Il Consiglio di Stato, con la Sentenza del n. 7949 qui in commento, ha affrontato, la tematica, relativa, alla responsabilità del gestore della piattaforma di marketplace su cui avviene il c.d. secondary ticketing, ovvero la rivendita online dei biglietti di molti concerti.

Al riguardo, dopo essersi preliminarmete soffermata, sui profili della responsabilità dell’hosting provider, ed aver definito il comportamento effettivamente sanzionabile nel caso specifico del gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file, ha annullato la Sentenza del Tar Lazio 4335/21 e la sottostante multa dell’Agcom di 1,75 milioni di € irrogata ad una nota piattaforma di secondary ticketing.

La Sentenza in commento è disponibile per la consultazione integrale al seguente link: Consiglio di Stato Sentenza n. 7949/2022

La vicenda: il secondary ticketing e responsabilità del gestore della piattaforma di marketplace

I fatti che hanno dato luogo al contenzioso, sotteso alla Sentenza in commento, possono essere così ricostruiti:

– la società statunitense che opera nel settore del secondary ticketing e in particolare gestisce una piattaforma, di c.d. marketplace, sulla quale soggetti privati vendono ad altri soggetti privati biglietti per eventi acquistati sul mercato primario;

– l’AGCOM, con delibera n. 103/20/CONS del 16 marzo 2020, ha irrogato nei confronti della suddetta società una sanzione pecuniaria di euro 1.750.000 per avere messo in vendita sulla piattaforma, nell’arco temporale tra marzo e maggio 2019, biglietti a prezzo maggiore di quello nominale per n. 35 eventi, in violazione dell’articolo 1, comma 545, l. 11 dicembre 2016, n. 232 e diffidandola, nel contempo, dal “porre in essere ulteriori comportamenti in violazione delle disposizioni richiamate”;

– la società destinataria del suddetto provvedimento sanzionatorio proponeva impugnazione dinanzi al TAR Lazio chiedendo l’annullamento di tale provvedimento sanzionatorio ma tale ricorso veniva respinto proponeva quindi ricorso al Consiglio di Stato.

Il secondary ticketing: la normativa di riferimento

Il c.d. secondary ticketing, consiste nell’attività di rivendita sul mercato secondario di titoli di accesso a eventi di spettacolo – teatro, musica, sport, cinema – ad un prezzo maggiorato per multipli di quello nominale.

Il secondary ticketing, in quanto, risulterebbe, essere fonte di evidenti danni per l’erario e per consumatori stessi, viene disciplinato nel nostro ordinamento dal comma 545 dell’art. 1 Legge n. 232/2016 che introduce per l’appunto il c.d. divieto secondary ticketing e che testualmente dispone:

Al  fine  di  contrastare  l’elusione  e  l’evasione  fiscale, nonchè di assicurare la tutela dei consumatori e garantire  l’ordine pubblico, la vendita o  qualsiasi  altra  forma  di  collocamento  di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata  da  soggetto diverso dai titolari,  anche  sulla  base  di  apposito  contratto  o convenzione, dei sistemi per la loro emissione è punita,  salvo  che il fatto non costituisca reato, con l’inibizione della condotta e con sanzioni amministrative pecuniarie da  5.000  euro  a  180.000  euro, nonchè, ove  la  condotta  sia  effettuata  attraverso  le  reti  di comunicazione elettronica, secondo le modalità stabilite  dal  comma 546, con la rimozione dei contenuti, o,  nei  casi  più’  gravi,  con l’oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione  è stata  posta  in  essere,  fatte  salve   le   azioni   risarcitorie.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e le altre autorità competenti effettuano i necessari accertamenti e interventi, agendo d’ufficio ovvero su segnalazione degli interessati.

Non è comunque sanzionata la vendita o qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purchè   senza   finalità commerciali.

Stando quindi alla citata norma, vengo pertanto previste solo due ipotesi normative di deroga c.d. divieto secondary ticketing e precisamente:

  • quella effettuata da persona fisica, a titolo occasionale, senza finalità commerciali;
  • quella svolta dai siti internet di rivendita primari, dai box office autorizzati o dai siti internet ufficiali dell’evento che sia finalizzata alla rivendita dei biglietti al valore nominale da parte degli utenti a condizione che per l’attività di intermediazione siano addebitati agli utenti unicamente congrui costi relativi unicamente alla gestione della pratica di intermediazione e di modifica dell’intestazione nominale.

