la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entita’ concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprieta’, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilita’ per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarita’ dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso. In particolare, il danno che il proprietario confinante subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi in re ipsa, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria, essendo l’effetto, certo e indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu’ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|21 giugno 2022| n. 20048

Data udienza 8 aprile 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16038/2017 proposto da:

(OMISSIS) S.A.S., in persona del legale rappresentante p.t. (OMISSIS), con sede in (OMISSIS) (P.Iva: (OMISSIS); C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta mandato in calce al ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS), del foro di Venezia (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS), del foro di Roma (C.F.: (OMISSIS)), elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), residente in (OMISSIS), rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS), del Foro di Venezia (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS), del Foro di Roma (C.F.: (OMISSIS)), con domicilio presso quest’ultimo in (OMISSIS);

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 795/2017 emessa dalla Corte d’appello di Venezia in data 11/04/2017 e notificata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Venezia, la (OMISSIS) s.a.s. con atto di citazione del 26.06.2009, affinche’ venisse:

– accertata la violazione delle distanze dal confine della nuova costruzione in ampliamento ed in sopraelevazione dalla stessa realizzata, ordinandone l’abbattimento e l’arretramento fino a 5 mt dal confine;

– accertato che le aperture realizzate a confine consistevano in vedute;

– condannata la convenuta al risarcimento dei danni patiti e da patire derivanti dalla compromissione del diritto di sua proprieta’ ed al risarcimento dei danni cagionati al suo immobile.

Istruita la causa mediante l’espletamento di c.t.u. e l’assunzione di prove testimoniali, con sentenza n. 50/2015 depositata l’8.1.2015 il Tribunale di Venezia accoglieva le domande attoree, cosi’ statuendo:

1) accertata e dichiarata la violazione della distanza legale dal confine con la proprieta’ attorea della nuova costruzione realizzata dalla (OMISSIS) s.a.s., ordinava l’arretramento della costruzione sino a rispettare la distanza di 5 mt. dal confine tra le due proprieta’, cosi’ come identificato dalla CTU svolta in corso di causa;

2) condannava la (OMISSIS) s.a.s. a pagare a parte attrice la somma di Euro 2.450,00, oltre iva, a titolo di risarcimento del danno (infiltrazioni e sollevamento piastrelle) a causa dei lavori eseguiti, nonche’ l’ulteriore somma di Euro 40.000, pari al danno subito per la violazione delle distanze legali sino alla pronuncia, oltre agli ulteriori danni maturati, pari ad Euro 500 mensili, sino all’effettivo arretramento e rivalutazione monetaria dalle singole mensilita’ sino al saldo.

Con atto notificato il 5.10.2015 la (OMISSIS) s.a.s proponeva appello avverso detta sentenza, chiedendone la riforma.

Con sentenza dell’11.4.2017, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

– l’abbattimento del fabbricato al primo piano, operato dopo la pronuncia gravata, costituiva semplice (sia pur parziale) acquiescenza alla stessa, e non determinava la cessazione della materia del contendere;

– quanto alle doglianze concernenti la volumetria e l’applicabilita’ dell’articolo 47 NTA del PRG di Salzano, alla stregua della c.t.u. espletata, la sopraelevazione eseguita con trabeazioni e muretti non costituiva un mero elemento decorativo, bensi’ integrava un nuovo volume edificato (essendo stati realizzati ben 68 mq) e, quindi, una nuova costruzione, la quale, come tale, era misurabile al fine della distanza legale;

– trattandosi di una nuova costruzione, dovevano applicarsi le norme sulle distanze vigenti al momento della sopraelevazione (vale a dire, la sopravvenuta norma regolamentare – articolo 47 del PRG – integrativa dell’articolo 873 c.c.), con esclusione della prevenzione riferita alle costruzioni originarie e del diritto di costruire in aderenza ex articolo 877 c.c., dovendo prevalere in tal caso il principio della priorita’ temporale;

– l’articolo 47 del PRG, nella parte in cui prevedeva la distanza di mt. 5 dal confine per le nuove costruzioni, era, dunque, prevalente rispetto alla prevenzione;

