recato presso l’Ente di Riscossione per verificare quale fosse il debito esistente, e ciò dietro espresso e comune incarico del cessionario e del cedente, ma nulla gli può essere addebitato in ordine ai debiti di cui alla presente causa, posto che si tratta di sanzioni che all’epoca non risultavano ancora a ruolo (si veda la documentazione in atti).

Venendo all’esame delle cartelle notificate, trattasi di debiti di natura prevalentemente contributiva e previdenziale (docc. 3, 4, 5, 6, 7, 9, 21, 22), a titolo di mancato pagamento di tasse automobilistiche (docc. 8, 20) e sanzioni per violazione del C.d.S. (doc. 20).

Quanto all’attività relativa alla gestione contributiva e previdenziale, è emerso indubitabilmente che l’attività era gestita direttamente dalla (…), che si avvaleva del servizio prestato dall'(…): la circostanza è stata confermata dai testi.

In particolare, la signora (…), impiegata presso l'(…), ha confermato che gli adempimenti contributivi e previdenziali dell’azienda erano gestiti dall'(…).

La teste è certamente attendibile, essendo priva di interessi in causa ed avendo diretta conoscenza dei fatti: “preciso che quando ho conosciuto la sig.ra (…) non mi occupavo di paghe, ma del patronato. Alla morte del marito, costituita la società in forma di s.a.s. se non sbaglio, cominciai a occuparmi, credo dal 2007, degli adempimenti di cui trattasi, i quali confermo fossero gestiti dall'(…)”. La teste ha anche ricordato che la (…) si recava presso gli uffici da sola, talvolta accompagnata fisicamente da qualcuno, ma era lei ad avere la gestione diretta di quegli adempimenti.

Deve pertanto escludersi che gli stessi fossero demandati ad (…), posto che anche il teste di parte convenuta (…) ha ricordato che lo studio (…) seguiva solo la contabilità dell’azienda.

Anche quanto alle poche sanzioni di altra tipologia, dalla documentazione in atti emerge che trattasi di sanzioni che muovono da verbali di accertamento già notificati alla cedente (…) e rispetto ai quali non v’è prova alcuna che fossero stai affidati alla gestione dello studio del terzo chiamato.

Concludendo sul punto, parte convenuta non ha adempiuto in alcun modo al proprio onere probatorio (su di essa gravante ex art. 2697 c.c. in ragione della formulata domanda di manleva) in ordine al fatto che gli atti presupposti delle singole sanzioni, quali dichiarazioni erronee od omesse, piani di rateizzazione non adempiuti, ecc siano stati posti in essere o comunque conosciuti dal (…).

La domanda di manleva va quindi respinta.

Il (…) ha proposto domanda riconvenzionale, chiedendo condanna della convenuta al pagamento somma di Euro 15.939,93, quale compenso per prestazioni professionali rese in favore della stessa nella vicenda di cui si tratta, con riferimento alle attività di consulenza per la cessione.

Posto quanto si è detto in ordine alla responsabilità ultra vires di (…), la domanda spiegata dal (…) non ha trovato adeguata conferma probatoria, non essendo stato da quest’ultimo allegata e provata l’esistenza di un mandato (anche rilasciato eventualmente dalla (…)) a gestire le trattative per la cessione a (…) e che, in relazione a tale specifica attività, fosse stato pattuito un compenso ulteriore rispetto a quello dovuto al (…) quale contabile dell’azienda. Anche la prova orale articolata sul punto dal (…) è generica e, pertanto, inammissibile, posto che è incontestato che il commercialista abbia partecipato alle trattative, ma non v’è prova che per tale attività fosse stato pattuito un compenso ed in quale misura. Depone, ulteriormente, in senso contrario la circostanza che, per un’attività espletata nel 2012, la notula allegata sia del 2015, successiva alla instaurazione del presente giudizio.

La domanda riconvenzionale del (…) va quindi respinta.

Le spese di lite vanno regolate, tra (…) e (…) secondo il criterio della soccombenza reciproca.

Come anche di recente ribadito dalla Suprema Corte, “la regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell’unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92, comma 2, c.p.c.); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta”. (Cass., Sez. Terza, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016, Rv. 638888).

Nel caso di specie, dovendosi imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver avanzato pretese reciprocamente infondate si ritiene che le spese possano essere integralmente compensate.

Tra l’attore e la convenuta le spese seguono invece la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto, per quanto riguarda i compensi professionali, dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, alla luce dell’attività complessivamente svolta e dello scaglione di riferimento (Euro 1.600,00 per fase di studio, Euro 1.000,00 per fase introduttiva, Euro 1.700,00 per fase istruttoria, Euro 2.500,00 per fase decisoria).

P.Q.M.

– Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda di (…) nei confronti di (…) con la chiamata in causa di (…), ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

– accerta la decadenza dal beneficio di inventario di (…) quale erede di (…) e, per l’effetto, dichiara tenuta e condanna (…) al pagamento in favore di (…) della somma di Euro 32.689,11, oltre interessi al tasso legale dalla data del 13.12.2012 all’effettivo saldo;

– rigetta la domanda proposta da (…) nei confronti di (…);

– rigetta la domanda proposta da (…) nei confronti di (…);

– dichiara tenuta e condanna (…) alla rifusione in favore di (…) delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 595,00 per esborsi ed Euro 6.800,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, IVA e c.p.a. con aliquote di legge e se dovute;

– compensa le spese tra (…) e (…).

Così deciso in Ferrara il 31 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.