Il richiamo alla responsabilità dell’hosting provider ed alla relativa Giurisprudenza

Nella Sentenza in commento, il Consiglio di Stato, effettua preliminarmente un doveroso e necessario richiamo alla disciplina relativa responsabilità dell’hosting provider ed ai precedenti unionali e nazionali.

In linea generale, ed in merito al ruolo ed alla responsabilità dell’hosting provider la Sentenza in commento premette che:

approfondendo il ruolo degli internet providers è opportuno riflettere sulla circostanza per la quale, se per un verso viene riconosciuta l’importanza di dette figure sia dal punto di vista economico (in quanto essi intermediano la maggior parte delle attività imprenditoriali che hanno luogo in rete) che dal punto di vista socio-culturale (perché essi consentono la circolazione e l’accesso all’informazione), per altro verso, da più parti si lamenta che gli illeciti telematici avvengano proprio in virtù dell’attività svolta dagli intermediari di internet, che devono dunque essere coinvolti nella responsabilità o almeno nelle operazioni di prevenzione e rimozione di tali illeciti.”

Inoltre e con specifico riguardo proprio a tale speciale forma di responsabilità, precisa che:

Per quanto concerne, dunque, il regime delle responsabilità imputabili in capo agli internet service providers, tenuto conto della normativa attualmente in vigore nel nostro ordinamento (nazionale e unionale), la scelta operata dal legislatore europeo e, conseguentemente, nazionale è stata quella di affiancare alle normative già esistenti – vale a dire la disciplina generale sulla responsabilità da fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. e, più in generale, le ordinarie regole della responsabilità civile – alcune norme speciali, ad alto contenuto tecnico, sulla specifica responsabilità dei prestatori di servizi nella società dell’informazione”.

Ferme le sopracitate specificazioni e precisazioni, la Sentenza in commento, conclude che:

Tali norme, secondo la prospettazione accolta anche dalla giurisprudenza civile (cfr., tra le molte, Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 2019 n. 7708 e 7709), dettano il criterio di imputazione della responsabilità della colpa, che viene ad essere dotato di un contenuto di specificità, e, ad un tempo, conformato e graduato dalla legge, finendolo per calibrarlo con le specifiche caratteristiche che contraddistinguono le varie tipologie di attività professionale svolta dai prestatori dei servizi internet.

Secondo tale orientamento (pienamente condiviso dal Collegio), va esclusa la responsabilità in caso di mancata manipolazione dei dati memorizzati; in tale contesto si valorizza peraltro la varietà di elementi idonei a delineare la peculiare figura dell’hosting provider attivo, comprendente attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l’adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione.

Trattasi all’evidenza, anche dinanzi all’evoluzione tecnologica, di indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti. Ciò che rileva è che deve trattarsi, in ogni caso, di condotte che abbiano in sostanza l’effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte degli utenti, il cui accertamento in concreto non può che essere rimesso al giudice di merito.”

Il comportamento effettivamente sanzionabile: il caso specifico del gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file

Con la Sentenza in commento, prima di entrare specificamente nell’addebito mosso alla società resistente, il Consiglio di Stato, ha ritenuto altresì necessario esaminare i presupposti e le modalità di accertamento della responsabilità rimessa (in capo) al gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file e la conseguente (sua) responsabilità per i contenuti protetti che utenti comunicano illecitamente al pubblico tramite la sua piattaforma.

Nel richiamare la più che forbita Giurisprudenza unionale, il Consiglio di Stato, ha specificato e precisato, innanzitutto che il gestore di una piattaforma internet (con le caratteristiche riconducibili – anche – alla vicenda qui in esame, con esplicito riferimento ad una piattaforma di hosting) svolge – indubbiamente – un ruolo imprescindibile nella messa a disposizione di contenuti potenzialmente illeciti effettuata dai suoi utenti in tanto che, senza la fornitura e la gestione di una siffatta piattaforma, la libera condivisione su internet di tali contenuti sarebbe impossibile o, quantomeno, più complessa.

A fini della condotta effettivamente sanzionabile, nella sentenza in commento è stato quindi ribadito che il carattere imprescindibile del ruolo svolto dal gestore di una piattaforma di condivisione di una piattaforma di hosting e di condivisione di file non è l’unico criterio di cui occorre tener conto nell’ambito della valutazione individualizzata da compiere, ma deve, al contrario, essere applicato in combinazione con altri criteri, in particolare quello del carattere intenzionale dell’intervento del suddetto gestore.