– il proprietario confinante si era limitato ad autorizzare il Decreto Legge ad installare le impalcature, e non certo a prestare il consenso alla sopraelevazione in violazione delle distanze;

– il danno connesso alla edificazione non a distanza di legge era in re ipsa ed era quantificabile secondo equita’ dal giudice, non necessitando della prova; a tal fine doveva tenersi presente la indubbia diminuzione del godimento e del valore della proprieta’ (OMISSIS) a seguito del peso imposto al suo fondo;

– dalle prove testimoniali assunte era emerso che le infiltrazioni d’acqua e le lesioni del pavimento del (OMISSIS) si erano verificate proprio in concomitanza con i lavori eseguiti dalla (OMISSIS) s.a.s.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la (OMISSIS) s.a.s., sulla base di nove motivi.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

In prossimita’ dell’adunanza (OMISSIS) ha depositato memoria illustrativa.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del contraddittorio e dell’articolo 1117 c.c. e articoli 102 e 354 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte d’appello omesso di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari pro indiviso del manufatto da abbattere ed arretrare.

1.1. Il motivo e’ infondato.

L’azione con la quale i comproprietari di un fabbricato chiedono, nei confronti dei comproprietari dell’immobile confinante, la rimozione, o comunque l’arretramento a distanza legale, di opere abusivamente eseguite, da’ luogo ad un litisconsorzio necessario passivo e, dunque, in appello ad una ipotesi di cause inscindibili ai sensi dell’articolo 331 c.p.c., in quanto la modificazione della cosa comune non puo’ essere disposta od attuata pro quota in assenza di alcuno dei contitolari della proprieta’ del bene su cui dovrebbe effettuarsi la rimozione o l’arretramento a distanza legale (in quanto l’eventuale pronunzia di accoglimento della domanda non potrebbe essere eseguita nei confronti dei comproprietari che non abbiano partecipato al giudizio e sarebbe conseguentemente inutiliter data, anche nei confronti dei comproprietari convenuti e soccombenti).

Ne consegue che la mancata notificazione dell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado a taluno dei comproprietari vizia la sentenza di appello che sia stata emessa senza l’integrazione del contraddittorio con il comproprietario pretermesso e tale vizio puo’ essere fatto valere come motivo di ricorso per cassazione anche dalla stessa parte cui sia imputabile, in quanto, per un verso, la sentenza di primo grado non passa in giudicato nei confronti dei pretermessi in presenza dell’impugnazione di altre parti e, per altro verso, la sentenza che non sia pronunciata nei confronti di tutti i comproprietari risulta comunque ineseguibile e, quindi, inutiliter data (Sez. 2, Sentenza n. 3925 del 29/02/2016; Sez. 2, Sentenza n. 27412 del 18/11/2008).

Di conseguenza, la mancata partecipazione al giudizio di uno dei comproprietari, integrando una irregolare costituzione del rapporto processuale, e’ rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimita’, quando la relativa prova risulti dagli atti gia’ acquisiti nel giudizio di merito e sulla questione non si sia formato il giudicato (Sez. 2, Sentenza n. 9902 del 26/04/2010; Sez. 2, Sentenza n. 7669 del 07/06/2001; Sez. 1, Sentenza n. 10260 del 04/08/2000).

Il vizio processuale derivante dall’omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari puo’, pertanto, essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimita’, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessita’ del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti gia’ ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessita’ di svolgimento di ulteriori attivita’ istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato; cio’ in quanto le ipotesi di nullita’ della sentenza che consentono, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimita’ sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullita’ originate da vizi del processo (Sez. 6 3, Ordinanza n. 3024 del 28/02/2012).

In particolare, nel giudizio di cassazione non e’ ammissibile la produzione di nuovi documenti al fine di dimostrare la necessita’ di integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi del processo, essendo le ipotesi di nullita’ della sentenza che consentono, ex articolo 372 c.p.c., tale produzione limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma e non estendendosi, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento, quantunque idonei, in astratto, a spiegare effetti invalidanti sulla sentenza (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24048 del 12/10/2017).

