A norma dell’articolo 1668 c.c., comma 2, la risoluzione del contratto d’appalto puo’ essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione e che la possibilita’ di chiedere la risoluzione del contratto di appalto e’, pertanto, ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicita’ e complessita’, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole sulla struttura e funzionalita’ della medesima si’ da impedire che essa fornisca la sua normale utilita’, laddove, al contrario, se i vizi e le difformita’ sono facilmente e sicuramente eliminabili, com’e’ avvenuto nel caso in esame, il committente puo’ solo ottenere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 1668 cit., comma 1 e cioe’ che le difformita’ o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore ovvero che il prezzo sia proporzionalmente ridotto.

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Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|13 dicembre 2022| n. 36246

Data udienza 14 settembre 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. MASSAFRA Annachiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19108-2017 proposto da:

(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS) per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L., rappresentata e difeso dagli Avvocati (OMISSIS) per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1356/2017 della CORTE D’APPELLO DI TORINO, depositata il 19/6/2017;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14/9/2022 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica ALDO CENICCOLA.

FATTI DI CAUSA

1.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha condannato (OMISSIS), quale committente, a pagare alla (OMISSIS) s.r.l., quale cessionaria del ramo d’azienda facente capo alla appaltatrice (OMISSIS) s.r.l., la somma di Euro 37.889,59, oltre accessori di legge, a titolo di compenso dovuto per la realizzazione da parte quest’ultima nell’anno 2007 di una paratia di “berlinesi provvisionali” per la messa in sicurezza dello scavo necessario all’edificazione di due edifici.

1.2. La corte, in particolare, dopo aver rilevato, per un verso, che l’opera realizzata dalla societa’ appaltatrice era inficiata da non indifferenti deficit esecutivi attinenti alla sua imperfetta realizzazione e che, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, la stessa era risultata “palesemente non conforme alle regole dell’arte”, e, per altro verso, che tale opera, nonostante tali vizi, non era stata comunque compromessa in modo tale da renderla inadeguata in termini assoluti ad assolvere lo scopo cui era stata preordinata, come, del resto, ha fatto una volta emendata dai vizi che potevano comprometterne la funzionalita’, ha ritenuto che, esclusi i presupposti per la pronuncia della risoluzione dell’appalto richiesta dalla committente, il ristoro da accordare a quest’ultima, onde elidere le conseguenze pregiudizievoli sopportate dalla stessa in conseguenza dell’inadempimento della societa’ appaltatrice, era esclusivamente la riduzione del corrispettivo dovuto “in una misura corrispondente agli importi di spesa affrontati dalla prima per ovviare alle manchevolezze della seconda”.

1.3. La corte, quindi, esclusa la sussistenza di danni

risarcibili sul rilievo, in particolare, quanto al lamentato lucro cessante, che “nessun riscontro, anche solo indiziario, puo’ desumersi a conforto delle allegazioni della (OMISSIS), che consenta di desumere la sussistenza del danno lamentato (…) non essendo idonei allo scopo i documenti prodotti dall’interessata”, ha determinato in Euro 77.509,58 il valore dell’opera eseguita dalla societa’ appaltatrice e in Euro 39.620,00 le spese complessivamente sostenute dalla committente in ragione dei vizi riscontrati ed ha, pertanto, ha condannato quest’ultima al pagamento della corrispondente differenza, pari ad Euro 37.889,59, oltre IVA al 20%, per un totale di Euro 45.467,40, e interessi al tasso e con la decorrenza previsti, nel testo applicabile ratione temporis, dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002.

1.4. (OMISSIS), con ricorso notificato in data 2/8/2017, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, notificata, come da relazione di notificazione agli atti, in data 26/6/2017.

1.5. Ha resistito la s.r.l. (OMISSIS) (gia’ (OMISSIS) s.r.l.) con controricorso notificato in data 10/10/2017 nel quale ha chiesto il rimborso delle spese sostenute nel procedimento introdotto (OMISSIS) a norma dell’articolo 373 c.p.c..

1.6. Il Pubblico Ministero, con memoria del 14/7/2022, ha concluso per il rigetto del ricorso.

1.7. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.2. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto d’appalto che la committente aveva proposto senza, tuttavia, considerare che il vizio di maggiore gravita’ nell’opera realizzata dalla societa’ appaltatrice era costituita dall’insufficiente lunghezza dei pali che formavano la barriera protettiva rispetto alla profondita’ dello scavo prevista per la realizzazione degli interventi edificatori, e che, a fronte dell’inidoneita’ di tale palizzata, solo l’innalzamento dello scavo da parte della committente, attraverso l’edificazione di una piattaforma di cemento alta circa un metro, e cioe’ a mazzo di una soluzione tecnica diversa rispetto alla progettazione originaria, aveva reso l’opera realizzata dalla (OMISSIS) adatta alla sua destinazione, e cioe’ garantire la sicurezza del cantiere, per cui, essendo l’opera caratterizzata da vizi e difformita’ tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, doveva essere dichiarata la risoluzione del contratto ai sensi dell’articolo 1668 c.c., comma 2.