Infatti, ove la mera circostanza che l’utilizzo di una piattaforma sia necessario affinché il pubblico possa effettivamente fruire dell’opera, oppure che esso agevoli soltanto tale fruizione, conducesse automaticamente a qualificare l’intervento del gestore di detta piattaforma come “atto di comunicazione”, qualsiasi “fornitura di attrezzature fisiche atte a rendere possibile o ad effettuare una comunicazione” costituirebbe un atto del genere, il che è tuttavia escluso espressamente dal considerando 27 della direttiva sul diritto d’autore, il quale riprende, in sostanza, la dichiarazione comune in merito all’articolo 8 del TDA.

Partendo quindi da tali premesse e conformemente alla Giurisprudenza dell’U.E. il Consiglio di Stato, ribadisce nuovamente che al fine di stabilire se il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file intervenga nella comunicazione illecita di contenuti protetti, effettuata da utenti della sua piattaforma, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento per dare agli altri internauti accesso a siffatti contenuti, occorre tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui è causa e che consentono di trarre, direttamente o indirettamente, conclusioni sul carattere intenzionale o meno del suo intervento nella comunicazione illecita di detti contenuti.

Costituiscono, a tal riguardo, al fine di stabilire se il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file intervenga nella comunicazione illecita di contenuti protetti, effettuata da utenti della sua piattaforma, elementi pertinenti, in particolare:

  1. il fatto che il suddetto gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale, contenuti protetti sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite la propria piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma;
  2. il fatto che detto operatore partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al pubblico;
  3. che esso fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di siffatti contenuti o che promuova scientemente condivisioni del genere (il che può essere attestato dalla circostanza che il suddetto gestore ha adottato un modello economico che induce gli utenti della sua piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione al pubblico di contenuti protetti sulla medesima).

Conclusioni: la conoscenza del comportamento illecito dell’utente venditore che il vantaggio che da tale comportamento il gestore abbia consapevolmente voluto trarre

Il Consiglio di Stato, innanzitutto evidenzia che non vi è una oggettiva incompatibilità tra la figura del professionista, ai sensi della normativa sulle pratiche commerciale scorrette e quella di hosting provider, ai sensi della normativa sul commercio elettronico.

Sebbene ciò, viene precisato che tali fattispecie devono essere coordinate nel senso che è possibile sanzionare le condotte che violano le regole della correttezza professionale ma non è consentito che mediante l’applicazione della disciplina sulle pratiche scorrette si impongano all’hosting provider prestazioni non previste dalla disciplina sul commercio elettronico e dallo specifico contratto concluso.

L’hosting provider è passibile di sanzione non solo ospiti le proposte di vendita (nella specie, di biglietti) sulla piattaforma da esso gestita ma si adoperi anche in modo da controllare (effettivamente ed efficacemente) l’attività di vendita, financo manipolando i dati forniti dagli utenti (e, in particolare, il valore nominale dei biglietti), acquisisca la proprietà e comunque entri in (giuridico) possesso del prodotto da vendere (i biglietti degli utenti venditori) e sia, conclusivamente (dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il gestore della piattaforma), a perfetta conoscenza dell’illecito che viene perpetrato dall’utente venditore (mettendo in vendita biglietti ad un prezzo maggiorato rispetto a quello di vendita da parte dell’entità originariamente autorizzata alla vendita) senza intervenire in alcun modo per evitarlo.

Detto in altri termini, stando alla sentenza in commento, gli elementi entrambi indispensabili per poter configurare la fattispecie di punibilità, e quindi per poter escludere l’applicabilità della esenzione di cui all’art. 14 della direttiva sul commercio elettronico sono dati dalla duplice circostanza

  • che il gestore della piattaforma, nella specie, fosse a conoscenza del comportamento illecito dell’utente venditore;
  • che da tale comportamento detto gestore abbia consapevolmente voluto trarre vantaggio.

Tali circostanze, secondo il Consiglio di Stato, non si sono verificate in quanto non è stato dimostrato che il gestore della piattaforma fosse a conoscenza del comportamento illecito dell’utente venditore e che da tale comportamento abbia consapevolmente voluto trarre vantaggio.

La Sentenza in commento è disponibile per la consultazione integrale al seguente link: Consiglio di Stato Sentenza n. 7949/2022

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Avv. Umberto Davide

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