Orbene, nel caso di specie, la ricorrente, al fine di giustificare la necessita’ di integrare il litisconsorzio, ha prodotto tre documenti: 1) un’ordinanza di sospensione lavori del 3.7.2014 emessa dal Comune di Salzano; 2) un provvedimento prot. 8377 del 12.6.2015; 3) visure e nota di trascrizione (prodotte in sede di appello solo con la memoria di replica).

Esclusa, per le considerazioni espresse in precedenza, la possibilita’ di vagliare la documentazione prodotta tardivamente solo con la memoria di replica in sede di appello, non vi e’ chi non veda che gli altri due documenti sono del tutto insufficienti per giustificare l’integrazione del contraddittorio, non potendosi dagli stessi desumere con la dovuta valenza probatoria la titolarita’ anche in capo ad altri soggetti del corpo di fabbrica oggetto dell’azione demolitoria.

Del resto, qualora, come argomentato dal resistente nelle note illustrative, il diritto sull’immobile oggetto di domanda di abbattimento/arretramento fosse stato trasferito in corso di causa, troverebbe applicazione l’articolo 111 c.p.c., a mente del quale il processo prosegue tra le parti originarie.

Senza tralasciare che, mentre, in tema d’azioni a tutela delle distanze legali, sono contraddittori necessari tutti i comproprietari pro indiviso dell’immobile confinante, quando ne sia chiesta la demolizione o il ripristino, essendo altrimenti la sentenza inutiliter data, l’azione diretta al risarcimento del danno patrimoniale per equivalente derivato da un fatto illecito (nella specie, danni ad un muro per deflusso delle acque meteoriche da un solaio confinante), avendo natura personale, puo’ essere proposta nei confronti dell’autore (esecutore materiale) dell’illecito aquiliano (Sez. 2, Sentenza n. 5545 del 15/03/2005).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 329 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte territoriale ritenuto che la rimozione spontanea delle opere erette sul lato est dell’immobile oggetto della sentenza demolitoria di primo grado integrasse gli estremi di una acquiescenza parziale, anziche’ giustificasse l’adozione di una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

2.1. Il motivo e’ inammissibile e, comunque, infondato.

La pronuncia di “cessazione della materia del contendere” costituisce, nel rito contenzioso ordinario davanti al giudice civile (privo, al riguardo, di qualsivoglia, espressa previsione normativa, a differenza del rito amministrativo e di quello tributario), una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale e contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilita’ di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Ne consegue la assoluta inidoneita’ della sentenza di cessazione della materia del contendere ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, potendo la suddetta sentenza acquisire tale efficacia di giudicato sul solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del processo sempreche’ la relativa pronuncia non sia impugnata con i mezzi propri del grado in cui risulta emessa.

Orbene, la ricorrente non ha neppure dedotto le ragioni per le quali avrebbe interesse a conseguire una pronuncia, peraltro parziale, di cessazione della materia del contendere, viepiu’ se si considera che, anche sul piano delle spese processuali, il loro governo sarebbe comunque dovuto avvenire sulla base del principio della soccombenza cd. virtuale.

In ogni caso, l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’articolo 329 c.p.c. (configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacche’ successivamente allo stesso e’ possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volonta’ di non impugnare, la quale puo’ avvenire sia in forma espressa che tacita, potendo, in quest’ultimo caso, ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volonta’ di avvalersi dell’impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia.

Ne consegue che la spontanea esecuzione della decisione di primo grado comporta acquiescenza alla sentenza, allorquando sia, come nel caso di specie (in cui, dopo aver dato atto di aver provveduto spontaneamente ad abbattere una sporgenza dell’edificio, ha inequivocamente affermato che “Ora tale circostanza rende evidente il venir meno di ogni interesse alla decisione essendo venuto a mancare l’oggetto del contendere”), fondato sulla volonta’ non di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione, ma di accettare la decisione e, dunque, rinunciare all’impugnazione sul punto.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3 e articolo 47 NTA del PRG del Comune di Salzano, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte di merito ritenuto la sopraelevazione sul fronte sud una nuova costruzione, nonostante la stessa si riferisse a muretti perimetrali e trabeazioni aventi funzione meramente decorativa.