2.3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la nullita’ della sentenza per motivazione apparente e contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto d’appalto che la committente aveva proposto esprimendo al riguardo una motivazione solo apparente in quanto caratterizzata dall’irriducibile contrasto tra l’accertata necessita’ di lavori per rendere la barriera realizzata dall’appaltatrice finalmente adatta alla sua destinazione, da un lato, e l’accertata idoneita’ della barriera stessa, per quanto viziata, a realizzare tale scopo, dall’altro. La corte d’appello, piuttosto, una volta ritenuti correttamente risarcibili i costi derivanti dall’esecuzione degli interventi riparatori avrebbe dovuto conseguentemente accertare l’inidoneita’ dell’opera alla sua destinazione e dichiarare, quindi, la risoluzione del contratto a norma dell’articolo 1668 c.c., comma 2.

2.4. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la falsa applicazione dell’articolo 1668 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di risoluzione del contratto d’appalto che la committente aveva proposto valutando l’idoneita’ dell’opera realizzata dall’appaltatrice rispetto allo scopo cui era preordinata non gia’ al momento dell’interruzione dei rapporti tra le parti, avvenuta nel mese di luglio del 2007, ma solo all’esito dei lavori riparatori eseguiti da imprese terze.

3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

3.2. La ricorrente, in effetti, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha finito, in sostanza, per censurare la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, li’ dove, in particolare, questi, ad onta delle asserite emergenze delle stesse, hanno ritenuto che l’opera realizzata dalla societa’ appaltatrice, sebbene viziata, era idonea allo scopo cui era destinata. La valutazione delle prove raccolte, pero’, anche se si tratta di quella asseritamente conseguente alla mancata contestazione dei fatti ex adverso dedotti (Cass. SU n. 2951 del 2016), costituisce un’attivita’ riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindaca bili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’esame di uno o piu’ fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.

La valutazione delle risultanze delle prove, al pari della scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011).

Il compito di questa Corte, d’altra parte, non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e piu’ appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento delle emergenze fattuali acquisite in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli articoli 132 n. 4 e 360 n. 4 c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non piu’ se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioe’, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual e’ reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’e’ in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).

3.3. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ha escluso, con motivazione tutt’altro che apparente, contraddittoria o perplessa, che le opere realizzate dalla societa’ appaltatrice, pur se viziate, erano idonee allo scopo per il quale erano preordinate. Ed una volta escluso, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato utilmente censurato (nell’unico modo possibile, e cioe’, a norma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o piu’ circostanze risultanti dagli atti di causa e sul punto decisive, che le opere realizzate dall’appaltatore erano idonee allo scopo cui erano destinate, non si presta, evidentemente, a censure, tanto meno per violazione dell’articolo 1668 c.c., comma 2, la decisione che la stessa corte ha conseguentemente assunto, e cioe’ il rigetto della domanda di risoluzione del contratto proposto dalla committente.

3.4. Questa Corte, in effetti, ha gia’ avuto di affermare che, a norma dell’articolo 1668 c.c., comma 2, la risoluzione del contratto d’appalto puo’ essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione e che la possibilita’ di chiedere la risoluzione del contratto di appalto e’, pertanto, ammessa nella sola ipotesi in cui l’opera, considerata nella sua unicita’ e complessita’, sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole sulla struttura e funzionalita’ della medesima si’ da impedire che essa fornisca la sua normale utilita’, laddove, al contrario, se i vizi e le difformita’ sono facilmente e sicuramente eliminabili, com’e’ avvenuto nel caso in esame, il committente puo’ solo ottenere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dall’articolo 1668 cit., comma 1 e cioe’ che le difformita’ o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore ovvero che il prezzo sia proporzionalmente ridotto (Cass. n. 5250 del 2004; conf., Cass. n. 9295 del 2006; Cass. n. 26965 del 2011; Cass. n. 4366 del 2015; Cass. n. 18578 del 2018).

4.1. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell’articolo 345 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale ha riconosciuto, in luogo di quelli legali, gli interessi previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 4 senza, tuttavia, considerare che, in realta’, gli stessi erano stati tardivamente richiesti dalla societa’ appaltatrice solo con l’appello incidentale.

4.2. Il motivo e’ infondato. In tema di obbligazioni pecuniarie, in effetti, gli interessi (contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, di cui integrano una componente necessaria) hanno fondamento autonomo rispetto al debito cui accedono e, pertanto, corrispettivi, compensativi o moratori che siano, possono essere attribuiti, in applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., soltanto su espressa domanda della parte ma, ove questa non specifichi la natura degli accessori richiesti, si presumono domandati gli interessi corrispettivi (dovuti indipendentemente dalla mora e dall’inadempimento, essendo fondati su presupposti diversi da quelli che giustificano l’attribuzione degli interessi di mora) con conseguente tardivita’ della domanda di attribuzione degli interessi moratori formulata solo in appello (Cass. n. 36659 del 2021).