3.1. Il motivo e’ inammissibile, e comunque, infondato.

Con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensi’ alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in se’ incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. Infatti, e’ appena il caso di rilevare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’articolo 2729 c.c.) non puo’ in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacita’ rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza.

Nel caso di specie, al di la’ del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruita’ dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessita’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Cio’ posto, i motivi d’impugnazione cosi’ formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’articolo 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimita’ della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

A ben vedere, la ricorrente sollecita una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente fase di legittimita’.

In ogni caso, la sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la disciplina delle distanze, come nuova costruzione (Sez. 3, Sentenza n. 15732 del 15/06/2018). Inoltre, risulta, in tal caso, inapplicabile il criterio di prevenzione, che si esaurisce, viceversa, con il completamento, dal punto di vista strutturale e funzionale, della prima costruzione (Sez. 2, Ordinanza n. 5049 del 05/03/2018).

Senza tralasciare che l’articolo 47 delle N. T.A. del P.R.G. del Comune di Salzano prescriveva il rispetto della distanza di 5 mt. dal confine sia per le nuove edificazioni che per il completamento dei lotti parzialmente edificati.

4. Con il quarto motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la corte d’appello considerato che il c.t.u. aveva descritto i lavori come due terrazze delimitate da un muretto perimetrale, per le quali, trattandosi di una superficie aperta, non era invocabile l’ordine demolitorio.

4.1. Il motivo e’ inammissibile.

Premesso che, nel caso di specie, si e’ al cospetto di una cd. doppia conforme e che, quindi, in base all’articolo 348 ter c.p.c., comma 4 il ricorso per cassazione non poteva essere proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), quest’ultima disposizione, come riformulata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Inoltre, non essendovene cenno nella sentenza qui impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse sollevato tempestivamente la relativa questione.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denunzia la violazione degli articoli 873 e 877 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte territoriale considerato che era legittima la sopraelevazione effettuata in aderenza sopra la verticale della costruzione preesistente.

5.1. Il motivo e’ infondato.

Va ribadito che, in tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, va qualificata come nuova costruzione, sicche’ deve rispettare la normativa sulle distanze vigente al momento della sua realizzazione, non potendosi automaticamente giovare del diritto di prevenzione caratterizzante la costruzione originaria, che si esaurisce con il completamento, strutturale e funzionale, di quest’ultima (Sez. 2, Sentenza n. 9646 del 11/05/2016). In particolare, alla sopraelevazione e’ applicabile la normativa vigente al momento della modifica e non opera il criterio della prevenzione se riferito alle costruzioni originarie, in quanto sostituito dal principio della priorita’ temporale correlata al momento della sopraelevazione (Sez. 2, Sentenza n. 74 del 03/01/2011).

Ebbene, non e’ revocabile in dubbio che nel caso di specie l’articolo 47 della NTA del P.R.G. del Comune di Salzano vietava di realizzare nuove costruzioni a distanza inferiore a 5 mt. dal confine.

6. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 1350 c.c., n. 5), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte di merito considerato irrilevante il documento con il quale (OMISSIS) aveva acconsentito alla sopraelevazione.

6.1. Il motivo e’ inammissibile, in quanto non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata.

Invero, premesso che il riferimento operato dalla corte d’appello all’articolo 1350 c.c. non puo’ intendersi al n. 5) (vale a dire, agli atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti), bensi’ al n. 4) (trattandosi della costituzione della servitu’ di mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella dovuta), la medesima corte ha escluso (cfr. pag. 11 della sentenza) che potesse riconoscersi la valenza di assenso alla costruzione in deroga alle norme sulle distanze alla semplice dichiarazione con la quale il (OMISSIS) aveva autorizzato il Decreto Legge a posizionare le impalcature per la durata di 60 giorni, con contestuale garanzia di esecuzione dei lavori nel rispetto delle vigenti norme e di ripristino dei luoghi all’esito.

Peraltro, la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere la dichiarazione del 4.4.2008, in tal guisa precludendo a questa Corte la possibilita’ di valutarne l’effettiva portata.

7. Con il settimo motivo la ricorrente si duole della violazione degli articoli 2697, 1226 e 2056 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la corte d’appello erroneamente, a suo dire, ritenuto non necessaria la prova del danno, reputandola in re ipsa derivante dalla compressione del diritto domenicale e, in quanto tale, liquidabile in via equitativa.

7.1. Il motivo e’ infondato.

Anche di recente questa Corte ha ribadito che la violazione della prescrizione sulle distanze tra le costruzioni, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa, con la conseguenza che non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entita’ concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprieta’, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum, tale pregiudizio, fatta salva la possibilita’ per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarita’ dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 25082 del 09/11/2020; in precedenza si segnala Sez. 2, Sentenza n. 25475 del 16/12/2010). In particolare, il danno che il proprietario confinante subisce (danno conseguenza e non danno evento) deve ritenersi in re ipsa, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria, essendo l’effetto, certo e indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu’ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’ (Sez. 2, Sentenza n. 21501 del 31/08/2018).

Avuto riguardo ai criteri di liquidazione in concreto applicati, il giudice di primo grado (cfr. pag. 21 del controricorso), dopo aver ritenuto eccessivi la stima operata dal c.t.u. e l’importo richiesto dall’attore, ha applicato il parametro dell’1% del valore venale della porzione abusiva per ogni mese di sua permanenza, operando, in fine, delle riduzioni con riferimento ai profili dell’amenita’ (consistendo l’immobile attoreo in un capannone ad uso commerciale di modesto pregio) e dell’insolazione (essendo la parte di immobile attoreo a confine con la nuova costruzione esposta a nord).

Nessuna critica ha mosso la ricorrente al criterio adottato e fatto proprio dalla corte territoriale.

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la motivazione apparente, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la corte di merito indicato i criteri seguiti per determinare l’entita’ del danno.

8.1. Il motivo e’ infondato.

Anche a voler prescindere dal rilievo per cui la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere le censure puntuali che asserisce (pag. 29 del ricorso) di aver mosso alle argomentazioni spese dal giudice di prime cure, la corte veneziana, nel confermare anche sul punto la decisione di primo grado, ha implicitamente fatto un richiamo ai criteri (riportati nell’analisi del precedente motivo) applicati dal tribunale ai fini della quantificazione del pregiudizio derivato dalla nuova costruzione realizzata in violazione delle distanze. In ogni caso, ha fondato il rigetto della doglianza formulata sul punto dalla odierna ricorrente sulla considerazione secondo cui occorreva “tener conto dell’indubbia diminuzione del godimento e del valore della proprieta’ (OMISSIS), pur se temporanea, a seguito del peso imposto al suo fondo contro la sua volonta’ e nella piena consapevolezza da parte del vicino di aver eseguito una costruzione che non gli era consentita”.

Come e’ noto, la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicita’ del ragionamento decisorio, cosi’ da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6. Nel caso di specie, invece, la motivazione, per quanto sintetica, e’ presente e risulta congrua dal punto di vista logico.

9. Con il nono motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 47 delle NTA del P.R.G. del Comune di Salzano, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la corte territoriale considerato che, essendo le proprieta’ immobiliari delle parti ricomprese in un medesimo macrolotto, trovava applicazione l’articolo 877 c.c.

9.1. Il motivo e’ inammissibile.

Invero, la ricorrente non ha preso posizione sul rilievo operato dalla corte d’appello (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata) alla cui stregua, non essendovene cenno nella sentenza di primo grado impugnata, la allora appellante avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione.

D’altra parte, la circostanza, peraltro contrastata dal resistente (cfr. pag. 24 del controricorso), dell’appartenenza dei fondi delle parti allo stesso macrolotto con comporta di per se’ l’inapplicabilita’ dell’articolo 47 delle NTA del P.R.G. del Comune di Salzano e, per l’effetto, l’applicabilita’ dell’articolo 877 c.c. in tema di costruzioni in aderenza.

10. In definitiva, il ricorso non merita di essere accolto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi Euro 3.100,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti);

– dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, se dovuto.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.