Con specifico riguardo agli interessi moratori previsti dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002 si e’, tuttavia, condivisibilmente affermato che “nel caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie nell’ambito di transazioni commerciali, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articoli 4 e 5 con decorrenza automatica dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che vi sia bisogno di alcuna formale costituzione in mora e senza che nella domanda giudiziale il creditore debba specificare la natura e la misura degli interessi richiesti” (Cass. n. 14911 del 2019).

4.3. La Corte, con quest’ultima pronuncia, ha, in effetti, rilevato come l’applicabilita’ degli interessi moratori nella misura prevista dal Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, articolo 5 discende ex lege dall’essere la prestazione pecuniaria cui esse accedono dovuta a titolo di corrispettivo di una transazione commerciale, “indipendentemente da una specifica richiesta del creditore” e che cio’ si ricava univocamente dal testuale dato positivo, oltre che dalla sua ratio: “a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, articolo 3 infatti, “il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori, ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo e’ stato determinato dall’impossibilita’ della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Prevede poi l’articolo 4, comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, che “gli interessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento”…, poi disponendo, al comma 2, con riguardo alle ipotesi di mancata fissazione di un termine negoziale, la decorrenza degli interessi dopo un lasso di tempo volta a volta determinato ma sempre “senza che sia necessaria la costituzione in mora”. Si coglie dunque agevolmente la portata innovativa di tale disciplina rispetto a quella ordinaria quale desumibile dagli articoli 1219 e 1224 c.c.. Quest’ultimo, giova rammentare, dispone, al comma 1: “nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali…”. L’articolo 1219 c.c. a sua volta dispone al comma 1 che “il debitore e’ costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto”. Fino all’emanazione del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, quindi, gli interessi di mora sulle ordinarie transazioni commerciali non decorrevano automaticamente, bensi’ era necessaria una formale presa di posizione, sotto forma di intimazione o richiesta scritta, da parte del creditore. Proprio argomentando da tale disciplina, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che gli interessi di mora, avendo un fondamento autonomo rispetto all’obbligazione pecuniaria principale cui accedono, possono essere attribuiti soltanto su espressa domanda della parte creditrice, che ne indichi la fonte e la natura…. Con il Decreto Legislativo n. 231 del 2002, il legislatore, mirando – in attuazione della direttiva 2000/35/CE – ad eliminare gli eccessivi ritardi nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie nelle transazioni commerciali, ha ribaltato, con riferimento a tale specifico settore, il sistema cosi’ descritto, prevedendo la decorrenza automatica degli interessi di mora, senza necessita’ di costituzione in mora del debitore, a decorrere dal giorno successivo alla scadenza prevista per il pagamento. Ne discende che nessuna domanda, ne’ tanto meno alcuna specificazione della natura degli interessi richiesti, e’ necessaria affinche’ questi siano riconosciuti, sorgendo il relativo debito, ex lege, dallo stesso fatto originatore del credito cui essi accedono e alla scadenza dei termini previsti per il suo pagamento”. E poiche’ il giudice procede alla liquidazione di tali interessi in via ufficiosa, senza che sia a tal fine necessaria una domanda espressa dell’avente diritto, la stessa, se proposta nel corso del giudizio, non e’ nuova ed e’, quindi, proponibile, com’e’ accaduto nel caso in esame, per la prima volta con l’atto d’appello.

5.1. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur a fronte della prova dell’esistenza del pregiudizio subito, ha omesso di liquidare in via equitativa il danno da lucro cessante conseguito al significativo ritardo con il quale sono stati ultimati i lavori di realizzazione dell’albergo ed e’, quindi, iniziata la relativa attivita’.

5.2. Il motivo e’ infondato. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., presuppone, in effetti, pur sempre che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare (cfr. da ultimo Cass. n. 4310 del 2018). Nel caso di specie, a differenza di quanto lamenta la ricorrente, il giudice di merito ha omesso di esercitare tale potere sul rilievo, in fatto, che “nessun riscontro, anche solo indiziario, puo’ desumersi a conforto delle allegazioni della (OMISSIS), che consenta di desumere la sussistenza del danno lamentato (…) non essendo idonei allo scopo i documenti prodotti dall’interessata”, per cui, non potendo il giudizio equitativo surrogare la mancata individuazione della prova del danno, legittimamente il giudice di appello si e’ astenuto dall’esercizio del potere concesso dall’articolo 1226 c.c..

6.1. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

6.2. Le spese processuali, comprese quelle sostenute nel procedimento proposto a norma dell’articolo 373 c.p.c., seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

6.3. La Corte, infine, da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 6.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge; da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis se dovuto.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: aspetti generali del contratto di appalto

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.